Il punto interessante
Al netto della sovrabbondanza di stimoli cui si è sottoposti nella vita di tutti i giorni, nell’accezione più neutra possibile di ciò che suscita una risposta, dall’aprire o meno gli occhi al suono della sveglia, al grattarsi una puntura di zanzara, cucinare un pasto o parlare a qualcuno, l’interesse perde la mira e sembra vacillare tra l’impulsivo e il cervellotico, sullo sfondo di un imperante meccanismo di azione e reazione.
Cercando di focalizzare e puntare un obiettivo specificamente interessante non ci si accorge più di quanto l’interesse si collochi giustamente tra queste due polarità, stia debitamente nel mezzo – inter, tra e esse, essere- costituendo quello nesso che dalla causa fa scaturire la conseguenza.
Se la mera casualità giustappone le cose una dopo l’altra, l’interesse le unisce creando una dinamica, rendendo fluido quel passaggio. Se qualcosa ci riguarda, se lo reputiamo interessante, stiamo prendendo parte a un sottile gioco di corrispondenza reciproca.
Lo spazio dell’interesse
Ben oltre al rispecchiamento stagnante che constata l’identico e ne gode, soccombendo come Narciso nella propria bellezza riflessa, la partecipazione che sollecita ciò che interessa attiva un circolo virtuoso che ricerca la differenza, qualcosa che si ponga al di là, rispetto a cui è necessaria dinamicità e apertura.
Non esiste l’interesse del singolo, ma il singolo interessato, che prende parte, come in un gioco, accettandone le regole. Cade così cade qualsiasi dicotomia tra pubblico e privato, perché se qualcosa mi interessa, io già sto nel mezzo, partecipo a quel cosa che non sono io.
Forse per stare dentro, per interessarsi bisogna stare nel mezzo, accettare la sfida di chi non è ancora arrivato e non ha la pretesa di esserlo.
Quando il gioco si fa interessante
Nel gioco delle parti esemplare a teatro di chi diventa personaggio, il ponte tra intimo e universale si ricrea come percorso immaginativo, nella produzione Teatro Franco Parenti / Centro Teatrale Bresciano/ LAB121 con il sostegno di Funder35, Fondazione Cariplo e ZonaK.
Il fervore drammaturgico di Fabrizio Sinisi intraprende un cammino sorprendente, incontrandosi con l’acuta regia di Claudio Autelli e la maestria attoriale di Alice Spisa, Umberto Terruso, Anahi Traversi e Angelo Tronca per una messa in scena epica e quotidiana, in cui universale e particolare si congiungono nella meraviglia della finzione artistica.
Con La fine del mondo, al Teatro Franco Parenti dal 25 al 29 maggio prende avvio una dinamica acuta che pone in relazione il proprio e l’altrui, in cui l’interesse non è oggetto della domanda, bensì il motore. La sfera pubblica riscopre l’essenza autentica politica, tale perché intimamente legata al singolo che la rende tale, nella coabitazione di uno spazio comune, di una partecipazione, di un interesse comunitario.
Essere e inter esse
La vicenda famigliare di La fine del mondo non è altra rispetto al dove in cui si colloca, bensì si pone come cuore pulsante e allo stesso tempo eco di una tragedia globale. L’ecologia torna ad essere un verace ragionare sulla casa, dimora universale.
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Macro e microcosmo sono i cerchi concentrici ne La fine del mondo, di un quadro sorprendentemente lucido e passionale della vita umana. L’accuratezza delle scelte, tanto registiche quanto attoriali potenziano una drammaturgia esponenziale, capace di esporsi e proporsi agli spettatori, come elegante invito a prendere parte finalmente, come ultimatum che concede il giusto spazio per un nuovo inizio, consapevole dell’incombere del reale e interrogandolo con lo stupore strabiliante di chi prova interesse e ne partecipa.
In quest’ottica l’interesse perde di autoreferenzialità, scagionandosi dall’accusa di egoismo, proponendosi come direzione possibile piuttosto che una destinazione prefissata. Il particolare proprio acquisisce interesse, concede di parteciparvi nel momento in cui diventa opportunità di ricercare un confronto.
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