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Giangiacomo Feltrinelli, il marchese rosso

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13 minuti di lettura

Giangiacomo Feltrinelli detto “Il Giangi”, rampollo di uno dei casati più illustri del paese e marchese di Gragnano, nasce a Milano il 19 giugno 1926. Da piccolo, simpatizza per il fascismo della prima ora, ma fugge con la famiglia già nel ’42 dalla località sul Garda che diventerà la residenza di Benito Mussolini. S’arruola nel Gruppo di Combattimento “Legnano” e assume il nome di battaglia di “Osvaldo”, per diventare, a guerra finita, uno dei più influenti finanziatori del Partito Comunista. Scrittore, saggista, conferenziere, fondatore dei Gruppi d’Azione Partigiana e patrono dell’omonima casa editrice, fino all’azione che gli costò la vita il 14 marzo 1972.

Chi era Giangiacomo Feltrinelli?

19/06/1926 – Giangiacomo Feltrinelli nasce da Giovanna Elisa Gianzana e Carlo Feltrinelli, marchese di Gragnano e capitano d’industria, proprietario della Società Italiana per le Strade Meridionali, del colosso del cemento Ferrobeton e Feltrinelli Legnami, leader nel commercio di legname con i paesi dell’est, nonché amministratore di Credito Italiano ed Edison.

Odorando con largo anticipo l’Armistizio dell’8 settembre 1943, la famiglia fugge nella celebre villa La Cacciarella, all’Argentario, dove rimane fino al ’44. Feltrinelli ha diciotto anni quando muta le proprie convinzioni e si spoglia della mistica fascista. Entra nel Gruppo di Combattimento “Legnano”, formalmente parte dell’Esercito cobelligerante italiano, ed è a Piazzale Loreto quando, il 29 aprile 1945, le salme di Mussolini, Claretta Petacci, Nicola Bombacci, Alessandro Pavolini e Achille Starace vengono appese per i piedi alla pensilina del benzinaio ed esposte al pubblico ludibrio. La stessa piazza nella quale, il 10 agosto 1944, quindici partigiani furono fucilati dalle SS.

La casa editrice

1954 – Dopo la guerra, nel 1949, Feltrinelli crea una biblioteca per lo studio della storia contemporanea e dei movimenti nazionali, che, nel 1954, diventerà la casa editrice Giangiacomo Feltrinelli Editore – nata sulle ceneri della “Colip” (Cooperativa del Libro Popolare), sorta sempre nel 1949 su iniziativa del PCI, con lo scopo di pronunciarsi in una risposta politico-culturale all’esclusione dei partiti comunisti dopo la vittoria democristiana alle elezioni d’aprile del 1948.

Della “Colip”, la futura casa editrice di Feltrinelli eredita la collana principale, l’Universale Economica, volgarmente nota come “Universale del canguro” per via del simbolo adottato. La celebre collana, tutt’oggi esistente, è uno dei primi esempi di pubblicazioni in formato tascabile a basso costo, 100mila lire a volume. Il principio cardine è la promozione della letteratura nelle classi popolari, incolte prima di tutto per difficoltà economica. Sarebbe però un errore retorico svincolare la nascita di una delle più ricche case editrici italiane dall’imperativo di profitto che giace alla base delle grandi iniziative industriali. E Giangiacomo Feltrinelli, per quanto politicizzato, non dimentica precetti di condotta e obiettivi cui deve attenersi ogni capitano d’industria. Primo fra tutti: il successo.

Come spesso nella storia della nostra Repubblica, sono gli scandali a portare in trionfo. Il 15 novembre 1957 la Feltrinelli brucia sul tempo le onnipotenti concorrenti francesi, americane e inglesi pubblicando, in anteprima mondiale, Il dottor Živago. Il capolavoro di Boris Pasternak, costato al suo autore un Nobel che non può ritirare, viene stampato in trentun edizioni nell’arco del primo anno. Il manoscritto non avrebbe mai dovuto lasciare gli archivi della censura del PCUS, dopo il ritiro seguito alla segnalazione della rivista Novyj Mir, che l’aveva rifiutato.

dottor zivago feltrinelli

Feltrinelli riesce a pagare una copia clandestina del manoscritto per farla arrivare a Milano, e ne organizza la traduzione nonostante le preghiere dell’URSS e delle stesso Pasternak di non farlo. Meno di un anno dopo, oltre mille copie in russo compaiono sul mercato statunitense. Pasternak, a dispetto della dichiarata ostilità del regime, non è contento dell’edizione occidentale presentata all’Accademia di Svezia, amputata di alcune parti e densa di errori e buchi che i traduttori hanno colmato con la fantasia. L’anno dopo è l’anno di Giuseppe Tomasi di Lampedusa, con Il Gattopardo. Rifiutato da Longanesi, Mondadori ed Einaudi su esame di Elio Vittorini, compare nel catalogo della casa meneghina per una segnalazione della figlia di Benedetto Croce al direttore della collana I Contemporanei, Giorgio Bassani, a dodici mesi dalla scomparsa del suo solitario e taciturno autore. In soli otto mesi vende oltre duecentocinquantamila copie, diventando il primo best seller del dopoguerra.

L’autunno caldo del ’69

1969 – La contestazione giovanile della stagione sessantottina e la mobilitazione operaia dovuta alla scadenza dei contratti di lavoro collettivi innescano uno sciame di tumulti che neppure il varo dello Statuto italiano dei Lavoratori è in grado di quietare del tutto. Gli scontri – con uno dei primi decessi degli anni di piombo, l’agente della Celere Antonio Annarumma, colpito da un tubo Innocenti durante un corteo del Movimento Studentesco – raggiungono l’apice in autunno. La bomba del 12 dicembre esplosa a Piazza Fontana e la successiva caccia agli anarchici indetta dal pubblico ministero Vittorio Occorsio – caduto a sua volta vittima del terrorismo nero, per mano di Pierluigi Concutelli, il 10 luglio 1976 – accendono una polveriera che abbisognava solo di una scintilla. È la prova sul campo di quella che verrà definita strategia della tensione, una dottrina che vede estremismo e tritolo come strumenti di rafforzamento dei grandi partiti di centro.

Giangiacomo Feltrinelli, tanto per gli ideali che lo ammantano quanto per la veste d’editore, rientra nell’elenco degli attenzionati della Squadra Mobile della Questura di Milano da prima dello scoppio delle contestazioni studentesche del Sessantotto. Non sono solo le sue parole a preoccupare, ma la loro forza aggregativa, il magnetismo e l’ascendente che esercitano sui militanti del Movimento Studentesco e sugli operai politicizzati dei grandi poli industriali lombardi. Alle sue conferenze sono quasi sempre presenti agenti in borghese, nonché lo stesso commissario Luigi Calabresi, che intratterrà con l’editore più di un abboccamento, anche pubblicamente. Feltrinelli non è un semplice comunista, è, prima di tutto, agli occhi della Repubblica, un “padrone”. Un nobile, per giunta, dalle idee insidiose. Ancor più timore suscitano i suoi enormi capitali, e la disponibilità ad investirli in iniziative che travalichino l’opposizione intellettuale per innalzare il livello dello scontro.

Interno della Banca Nazionale dell’Agricoltura poche ore dopo la detonazione dell’ordigno, 12/12/1969

Il 12 dicembre 1969 Giangiacomo Feltrinelli è fuori città quando apprende della bomba per radio. Si precipita a Milano ma è costretto a defilarsi quando viene avvisato che poliziotti in borghese sorvegliano sia le abitazioni che la sede della casa editrice. Il commissario Calabresi, la Questura e i giornali puntano l’indice su una persona precisa, fondatore e animatore del Circolo anarchico 22 marzo, il cosiddetto covo della Ghisolfa. L’anarchico Pietro Valpreda, per qualche giorno, è il principale ricercato d’Italia. Mentre rincasa, è tratto in arresto, con le stesse accuse, anche il ferroviere Giuseppe Pinelli, frequentatore delle conferenze di Feltrinelli e saltuario avventore dei circoli anarchici milanesi. Alla fine di un interrogatorio di quarantotto ore senza acqua né cibo, senza alcuna prova o indizio a suo carico, Pinelli precipita senza una scarpa da una finestra della Questura di Milano. Il commissario e capo della Squadra Mobile Luigi Calabresi, che conduce l’interrogatorio, si è assentato un istante dall’ufficio. La versione ufficiale è che si sia gettato da una finestra aperta per “il caldo eccessivo”, il 16 dicembre 1969. Quattro giorni dopo l’attentato alla Banca Nazionale dell’Agricoltura di Piazza Fontana.

Pochi mesi dopo, raccogliendo l’eredità del Gruppo XXII Ottobre, prima organizzazione di lotta armata costituita in Italia e reclutandone parte dell’organico, tra Torino, Genova e Milano vengono istituiti i GAP, Gruppi d’Azione Partigiana, sull’idea e il capitale di Giangiacomo Feltrinelli. Come i quasi omonimi Gruppi d’Azione Patriottica, cellule di resistenza nate negli anni della Repubblica Sociale, i gruppi di Feltrinelli si costituiscono come sigla aperta, utilizzabile da chiunque abbia volontà e possibilità di farsi portatore dei principi della lotta armata marxista-leninista. Dei vecchi gappisti Feltrinelli recupera il motto: «il Gap colpisce come e quando vuole».

Ma i nuovi gappisti non uccidono, e non sparano. Al contrario, Feltrinelli utilizza la sua immensa rete clientelare, il prestigio d’editore e, soprattutto, la liquidità della sua famiglia per tessere relazioni con altre organizzazioni, sul territorio e all’estero, prima fra tutte Autonomia Operaia e Lotta Continua, i cui dirigenti, poco dopo la morte di Feltrinelli, saranno gli autori dell’omicidio del commissario Calabresi.

La fine del gappista Giangiacomo Feltrinelli

Segrate, 14 marzo 1972 – Un contadino della zona è uscito di casa prima dell’alba, per la rituale passeggiata col cane lungo lo stesso, invariabile percorso. È lui a scorgere il profilo di un corpo accasciato ai piedi di un traliccio ancora ben saldo sul basamento. Forse, qualcuno ha sentito un botto nella notte; dichiara ai Carabinieri, i primi a giungere sul posto, di non avere idea di cosa sia successo. Più tardi, a mattinata inoltrata, giunge sul posto il commissario Luigi Calabresi, inviato dalla Questura di Milano. Gli agenti della Mobile pedinano e indagano su Giangiacomo Feltrinelli da prima della sua formale adesione alla lotta armata. I documenti nelle tasche del cadavere sono intestati a tale Vincenzo Maggioni, ma il commissario, benché reticente a esprimerlo, è certo che si tratti di una finta identità. Ventiquattro ore dopo, la scientifica di Milano li dichiara falsi. La moglie Inge Schönthal si reca all’obitorio per il riconoscimento della salma: non c’è dubbio, è l’editore Giangiacomo Feltrinelli, fondatore del GAP.

“Il marchese rosso”, abbiente capitalista votato alla causa marxista-leninista, muore a seguito dell’esplosione accidentale di un ordigno che egli stesso, in totale solitudine, ha collocato nottetempo ai piedi di un traliccio, nell’anonima campagna milanese. Le ragioni dell’azione non saranno mai note. È forse possibile non ve ne fossero altre, alle spalle della volontà d’agire in prima persona in un contesto che andava irrimediabilmente mutando verso la propaganda armata. Uno scenario di scontro dialettico e politico, armato o disarmato, nel quale Feltrinelli volle sempre essere protagonista.

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Giacomo Cavaliere

Giacomo Cavaliere è nato a Torino il 16 luglio 1995 ed è studente della facoltà di Storia presso l'Università Statale di Milano. In passato si è occupato di esposizioni collettive e personali d'arte contemporanea, sia in qualità di curatore e organizzatore che di autore di critiche e recensioni per conto di artisti, spazi espositivi e gallerie. Attività che continua tutt'oggi a svolgere, principalmente tra Novara, Milano e Torino. Oggi, è autore di racconti di vario genere e tematiche, segnati da continue interazioni tra eventi realmente accaduti e personaggi di finzione o viceversa, manipolandoli in scenari di “contro-fattualità”. Alcuni racconti sono apparsi su l'inquieto, Bomarscé Malgrado le mosche e Sulla quarta corda, altri tre dovrebbero essere di prossima pubblicazione su altrettante riviste. Attualmente è editor presso la redazione di Light Magazine.

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