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La leggendaria storia di Toro Seduto e l’epopea Sioux

Il 15 dicembre 1890 venne ucciso Toro Seduto, leggendario capo Sioux. Dalla celebre vittoria a Little Bighorn al massacro di Wounded Knee, ripercorriamone insieme la storia.

14 minuti di lettura

Intorno alle cinque e trenta del 15 dicembre 1890, trentanove agenti della Indian Agency Police irrompono nella Riserva di Standing Rock, assegnata alle tribù Hunkpapa e Sihasapa dei Lakota. Sono gli ultimi momenti del capo Sioux Toro Seduto.

morte Toro Seduto
Il telegramma che diffuse la notizia della morte di Toro Seduto

L’ultimo giorno di Toro Seduto

Il governo federale teme che il culto sincretico della Danza degli Spiriti possa risvegliare lo voglia d’autodeterminazione dei Pellerossa e spingerli fuori dalle riserve. Toro Seduto, il grande capo Hunkpapa, è alla soglia dei sessant’anni, ancora venerato dalla confederazione, sebbene non più come prima. Circondano l’abitazione, tentano di farlo montare a cavallo col pretesto di un incontro con un funzionario degli Affari Indiani, ma il saggio fiuta la trappola. Un giovane Sioux spara all’agente Bull Head, il quale, a sua volta, colpisce Toro Seduto al ventre. Red Tomahawk, un altro agente indiano, spara un secondo colpo, stavolta alla testa. Toro Seduto, il Lento, muore nel primo pomeriggio.

Poco dopo, il 29 dicembre, raggiunti dalla notizia dell’assassinio, un gruppo di Lakota Sioux guidati da Piede Grosso, muove dall’accampamento sul torrente Cherry per chiedere la protezione del leggendario Nuvola Rossa. Intercettati dal ricostituito Settimo Cavalleggeri, trecento Pellerossa disarmati vengono barbaramente trucidati. È il massacro di Wounded Knee, l’ultimo atto di sangue del genocidio dei nativi americani.

Piede Grosso
Il corpo di Piede Grosso giace nelle neve a Wounded Knee

Un errore di trascrizione

Dovrebbe essere sempre buona norma leggere tra le righe dell’epica. L’epopea dei guerrieri Pellerossa gronda di una mitologia inestricabile, che spesso impedisce di chiarire l’effettivo ruolo dei suoi attori. Toro Seduto nasce nel 1831 in quello che è oggi il North Dakota, col nome di Tasso Saltante. Sarà suo padre ad attribuirgli il suo stesso nome, secondo l’uso Sioux di reiterare i nomi nelle generazioni, dopo un’azione di guerra compiuta a quattordici anni contro un gruppo di guerrieri Crow, nella quale si guadagnò la prima penna d’aquila. Tȟatȟáŋka ÍyotakeTatanka Yotanka – significa letteralmente “il bufalo che si siede a vegliare sulla mandria”, poi semplificato in Toro Seduto.

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Sebbene gli Hunkpapa Lakota non vengano direttamente coinvolti nell’insurrezione dei Dakota del 1862, la risposta dell’Esercito Unionista, già prostrato dalla guerra di secessione, si consuma in una cieca barbarie. Il colonnello Alfred Sully attacca un villaggio nei pressi di Killdeer Mountain, difeso da Toro Seduto e Capo Fiele – che diventerà, insieme al giovane Cavallo Pazzo, il vero artefice della vittoria di Little Bighorn. Gli Stati Uniti hanno plasmato un nemico la cui determinazione supererà più volte le previsioni del governo. Da questo momento in poi, il fuoco del guerriero non si spegnerà più. O quasi.

La guerra di Nuvola Rossa

La resistenza Sioux, al tempo, è guidata da Nuvola Rossa, figura altrettanto ammantata dalla leggenda, per quanto eclissata da altri astri combattenti delle Nazioni Indiane. Il capo degli Oglala Lakota è impegnato nella guerriglia per il controllo del Powder River Country. Toro Seduto aderisce presto alla lotta, ponendosi alla testa di bande armate negli assalti di Fort Bethold, Fort Stevenson e Fort Buford, fino al 1868. I Sioux non affrontano l’esercito in campo aperto, compiono attacchi mordi e fuggi alla carovane e alle compagnie di scout, colpiscono gli operai delle ferrovie e i coloni bianchi insediati nelle loro terre. I colpi più duri vengono inferti alle ferrovie, parte della costruzione della North Pacific Railways viene dirottata o interrotta, molti finanziatori sono costretti alla bancarotta nel conseguente “Panico del 1873”.

Le azioni dei Sioux contribuiscono al fallimento di cospicue quote finanziarie versate nella costruzione di oltre trentamila miglia di strada ferrata: enormi investimenti si trovano così privati di qualunque margine di profitto a breve termine. Alla ricerca di una soluzione quanto più pacifica, maschera che cela un tentativo d’oppressione diplomatica, prende corpo il Trattato di Fort Laramie. Il governo federale assegna ai Sioux gran parte del Wyoming e della Powder River Country, compreso le sacre montagne delle Black Hills. Il trattato ha vita breve: la scoperta di un filone d’oro nelle Black Hills innesca una frenetica caccia ai giacimenti aurei, con enormi afflussi di coloni e minatori il cui stanziamento è promosso e tutelato dal Congresso. Sono gli eventi che porteranno alla guerra Sioux del 1876, meglio conosciuta come Guerra per le Black Hills. Sarà l’ultima guerra indiana, quella di Tashunka Witko: Cavallo Pazzo.

Cavallo Pazzo e Custer: ombre sul Sant’uomo

La vita di un guerriero, le azioni di colui che, seppur dalla parte dei giusti, bagna la terra col sangue, non può essere immune alle ombre. Il coinvolgimento del Sant’uomo, come viene chiamato dalle genti Hunkpapa, nella guerra delle Black Hills, infatti, non è priva di tenebra. Toro Seduto, “il Lento” – come sinonimo di avveduto e ponderato – non attacca la prima spedizione esplorativa di George Armstrong Custer del 1874. Il colonnello del Settimo Cavalleggeri ha il compito di selezionare un sito adatto alla costruzione di un forte nelle sacre montagne Sioux, per fornire protezione alla ricerca mineraria. Toro Seduto incoraggia le sortite delle bande, senza quasi mai prendere parte direttamente alle azioni, almeno fino all’ultimatum del Presidente Grant: tutte le bande al di fuori della Grande Riserva Sioux devono ritirarsi all’interno dei confini a loro assegnate, entro i quali il Governo ha sottoscritto e subito disatteso l’impegno a proteggerli.

L’azione diplomatica di Toro Seduto, ormai perfettamente calato nelle vesti di politico e guida militare, sancisce una fondamentale alleanza con alcuni capi Cheyenne e Arapaho. Il Capo della Nazione Sioux – che, in realtà, non riconosce alcuna centralizzazione – assume progressivamente la fisionomia di un generale distante quanto basta dal centro dello scontro.

Nonostante la nomina a maggior generale, Custer è noto come soldato indisciplinato, più volte sospeso dal servizio senza retribuzione, personalmente inviso al Presidente Grant. Si disse che dovette implorare in ginocchio lo stato maggiore per restare al comando del Settimo Cavalleria nella valle del Little Bighorn. Tra il 25 e il 26 giugno un gruppo di scout Arikara e Crow dell’esercito, avvista un grande accampamento Sioux. Il generale non può vedere la corretta posizione dell’accampamento a causa delle condizioni atmosferiche e della posizione defilata della collina dove ha ordinato l’acquartieramento. Non avendo proprietà private da difendere, i civili preferiscono la fuga alla resistenza, e Custer basa l’azione su tale principio.

La sua principale preoccupazione è che i nativi s’accorgano della loro presenza e riescano a darsi alla fuga prima che l’accerchiamento sia completato. Intende replicare le condizioni della Battaglia del Washita. Ironia della sorte, pare che due giovanissimi Pellerossa, intenti a spiare le manovre dei militari, si siano fermati a raccogliere una latta di gallette caduta da un carro delle salmerie. Uno viene raggiunto da alcuni colpi, ma un altro riesce a fuggire, spingendo il generale ad anticipare l’attacco. Una decisione che si rivela fatale.

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Sebbene Toro Seduto figuri come uno dei principali comandanti della battaglia, è probabile che non vi abbia preso parte. Non direttamente, perlomeno. La più grande e tuonante vittoria Pellerossa sull’invasore bianco è una vittoria solo nominale, nella carriera del capo Hunkpapa. Sia lui che Nuvola Rossa, infatti, per quanto solidali con la causa del loro popolo, rifiutano più volte di fornire un appoggio diretto alla campagne dei giovani Portatori-di-Casacca Fiele e Cavallo Pazzo. Sono loro a guidare la risposta Pellerossa all’attacco della cavalleria. Quello che si crede essere un accampamento di civili inermi è difeso da oltre tremila guerrieri sparpagliati nei dintorni. Mentre il maggiore Marcus Reno attacca da sud, Cavallo Pazzo raggiunge le compagnie di Custer, attestatesi su una posizione sopraelevata. Il furore di Cavallo Pazzo, Fiele e il capo Cheyenne Due Lune porta all’annientamento di cinque delle dodici compagnie del Reggimento, e alla morte del generale. Toro Seduto e Nuvola Rossa – uno dei più longevi capi nativi, morto nel 1909 – sanno che una simile vittoria, proprio per la sua portata, altro non è che l’anticamera di un’imminente sconfitta.

Cavallo Pazzo, alla testa di 900 Oglala affamati e prostrati dal tifo, è costretto a consegnarsi al comandante di Fort Robinson, Nebraska. Internati all’interno della piazzaforte, Cavallo Pazzo troverà la morte trafitto dalla baionetta di un soldato, forse nel sonno, il 5 settembre del 1877.

La resa di Toro Seduto e il circo Barnum

Accusato di essere l’artefice e l’ispiratore del massacro, dopo un iniziale tentativo di rispondere alle ostilità, Toro Seduto è costretto a fuggire in Canada con la famiglia e qualche centinaio di fedelissimi, dove rimarrà per alcuni anni. La fame e l’opposizione delle Giubbe Rosse canadesi lo costringono a rientrare negli Stati Uniti, dove viene immediatamente tratto in arresto. Nonostante l’amnistia formale, vengono internati nella riserva indiana di Standing Rock. La perdita del potere militare non impedisce a Toro Seduto di restare il faro di Alessandria della resistenza Pellerossa. Nonostante il ritiro a vita privata, il governo teme il potere di coagulazione che potrebbe esercitare sulle altre tribù ancora reticenti ad accettare la segregazione.

Nel 1883 gli viene concesso il permesso di lasciare la riserva e unirsi al circo Barnum, diventando, insieme ad Alce Nero, Calamity Jane e alla salma sotto ghiaccio di Jesse James, una delle principali attrazioni del Wild West Show di Buffalo Bill. Viaggia per alcuni mesi negli Stati dell’est e in Europa, guadagnando cinquanta dollari la settimana per tenere orazioni in lingua natia e cavalcare a pelo. Non molto dopo ritorna nella riserva, dove troverà la morte. Per quanto paradossale e “indigesta”, l’adesione dei Capi indiani agli spettacoli circensi è una parabola piuttosto comune. Lo stesso Fiele, sopravvissuto alla battaglia di Little Bighorn ed espatriato nel Saskatchewan al seguito di Toro Seduto, col quale s’era sempre posto in forte disaccordo, decise di adoperarsi nel cosiddetto “sforzo sulla via dell’uomo bianco” alla ricerca di una pacifica convivenza. Adotterà costumi occidentali e la lingua inglese, divenendo giudice dell’Indian Police Court e cadendo vittima dell’alcolismo e dell’obesità, un destino comune a molti Pellerossa ammansiti con l’elargizione di enormi quantità di alcool.

circo Barnum

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Giacomo Cavaliere

Giacomo Cavaliere è nato a Torino il 16 luglio 1995 ed è studente della facoltà di Storia presso l'Università Statale di Milano. In passato si è occupato di esposizioni collettive e personali d'arte contemporanea, sia in qualità di curatore e organizzatore che di autore di critiche e recensioni per conto di artisti, spazi espositivi e gallerie. Attività che continua tutt'oggi a svolgere, principalmente tra Novara, Milano e Torino. Oggi, è autore di racconti di vario genere e tematiche, segnati da continue interazioni tra eventi realmente accaduti e personaggi di finzione o viceversa, manipolandoli in scenari di “contro-fattualità”. Alcuni racconti sono apparsi su l'inquieto, Bomarscé Malgrado le mosche e Sulla quarta corda, altri tre dovrebbero essere di prossima pubblicazione su altrettante riviste. Attualmente è editor presso la redazione di Light Magazine.

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