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La Retirada e i maquisards antifranchisti

La Retirada: cronache dell'epilogo dimenticato della Guerra civile spagnola

16 minuti di lettura

19 maggio 1939. In in una Madrid dilaniata da tre anni d’assedio e spietati bombardamenti italo-tedeschi, i nazionalisti della Falange Española Tradicionalista y de las Juntas de Ofensiva Nacional Sindicalista sfilano vittoriosi a passo dell’oca. È la fine della guerra civile, la vittoria del Blocco Nazionale del Caudillo Francisco Franco e l’annientamento della Seconda Repubblica spagnola.

Ma la fine della Seconda Repubblica spagnola non sancisce la fine dei suoi ideali, né l’ultimo afflato degli uomini e delle donne che quella repubblica vollero difendere. È l’inizio della Retirada, e delle sue conseguenze.

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Il giro della vittoria e l’Estado nuevo

1939 – Nella primavera dell’ultimo anno di guerra, Sigismundo Casado Lopez diviene presidente ad interim del Consiglio Nazionale di Difesa, dopo aver defenestrato i socialisti di Juan Negrin dai vertici militari repubblicani. La speranza è che l’epurazione di socialisti e bolscevichi favorisca i negoziati con le forze dell’Alzamiento – il colpo di stato che nel luglio del ’36 avrebbe dovuto rovesciare la Seconda Repubblica spagnola – e, nel migliore degli scenari possibili, limitare le barbarie che sarebbero seguite alla caduta della capitale. Nonostante il tradimento per buoni propositi di Sigismundo Casado, la carneficina falangista si consuma impietosa. In un anno di fame e carestia, i requetés carlisti, gli arabi del Tercio de Extranjeros, che da Ceuta avevano dato inizio all’insurrezione con l’aiuto del Corpo Truppe Volontarie delle camicie nere italiane, e i viriatos portoghesi uccisero sommariamente oltre centomila combattenti e sostenitori della Seconda Repubblica. Le congratulazioni straniere non tardano ad arrivare: il plauso di Costanzo Ciano per la celerità delle esecuzioni, il telegramma d’encomio della Santa Sede, per voce del pontefice Pio XII che porge «sincere grazie a Vostra Eccellenza per la vittoria della Spagna cattolica», come pure il tempestivo riconoscimento dell’Nuevo Estado da parte di Inghilterra e della Francia filo-socialista di Léon Blum. La decisione francese di rifiutare la copertura d’artiglieria e sospendere i finanziamenti, aveva anticipato di almeno un anno la disfatta repubblicana.

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La Retirada republicana

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Arrivo degli esuli a Le Perthus, Francia, il 28 gennaio 1939. © Anonimo / Collezione Eric Forcada. Fonte: vila-real.e

1940-45Dolores Ibàrruri, futura segretaria generale del Partito Comunista di Spagna nel suo lungo esilio sovietico, scrive l’epitaffio della Repubblica spagnola nell’accorato discorso tenuto in una Madrid ormai prossima alla caduta. La stessa teorica che due anni prima, riprendendo le parole del generale Nivelle a Verdun, ha coniato il grido di battaglia delle Brigate Internazionali divenuto stele immortale d’ogni resistenza ai fascismi del mondo: «¡No pasarán!».

Dolores, insieme a centinaia di stalinisti, riescono a ottenere l’asilo di Mosca e un salvacondotto per raggiungerla (suo figlio Ruben, divenuto tenente dell’Armata Rossa, morirà ventiduenne a Stalingrado). Un aiuto del quale anarchici, socialisti moderati e trotskisti tacciati di revisionismo non possono beneficiare. Con loro, oltre duecentomila sbandati tra donne, vecchi, bambini e infermi – tra cui moltissimi volontari italiani, autori della vittoria di Guadalajara contro un contingente di concittadini della MVSN. Le stime più attendibili delle cifre dell’esilio repubblicano s’aggirano attorno al mezzo milione di individui. Un serpente umano senza principio né fine, imbocca l’unica via di salvezza possibile, oltre i passi dei Pirenei e il confine francese, rinforzato da nuovi capisaldi militari. Una salvezza solo supposta diviene il principio di una nuova serie di sofferenze e peregrinazioni.

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La principali cronache di questa moderna anabasi sono fornite proprio dai testimoni italiani come Pietro Ramella e Riccardo Formica. Il primo entrerà nella Legione straniera francese insieme ad altri cinquemila compagni di guerra, spinti dal desiderio di continuare a combattere contro i tedeschi. Formica, ricercato da OVRA e Gestapo per i suoi trascorsi in URSS, raggiungerà la Svizzera per essere successivamente incarcerato.

A presidiare la frontiera è il Corpo coloniale francese, formato in gran parte da arabi. La loro mobilitazione da parte dello stato maggiore francese è tutt’altro che casuale. La loro presenza dovrebbe fornire da deterrente per l’attraversamento del confine. Come detto, furono proprio i mori a costituire la punta di lancia dell’esercito franchista nelle prime fasi della sollevazione. Lungo la frontiera si verificano taglieggiamenti e violenze d’ogni tipo ai danni della “teppaglia rossa”, oltre centomila vengono raggruppati nei campi d’internamento di Le Vernet e Gurs, a pochi passi dal confine.

L’internamento e la nascita della guerriglia

Val d’Aran, 1944 – Ufficialmente costituiti come forma d’assistenza e raccolta, i campi di Le Vernet e Gurs assumono immediatamente i caratteri concentrazionari che saranno alla base del sistema nazista. Capillarmente sorvegliati dall’esercito francese, senza servizi igienici o assistenza sanitaria, gli esuli vengono impiegati in brigate di lavoro coatto o forzatamente arruolati, mentre donne, bambini e infermi restano confinati in stato d’inedia. Nel primo anno di detenzione, le trecento baracche di Le Vernet arrivano a ospitare più di venticinquemila persone, alcune migliaia delle quali non riusciranno mai a uscirne. La Campagna di Francia è alle porte e presto i campi d’internamento e raccolta passano all’amministrazione collaborazionista di Vichy e agli occupanti tedeschi, riempiendosi di altri diecimila ebrei francesi e tedeschi, mentre diecimila spagnoli troveranno la morte a Mauthausen.

I repubblicani che riescono a fuggire prima dell’invasione si danno alla macchia – da cui maquis – , mentre altri entrano nelle fila dei maquisard, appellativo dei partigiani francesi. Sono proprio i maquisard – non organizzati in un esercito paramilitare verticistico, come le Brigate Garibaldi, ma in cellule autonome che agiscono secondo esigenze diverse – a organizzare l’atto di fondazione della guerriglia antifranchista.

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Nel settembre del ’44, dopo la liberazione di Parigi, col riluttante beneplacito del generale Charles De Gaulle, circa settemila guerriglieri iberici e francesi valicano il Port de la Bonaigua, a oltre duemila metri di quota, sconfinando in Catalogna. L’invasione dei maquis della Val d’Aran rimane la più spettacolare azione della guerriglia repubblicana. Dodici brigate di volontari raggruppati nell’Agrupación de Guerrilleros Españoles, forti dell’esperienza contro i tedeschi, riescono ad assumere il controllo di alcuni posti di frontiera e presidi sui fiumi Cinca e Segre. La spedizione riesce per breve tempo a isolare Roncisvalle, la Valle de Hecho e del Roncal, sotto il comando del comandante generale di divisione Vincente Lòpez Tovar. La sperequazione di forze dislocate da esercito e Guardia Civil non lascia spazio a favorevoli pronostici. I pochi superstiti imboccano la via del ritorno ponendo fine alla spedizione il 28 ottobre, mentre la quasi totalità dei catturati saranno passati per le armi e seppelliti in anonime fosse comuni. Sono solo qualche centinaio le unità che decidono, per impossibilità e volontà, di continuare l’attività partigiana in Spagna.

Los años de hambre: gli anni della fame

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Manifesto guerriglia contro la Seconda Repubblica. Fonte: es.wikipedia

Anni Cinquanta – L’appoggio economico e logistico all’Asse, nonostante la formale neutralità, viene sanzionato con l’esclusione dalle Nazioni Unite e da un’embargo decennale che condanna il Paese al totale isolamento. Per anni, gli unici Stati ad intrattenere relazioni diplomatico-commerciali sono il Vaticano, l’Argentina peronista e il Portogallo di António de Oliveira Salazar e Marcelo Caetano, Stato fascista fondato nel 1932 fornendo il paradigma politico di riferimento. Inoltre, la provvidenziale fuga dei vertici della Seconda Repubblica spagnola ha portato alla perdita della quasi totalità delle riserve auree, facendo decollare l’inflazione a livelli simili a quelli della Repubblica di Weimar. Più del quaranta percento del materiale rotabile e oltre il sessanta percento della rete ferroviaria sono inservibili, il consumo calorico dei cittadini si attesta sotto le seicento chilocalorie giornaliere, la denutrizione apre la strada a grandi focolai di vaiolo, tifo e colera.

È nella cornice di questa catastrofe che la guerriglia si riorganizza in colonne sparse in Leòn, Galizia e Asturie. In questa regione opera il XIV Cuerpo de Ejército Guerrillero, comandato dall’anarchico Cristino Garcia Granda, eroe della resistenza francese specializzato in attentati contro le retrovie nazifasciste. Dopo due anni di attacchi mordi e fuggi viene catturato dalla Guardia Civil nell’estate del ’45, torturato e condannato alla garrota nel febbraio successivo. Autentica leyenda repubblicana è il catalano Francisco Sabaté Llopart, ben più noto col nome di battaglia di El Quico, nemico pubblico numero uno dello Stato franchista. Anarchico militante della Federaciòn Anarchica Ibérica dall’età di sedici anni, varca per l’ultima volta il confine spagnolo nel ’59, dopo sei anni di carcerazione in Francia a causa di un azione in un cui lo scambio di una vettura porta alla morte di alcuni civili. Autore di sequestri, rapine a danni di banche e latifondisti, agendo tanto da partigiano quanto da bandito, muore a quarantacinque anni in un conflitto a fuoco contro un gruppo filofascista catalano che opera in accordo con la Guardia Civil. Nella sua brigata militano altri due eroi della guerriglia, Jaimes “El Abisino” Parés e José Luìs Facerias. El Quico sarà l’ispirazione per il film «... e venne il giorno della vendetta» di Fred Zinnemann, impersonato da un mirabile Gregory Peck, impegnato in una faida personale con un colonnello spagnolo, nelle fattezze di un non meno memorabile Anthony Quinn.

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Per convenzione storiografica, si indica José Castro Viega, detto “El Piloto”, come l’ultimo guerrigliero repubblicano caduto, ucciso in un agguato dalla Guardia Civil alla diga di Belesar nel 1965.

Il testimone della lotta armata

1955 – Per salvare la dittatura dal default, a dispetto dell’ignominia di centocinquantamila esecuzioni sommarie e l’arbitraria carcerazione di altre trecentomila, Francisco Franco concede agli Stati Uniti il permesso di installare quattro basi militari sul patrio suolo, che s’aggiungono alla roccaforte inglese di Gibilterra. In cambio, ottiene il mantenimento delle exclavi di Ceuta, Melilla, Ifni (Sahara Occidentale) e, soprattutto, la fine dell’embargo. La limpieza, come aveva voluto battezzare il totale annientamento dell’Ejercito Rojo, è ancora ostacolata da decine di piccole, mal organizzate eppur determinate bande di resistenti. Ma la parabola della guerriglia è destinata ad estinguersi con la fuga o la morte dei suoi principali attori. È in questo periodo, però, che un silente e nuovo fenomeno comincia a prendere corpo. Nel 1958, nel totale anonimato, un gruppo di studenti dissidenti del Partito Nazionalista Basco danno vita all’Euskadi ta Askatasuna – Partito Basco e Libertà – che diventerà la principale spina nel fianco della futura Spagna democratica. Tuttavia, il timore della garrota, esito scontato di gran parte dei processi politici, spingono l’organizzazione nel solco di degli attentati dimostrativi e in iniziative di disturbo. Con l’aggravarsi della salute di Franco e l’allentamento delle redini del regime, l’ETA comincia ad assumere la sua nota fisionomia. Sull’onda del movimento studentesco sessantottino – pressoché inesistente in Spagna – i terroristi baschi uccidono il primo agente della Guardia Civil, José Pardines, cui seguirà il capitano della Brigata Social di Gipuzkoa, nell’estate del Sessantotto.

Operaciòn OgroNel 1973, due anni prima della scomparsa del Caudillo, avviene l’azione più eclatante. Di ritorno dalla messa nella chiesa gesuita di San Francisco Borgia, l’auto dell’ammiraglio Luis Carrero Blanco, fedelissimo della Falange e alto funzionario ultra-cattolico, viene fatta saltare da un ordigno posto sotto il manto stradale. Cento chili di tritolo proiettano la vettura blindata ad oltre trenta metri d’altezza, che finisce incastrata su un balcone al secondo piano di un edificio vicino. L’episodio sarà portato sul grande schermo da Gillo Pontecorvo nel 1979. Trenta vetture prendono fuoco e ingenti danni vengono riportati dalla facciata della chiesa a dai palazzi circostanti. È l’inizio di un nuovo tipo di guerriglia, ben più spietata e spoglia d’ogni epica retorica: gli anni di piombo accolgono la Spagna nella transizione democratica che pochi anni dopo si appresterà a compiere.

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Operación Ogro. Fonte: infolibre.es

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Giacomo Cavaliere

Giacomo Cavaliere è nato a Torino il 16 luglio 1995 ed è studente della facoltà di Storia presso l'Università Statale di Milano. In passato si è occupato di esposizioni collettive e personali d'arte contemporanea, sia in qualità di curatore e organizzatore che di autore di critiche e recensioni per conto di artisti, spazi espositivi e gallerie. Attività che continua tutt'oggi a svolgere, principalmente tra Novara, Milano e Torino. Oggi, è autore di racconti di vario genere e tematiche, segnati da continue interazioni tra eventi realmente accaduti e personaggi di finzione o viceversa, manipolandoli in scenari di “contro-fattualità”. Alcuni racconti sono apparsi su l'inquieto, Bomarscé Malgrado le mosche e Sulla quarta corda, altri tre dovrebbero essere di prossima pubblicazione su altrettante riviste. Attualmente è editor presso la redazione di Light Magazine.

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