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Giovanni di Salisbury: un Machiavelli al fianco di Thomas Becket?

Autore del primo trattato di filosofia politica medievale, per certi versi sembra aver anticipato di tre secoli le riflessioni del "nostro" Machiavelli

12 minuti di lettura

Squisitamente curiosa per gli storici, ma probabilmente anche per gli appassionati di politica, può apparire la figura del filosofo ed ecclesiastico inglese Giovanni di Salisbury (1120-1180). Autore del Policraticus, il primo trattato di filosofia politica del Medioevo, formatosi negli ambienti ecclesiastici delle grandi scuole francesi ed inglesi, a contatto con i più grandi pensatori del suo tempo, sembra aver anticipato il pensiero che Niccolò Machiavelli svilupperà nella Firenze del Rinascimento.

Segretario della seconda cancelleria della Repubblica fiorentina Machiavelli; segretario e consigliere di Thomas Becket (cancelliere del re e arcivescovo di Canterbury), Giovanni. Autore del De Principatibus Machiavelli, autore del Policraticus Giovanni. Entrambi i trattati costruiti sul tema del rapporto umanesimo-politica e sul tema del principe e del buon governo. Possibile che Giovanni, più di tre secoli prima, abbia in parte anticipato alcune delle riflessioni del nostro più vicino e certamente più familiare Niccolò Macchiavelli?

La cattedrale di Chartres, Di Olvr – Opera propria, CC BY-SA 3.0, https://commons.wikimedia.org/w/index.php?curid=16331210

Il filosofo, il teologo, l’umanista: la poliedrica formazione di Giovanni di Salisbury tra Inghilterra e Francia

Nato e allevato in terra britannica, il nostro si trasferì sedicenne in Francia, a Parigi (1136). Seppur di origini non agiatissime, nacque da una famiglia molto legata agli ambienti ecclesiastici e al clero locale. Giovanni poté dunque avere una formazione iniziale presso la chiesa locale. In Francia finì per avere come maestro, all’ombra della cattedrale di Chartres, addirittura il filosofo Abelardo, figura cardine nel pensiero e nella teologia del Dodicesimo secolo, largamente noto per le sue dispute con Bernardo di Chiaravalle e per l’amore con Eloisa.

In questi ambienti, molto stimolanti, il futuro autore del Policraticus, si lascia probabilmente travolgere dallo spirito intraprendente non solo del suo maestro, ma anche di altri filosofi che quasi certamente conosce e frequenta: Teodorico di Chartres e Guglielmo di Conches. Ambienti particolari se pensiamo che intorno alla Chartres del Dodicesimo secolo iniziava a fiorire un inedito interesse, oltre che per la filosofia antica, anche per le scienze e l’interpretazione della natura. Tematiche che compaiono anche nell’arte architettonica della stessa cattedrale (come sottolinea nel suo saggio sul pensiero politico medievale Gianluca Briguglia, Einaudi).

La dottrina filosofica abbracciata da Giovanni di Salisbury fu quella del cosiddetto Probabilismo, con riferimenti al pensiero di Cicerone. Poche affermazioni possono effettivamente essere dimostrate razionalmente, mentre la maggior parte delle nostre conoscenze speculative possono essere più facilmente solo probabili. Non è da escludere che nel suo primo periodo di formazione francese non abbia avuto modo anche di conoscere lo stesso Bernardo di Chiaravalle, abate polemico impegnato in ferventi lotte ideologiche, oltre che col già citato Abelardo, anche col più potente Suger di Saint Denis.

Bernardo di Chiaravalle

Il ritorno in Inghilterra e gli ambienti monarchici della corte di Enrico II

Dopo una sua diretta partecipazione, nel 1150, al Concilio di Reims, Giovanni tornò in Inghilterra. S’imbarcò per le terre britanniche non in cerca di fortuna, ma già certo di trovare una collocazione di rilievo. Parrebbe, difatti, che sia stato proprio l’abate di Chiaravalle e raccomandarlo all’arcivescovo di Canterbury. Dal 1259, circa, divenne consigliere e segretario del cancellerie del re Becket. Forti furono i dissidi tra Thomas Becket ed Enrico II, sovrano piuttosto dispotico succeduto nel 1154 a Stefano di Blois, che determinarono l’esilio suo e di Giovanni al seguito.

L’assassinio di Thomas Becket nella cattedrale di Canterbury, in una raffigurazione d’inizio Tredicesimo secolo

Dissidi che per l’arcivescovo Becket non si conclusero bene. Il suo rifiuto ad apporre la firma ad alcuni articoli delle Costituzioni di Clarendon (1164), elaborati dal sovrano, fecero adirare Enrico. Gli articoli, nello specifico, parvero essere volti alla diminuzione dei poteri della Chiesa in Inghilterra. Nel 1170 Becket morì assassinato nella cattedrale di Canterbury, per mano di alcuni cavalieri del re. E proprio a Thomas Becket, in queste concitate fasi diplomatiche e politiche inglesi, Giovanni di Salisbury dedica il suo Policraticus, nel quale non solo si spinge a parlare di politica, ma anche dei casi opportuni in cui spodestare un tiranno.

Illustrazione di una disputa tra Enrico II e Thomas Becket in un manoscritto del Quattordicesimo secolo

Il Policraticus e i parallelismi con il Principe di Macchiavelli

L’opera politicamente rilevante di Giovanni, il Policraticus sive de nugis curialum et vestigiis philosophorum, (ne scrisse di altre strettamente filosofiche, come il Metalogicon, sulla logica aristotelica) sembra anticipare marcatamente il De Principatibus del segretario fiorentino. Dopotutto anche il pensatore di Salisbury ebbe incarichi diplomatici, presso la Santa Sede e a cavallo tra Italia, Francia e Inghilterra e non sempre con i risultati sperati dal suo re, Enrico II, che mal sopportava le ingerenze ecclesiastiche.

Al centro del suo trattato Giovanni pose il rapporto tra uomini e politica, ma forse più incisivamente il rapporto tra cultura e politica. Arrivò a definire un re ignorante come “un asino coronato”. Nella teoria da lui elaborata, anche la grande Roma antica avrebbe perso potere parallelamente alla perdita della coscienza culturale dei suoi imperatori e della sua classe dirigente. C’è da dire che Giovanni non risparmiò neppure la Chiesa, nonostante fosse un ecclesiastico e nonostante sarebbe finito per diventare vescovo di Chartres, città dove morì poi nel 1180.

Enrico II d’Inghilterra, in una miniatura custodita alla British Library

Vanità e stupidaggini, scriveva Giovanni, sono presenti sia a corte che negli ambienti della Chiesa, rifacendosi anche al tema delle maschere, del teatro della vita, delle falsità che dominano nei più alti ambienti monarchici così come nelle realtà meno incisive della società. Giovanni di Salisbury immaginò un mondo delle lettere e della cultura come modello ideale virtuoso da contrapporre all’anti-modello dei governanti del suo tempo, tanto ecclesiastici quanto politici.

Come Machiavelli descriverà nel suo Principe, anche Giovanni paragonò il corpo dello Stato a quello di un malato e il re al medico incaricato di curarlo. Seppure, come ben affermò l’autore del Policraticus, l’uomo al potere è sempre in bilico tra i due mondi descritti: quello delle frivolezze, delle sciocchezze, dell’ignoranza e della tirannia e quello della cultura, dell’umano, della virtù. Non dimenticando le delicate situazioni politiche dei frangenti in cui Giovanni compose il Policraticus, ampio spazio riveste nella sua costruzione letteraria e politico-filosofica la figura del re, con ragionamenti su quell’ombra intimidatrice di una possibile svolta tirannica che è sempre in agguato e minaccia i popoli.

Niccolò Machiavelli

Giovanni sa e scrive che il re, al quale attribuisce comunque, nella sua ottica cristiana, un legame con le leggi divine, concretizzatosi con l’incoronazione per mano della Chiesa, deve comunque sottostare alle leggi perché possa agire in modo virtuoso e saggio per il suo popolo. Il re che non segue le leggi come i suoi sudditi, anzi prima e meglio di essi, diventa un tiranno.

E pericolosamente l’autore si spinse anche oltre, rischiando di essere accusato di fomentare rivolte. Nel Policraticus elaborò anche una sorta di giustificazione morale per eventuali ribellioni ai tiranni (con l’allusione, neanche troppo velata, alla possibilità – seppure remota – di assassinare i tiranni).

Nel parlarne Giovanni s’ispirò certamente al Vangelo di Matteo: “Di spada perisca colui che mette mano alla spada” (26,52). Tuttavia la sua posizione rispetto alla possibilità concreta del tirannicidio rimane comunque piuttosto stemperata. Il principe deve essere per Giovanni la testa dello Stato e la Chiesa la sua anima, come i consiglieri il suo cuore. Alimentare la virtù nel popolo e combattere i vizi aiuta lo Stato a rimanere in salute. E appare quantomai suggestivo che questi suggerimenti siano contenuti proprio nel libro che Giovanni dedica a Becket, suo protettore ma al contempo cancellerie del re Enrico II, che lo farà uccidere dai suoi cavalieri.

La nomina vescovile, le altre opere, l’epistolario e la morte

Oltre all’impegnativo e affascinante trattato di filosofia politica che abbiamo esaminato sommariamente, Giovanni di Salisbury si dedico alla stesura di svariate altre opere. Già citato il Metalogicon, sulla logica aristotelica, in difesa di essa. Seguì al Metalogicon anche lEntheticus seu de dogmate philosophorum, dove riprende anche tesi della precedente opera aristotelica. Ma non solo.

Giovanni lasciò un rilevante epistolario che fornisce uno spiraglio luminosissimo sui suoi tempi; una testimonianza storica validissima. Iniziò in aggiunta anche una Historia Pontificalis, relativa soprattutto al pontificato di Eugenio III (al secolo Pietro Bernardo dei Paganelli) che però possediamo parzialmente. Nel 1176 gli fu affidato il prestigioso vescovato di Chartres, città dove si formò e dove costruì la sua intera esperienza filosofia e letteraria, facendo da precursore ad un umanesimo politico che esploderà solo secoli dopo. A Chartres spirò il 25 ottobre del 1180.

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RIFERIMENTI:

  • Gianluca Briguglia, Il pensiero politico medievale, Einaudi
  • Niccolò Machiavelli, Il Principe, edizione a scelta
  • Giovanni di Salisbury, Policraticus. L’uomo di governo nel pensiero medievale, Jaca Book
  • Marie-Dominique Chenu, La teologia nel XII secolo, Jaca Book
  • Giovanni di Salisbury – Wikipedia
  • Lloyd De Beer, Naomi Speakman, Thomas Becket: Murder and the Making of a Saint, British Museum

Paolo Cristofaro

Nato nel 1994, si è laureato in Lettere e Beni Culturali all'Università della Calabria. Presso lo stesso ateneo ha conseguito poi la laurea magistrale in Scienze Storiche, con una tesi di ricerca sul Medioevo. Collaboratore di quotidiani e riviste, è iscritto all'albo dei giornalisti pubblicisti.

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