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Sovranità condizionata: vicende italiane al confine del blocco occidentale

La vicenda di Enrico Mattei, il Piano Solo, il rapimento di Aldo Moro, l'organizzazione stay-behind Gladio, la crisi di Sigonella. Cosa accomuna queste pagine complesse e drammatiche della storia d'Italia?

16 minuti di lettura

La vicenda di Enrico Mattei, il Piano Solo, il rapimento di Aldo Moro, l’organizzazione stay-behind Gladio, la crisi di Sigonella. Cosa accomuna queste pagine complesse e drammatiche della storia d’Italia? Uno sguardo d’insieme può svelare i limiti della sovranità nazionale nella storia repubblicana? Chi ha sfidato il Blocco atlantico e chi ha cercato di impedire tale sfida? In questo breve articolo tenteremo questo sguardo d’insieme.

La storica foto di Churchill, Roosevelt e Stalin alla conferenza di Jalta, in Crimea, nel 1945

Parola d’ordine “Yalta”

Con le crisi militari in Ucraina (2022) e a Gaza (2023), si è tornato a parlare di blocchi, di schieramenti geopolitici, di funzione della Nato e dei suoi alleati. Alcuni temi caldi della storia d’Italia sono, conseguentemente, tornati alla ribalta. È possibile capire le posizioni dell’Italia oggi nel variegato scacchiere globale solo ripercorrendo alcune vicende cardine della storia repubblicana post-bellica. L’Italia a Yalta, nel 1945, divenne ufficialmente il fronte più orientale del blocco atlantico e degli Usa.

La conferenza, che vide al tavolo i tre principali protagonisti della Seconda Guerra Mondiale attivi a combattere Hitler (Roosevelt, Churchill e Stalin), tenutasi in Crimea nell’inverno del 1945, fissò le sfere d’influenza delle grandi superpotenze mondiali, assegnando, per farla breve, l’Italia al blocco occidentale e al controllo diretto degli Stati Uniti. Un equilibrio che fu necessario mantenere – a tutti i costi – per l’intera durata della Guerra Fredda, onde evitare di compromettere la stabilità militare e politica globale.

“Yalta” divenne una parola d’ordine, sia per i russi che per gli americani. Questa divisione del mondo, che tra gli anni Novanta e i primi Duemila si poteva ritenere quasi obsoleta e superata da un tentativo (più ragionevole) di pacifica condivisione e convivenza globale, oggi pare invece riaffermarsi con forza. Ricostruire il modo in cui tale divisione è stata mantenuta nei decenni passati, può essere utile – tanto storicamente quanto politicamente – a riflettere su tante scelte che ancora nella nostra contemporaneità vengono operate.

Il caso Mattei: l’Italia “braccata” dai servizi di mezzo mondo

L’Italia, al di là di quanto stabilito a “Yalta”, in più occasioni ha dimostrato di essere aperta a un confronto globale, senza per forza sentirsi vincolata oltremodo agli alleati atlantici, USA in testa. Ciò specialmente quando gli interessi nazionali portavano a guardare in più direzioni, in un’ottica policentrica. Una delle prime significative vicende post-Yalta, che ha segnato la storia d’Italia, posta sempre quel “confine grigio” del blocco occidentale, riguarda l’azione di Enrico Mattei, capostipite dell’Eni.

Enrico Mattei, capo dell’Eni dal 1953

Ex partigiano, convinto democristiano (non propriamente amato da una parte del partito, soprattutto da Andreotti) fu nominato commissario liquidatore dell’Agip, nata sotto il fascismo, finendo per diventare fondatore dell’Eni nonché artefice della ripresa del settore energetico italiano, che rese competitivo a livello globale dopo la situazione catastrofica nazionale seguita al secondo conflitto mondiale. Il problema? Mattei sfidò i colossi mondiali del petrolio, cercando di creare un margine d’inserimento per l’Italia.

Non ebbe alcuna intenzione di sottostare ai colossi economici neppure inglesi e americani, ma anche francesi, che iniziarono a detestarlo. Seguendo gli interessi italiani, le possibilità di espansione del mercato e degli affari energetici, non escluse aperture al mondo sovietico – e alle sue aziende – come non escluse proficue interlocuzioni e proficui accordi col mondo arabo, con paesi sia dell’Africa settentrionale che del Medio Oriente.

Inutile dire che Mattei finì braccato, come tutto il suo establishment (almeno quelli che lo favorivano e sostenevano) dai servizi segreti di mezzo mondo, soprattutto da quelli inglesi, come diligentemente ha riportato di recente un interessante saggio, Enrico Mattei e l’intelligence (2022). Per molti era inaccettabile che Mattei e l’Eni non ubbidissero ai grandi colossi occidentali, accontentandosi di poche briciole, tanto più se Mattei si dimostrava disposto a sfidarli persino stringendo accordi con quei paesi off-limits, cioè politicamente al di fuori del contesto occidentale e filoamericano, Russia in primis.

Ancora oscura e non priva di elementi inquietanti rimane la circostanza della sua morte, avvenuta nel 1962 a Bascapè, dove rimase vittima di quello che è sempre stato raccontato – senza adeguata analisi e approfondita analisi di tutti gli elementi – come un tragico incidente aereo, in un frangente in cui Mattei si era dimostrato profondamente paranoico rispetto alla propria sicurezza e ai legami del proprio entourage, tanto da ingaggiare “agenti” che per lui svolgessero una sorta di controspionaggio.

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1964: l’anno del “Piano Solo” e del tentativo di fermare la Sinistra

Fu un articolo de L’Espresso, a firma JannuzziScalfari, pubblicato nel 1967 a svelare agli italiani un vero e proprio colpo di Stato pronto per arginare l’avanzata della Sinistra in Italia e quindi – potenzialmente – una “pericolosa” vicinanza col mondo sovietico. Riportiamo la vicenda perché, nell’ottica della nostra ricostruzione del ruolo dell’Italia negli equilibri globali, ha mostrato una chiara azione “limitante” dell’autonomia politica nazionale, ma della stessa volontà democratica del Paese. L’Italia non doveva e non poteva aprirsi a Sinistra.

Il cosiddetto “Piano Solo” fu elaborato dall’allora Comandante Generale dei Carabinieri, Giovanni De Lorenzo, col benestare del Presidente della Repubblica Antonio Segni, nel 1964. Il piano, la cui organizzazione avvenne sottotraccia – da alcuni definita “rumor di sciabole” – fortunatamente non andato in porto, prevedeva l’eventuale occupazione delle sedi di partito di sinistra, l’arresto di esponenti politici, l’occupazione militare delle sedi Rai e addirittura il confino sia per politici che per intellettuali schierati.

Giovanni De Lorenzo, Comandante Generale dell’Arma, poi Capo di Stato Maggiore dell’Esercito
Il Presidente della Repubblica Antonio Segni, in carica dal 1962 al 1964

De Lorenzo e i vertici militari, ma anche lo stesso Segni, negarono sempre tale tentativo di colpo di Stato. Persino la Commissione Parlamentare d’inchiesta negò l’esistenza di un tentativo in tal senso. Dalle prove emerse, tuttavia, apparve chiaro l’esistenza quantomeno di un “piano di emergenza” da attuare – anche militarmente – in caso di un concreto pericolo di affermazione elettorale della Sinistra in Italia. Difficile credere che l’azione, in un certo senso, non fosse nota anche ai servizi americani e alla Casa Bianca.

Parte del piano dovevano essere anche alcune basi militari – specialmente in Sardegna – utilizzate in seguito dall’organizzazione stay-behind Gladio, coperta dalla Nato, per addestramenti e logistica. Dopo le indagini emerse il fatto che talune documentazioni in possesso del SIFAR (l’allora Servizio Informazioni delle Forze Armato) erano state distrutte e varie altre coperte da segreto.

Il caso Moro: una vicenda internazionale oltre le BR

Sicuramente suggestivi gli spunti di riflessione forniti, il 7 gennaio scorso, dall’inchiesta di Report, su Rai 3, relativa al caso del rapimento e dell’uccisione di Aldo Moro, nel 1978. Chi c’era oltre le Brigate Rosse? Che dettagli sono stati trascurati? A chi avrebbe giovato l’uscita di scena del leader democristiano? Quali sono i segreti indicibili dietro la complessa – e fallita – trattativa per la sua liberazione? Tutte domande più che legittime, considerando il peso di quel drammatico episodio sulla storia politica italiana.

L’agguato di via Fani a Roma, il 16 marzo 1978

Moro e il compromesso storico. Moro e l’apertura a sinistra. Moro e il dialogo con i comunisti. Questi i motivi per i quali – forse – la sua liberazione non avrebbe giovato a nessuno? Nella nostra rassegna di fatti per ricostruire i dati d’insieme sul ruolo italiano sullo scacchiere internazionale, non può mancare una menzione a quei tragici 55 giorni di suspence e di destabilizzazione che hanno condotto all’epilogo nero del bagagliaio della Reanult rinvenuta via Caetani.

Se Moro avesse aperto a sinistra, se Moro avesse condotto i comunisti al governo, la parola d’ordine “Yalta” sarebbe saltata, un paese cardine per la Nato, come l’Italia, avrebbe spalancato le porte a rapporti e a scambi col mondo sovietico. Non del tutto inverosimile, considerando i legami del Partito Comunista Italiano con i servizi sovietici e con lo stesso governo di Mosca, appurati negli anni successivi. Dopotutto i comunisti italiani da Mosca, per decenni, hanno ricevuto supporto, anche economico. Ci pensò anche Craxi a ribadirlo nella celebre udienza con Di Pietro, raccontando i retroscena dei partiti italiani.

Nell’ottica ipotetica di impedire la salita al potere dei comunisti in Italia – col conseguente e inevitabile legame sovietico – si spiegherebbero non i tentativi di liberare Moro, ma quelli più occulti, sempre teorizzati e mai ufficialmente condannati, di non farlo liberare o, peggio, di nascondere la verità su quei mesi del 1978, durante i quali i servizi segreti, non solo italiani – così come la P2 – svolsero un ruolo e non si sa bene in che direzione. Idem per Gladio, che preoccupò ancora Giovanni Falcone negli anni Ottanta e sulla quale lo stesso Falcone indagò. L’azione contro Moro ebbe mandanti o sostenitori internazionali?

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Craxi, la crisi di Sigonella, la questione israelo-palestinese

Aeronautica Militare e Carabinieri da una parte, militari della Delta Force americana dall’altro, con le armi in pugno. Tutti a circondare un velivolo fatto atterrare alla base aerea di Sigonella, in Sicilia. Era il 1985. A bordo dell’aereo c’erano esponenti dell’OLP e i dirottatori della motonave “Achille Lauro”. Tutti legati all’ambito palestinese. L’intercettamento dell’aereo, a opera di caccia americani decollati dalla portaerei “Saratoga”, era stato reso possibile da informazioni fornite dai servizi di sicurezza israeliani.

Bettino Craxi, leader del Partito Socialista Italiano

L’aereo, senza previ accordi con l’Italia, fu fatto atterrare, scortato dai caccia americani, alla base militare di Sigonella, in Sicilia. Gli uomini della Delta Force statunitense lo circondarono sperando di prendere facilmente in consegna gli occupanti del velivolo. Operazione complicata dal “no” dell’allora capo del governo italiano: Bettino Craxi, leader del Partito Socialista, che intanto era stato contattato da esponenti della CIA con linea diretta.

La crisi di Sigonella e lo stallo in aeroporto

In quel momento la crisi diplomatica tra Italia e Stati Uniti fu totale. Fu probabilmente l’ultima rilevante azione, da parte di un governo italiano, di rimarcare l’autonomia nazionale nonostante la collocazione del Paese nel blocco occidentale e nell’ambito dei trattati Nato. La vicenda è più attuale che mai. Già allora il tema centrale riguardava i rapporti tra israeliani e palestinesi, crisi riesplosa vigorosamente nel 2023. Craxi più volte aveva sottolineato le ragioni dei palestinesi, la necessità di garantire due stati. Già allora l’Italia si trovò fortemente sotto pressione da parte degli Stati Uniti affinché vi fosse unanime appoggio rispetto alla posizione della Nato.

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Come si è tentato di ricostruire in questo articolo, l’Italia è stata insomma più volte “richiamata all’ordine” in merito alla propria posizione politica, ma anche economica, internazionale. Molte delle vicende e delle decisioni alle quali ancora assistiamo, si svolgono esattamente come si sono svolte in passato, con la quasi totale impossibilità del Paese di valutare come e quando schierarsi o a favore di chi. Si tratta di dati storici innegabili. Certo, anche in Italia ci sono sempre state parti politiche favorevoli a posizioni pienamente atlantiste, ma le parti opposte non hanno certo avuto vita facile.

La logica è, ancora oggi, quella dei “blocchi”. Blocco occidentale da una parte, blocco orientale dall’altro. Una logica rispolverata e forse fatta risorgere, più di recente, dal riaccendersi di profondi e pericolosi conflitti internazionali, nell’ambito dei quali la Nato continua a svolgere giocoforza un ruolo emergente. In molti, però, sia a livello di analisi storica che politica, si domandano sempre più insistentemente, quanto durerà la logica dei blocchi e a cosa potrà portare. La storia, anche in questo caso, sicuramente rivela tante cose.

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SUGGERIMENTI DI LETTURA:

  • Enrico Mattei e l’Intelligence, Rubbettino, 2022
  • I 55 giorni che hanno cambiato l’Italia, Newton&Compton, 2013
  • La notte di Sigonella. Documenti e discorsi sull’evento che restituì orgoglio all’Italia, Mondadori, 2019
  • Il “piano solo”: I Servizi segreti, il centrosinistra e il golpe del 1964, Mondadori, 2014
  • Il caso Mattei, Chiarelettere, 2020

Paolo Cristofaro

Nato nel 1994, si è laureato in Lettere e Beni Culturali all'Università della Calabria. Presso lo stesso ateneo ha conseguito poi la laurea magistrale in Scienze Storiche, con una tesi di ricerca sul Medioevo. Collaboratore di quotidiani e riviste, è iscritto all'albo dei giornalisti pubblicisti.

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