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Grand Budapest Hotel
fonte: dunbarfilm.org.uk

«Grand Budapest Hotel»: la fenomenologia del mentore

5 minuti di lettura

Vivere e convivere

All’interno della breve critica alla civiltà odierna poco sotto citata, si inserisce il film Gran Budapest Hotel di Wes Anderson (2015). Il primo e fondamentale insegnamento di questo film è che da un buon insegnamento deriva un buon apprendistato e da essi si può discernere un mentore e un allievo (figure che oggi è quasi impossibile vedere).

Il secondo insegnamento è l’ereditarietà: da un buon mentore nasce un altro, futuro, buon mentore. Insegnare significa educare e l’educazione non è qualcosa che si impara sul momento e poi si dimentica come una brutta lezione di filosofia. La propedeutica ci insegna a conservare il meglio in quanto ciò che ci fa progredire.

Educare significa anche preparare una buona base per costituire il meglio. Umanità, civiltà, amicizia, fratellanza e dolcezza, (come diceva Hegel nelle sue lettere a Hölderling “Fraternizirung” – fraternizzare) sono le parole chiave portate a espressione magistrale in Grand Budapest Hotel. Un film che insegna a vivere e a con-vivere, cioè a vivere con sè stessi essendo amici di sè stessi, per usare un’espressione di Seneca, e al contempo ad essere amici degli altri.

Grand Budapest Hotel
fonte: filmdefestival.ro

Breve critica alla civiltà odierna: l’assenza del mentore

Ci fu un tempo in cui l’insegnamento non era una disciplina, in cui l’educazione non era ancora propedeutica e soprattutto ci fu un tempo in cui esistevano gli anni della formazione, che erano intrisi di fiducia e di acritica attenzione. Nel nostro mondo, in cui ogni occupazione é diventata ambito disciplinare e in cui ogni apprendimento è diventato fastidiosa rinuncia del vano ozio irriflessivo, l’educazione è ormai una nostalgia del passato.Uno dei difetti più grandi del nostro tempo è senza dubbio la presunzione e la disattenzione dei giovani, requisiti, questi, incompatibili con qualsiasi insegnamento.

La cultura, un tempo patria del gioco, è ormai divenuta sforzo frainteso dell’apprendimento, cioè fraintendimento della conoscenza. Conseguenza diretta di tutto ciò: l’incapacità di vivere. Connessa a questa incapacità c’è immancabilmente un’altra mancanza: la libertà di saper usare il proprio tempo.
Perdere tempo ormai non ha più quasi nessun significato altro dalla norma: normalmente si perde tempo; qualche volta si riesce a farne tesoro.

Trama di «Grand Budapest Hotel» e il suo protagonista: Il mentore all’opera

Il film è propriamente un racconto nel racconto strutturato su tre livelli: l’allievo racconta del suo mentore, una volta divenuto mentore, a uno scrittore che a sua volta racconta la storia a noi spettatori. Il film si ispira alle opere del poeta-drammaturgo austriaco Stefan Zweig, autore influenzato da Rilke e noto per aver tradotto romanzi e poesie di Paul Verlaine.
Grand Budapest Hotel è il romanzo del suddetto scrittore. Nel 1985 lo scrittore racconta le origini della sua opera; nel 1968 si entra nell’opera stessa. Nella repubblica di Zubrowka si trova il Grand Budapest Hotel, un albergo in decadenza che sopravvive grazie al suo prestigioso nome e ai fasti del suo passato.

Nel 1932 il Grand Budapest è in pieno splendore. Gustav H. (il mentore) è il proprietario dell’hotel, eccentrico, educato, bugiardo, cortese e rispettoso dell’umanità, è l’uomo che si fa amare da tutte le sue amiche. Egli assume un garzoncello (lobby boy), l’allievo, di nome Zero Moustafa, che lo segue e lo aiuta in tutta la serie di rocambolesche peripezie in cui lo conduce Gustav.

Nel 1968 il proprietario è l’allievo ex garzoncello, co-narratore della storia. Sta tentando di salvare il Grand Budapest, luogo di una civiltà ormai anacronistica e per questo in decadenza. Con il suo atteggiamento gentile, ma con una menzogna bourgiose che rivela il livello propedeutico di essa, Zero afferma che conserva il Grand Budapest solo per il ricordo di Gustave e per la memoria di Agatha, una cameriera conosciuta quando era lobby boy, poi divenuta sua moglie e morta dopo soli due anni di matrimonio, ricordando a sua volta il Grand Budapest, questo luogo dei tempi passati in cui apprendimento e avventura erano di casa.

 

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Lorenzo Pampanini

Classe 1994. Laureato in Scienze Filosofiche all'Università La Sapienza di Roma.

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