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La modernità eterna di «Guernica»

A quasi un secolo dalla sua realizzazione, «Guernica» di Pablo Picasso racconta la drammaticità della situazione attuale.

11 minuti di lettura

Tra i quadri in assoluto più famosi della storia, Guernica di Pablo Picasso è un’opera complessa e stratificata, frutto di rielaborazioni profonde non solo nello stile ma anche nel significato che questo si porta dietro. Eppure, soprattutto oggi che la guerra l’abbiamo vicina, che le catastrofi naturali si fanno sempre più frequenti, si conferma simbolo di modernità – o dovremmo dire contemporaneità – senza data di scadenza.

Rappresentazione dell’astrazione contemporanea

Guernica è sostanzialmente il tentativo di conciliare conflitti, contraddizioni e incoerenze tipici della nostra epoca. Si tratta (anche) della rappresentazione di una catastrofe bellica ma, per quanto si potrebbe pensare il contrario, il bombardamento tragico della città spagnola ad opera dei tedeschi – primo bombardamento a tappeto della storia – non è il tema centrale del dipinto. Picasso riunisce infatti sulla tela tutta una serie di concetti astratti che caratterizzano la vita contemporanea, segnata da cambiamenti drastici e improvvisi, cercando di rappresentarli e in tal modo elaborarli anche nella quotidianità. Come opera d’arte, Guernica non ha più a disposizione forme tecniche, modi espressivi tradizionali e frequentati da altre generazioni prima. Ogni artista è ora solo e con ogni opera che crea si deve costruire un mondo nuovo e personale.

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Picasso, all’arrivo della notizia della strage, avvenuta il 26 aprile 1937, aveva già ricevuto l’incarico dall’Esposizione universale di Parigi di dipingere qualcosa che potesse rappresentare l’appena nata Repubblica libera e democratica della Spagna. Avendo avuto notizia dai giornali, quindi senza supporto visivo, del bombardamento, l’artista cambia radicalmente i suoi piani e inizia a dipingere Guernica.

Analisi di «Guernica» di Picasso secondo Max Raphael

Lo storico e critico d’arte Max Raphael (1889-1952) ha dedicato a Guernica molti scritti. Max Raphael conobbe Picasso nel 1911 e da allora intraprese un lungo percorso di ricerca circa l’operato dell’artista.

Per l’analisi dell’opera è necessario partire, secondo lo studioso, da ciò che si vede – operazione a fondamento dell’Estetica. Come detto, Guernica di Picasso è un’opera fatta di contraddizioni: forma e contenuto, superficie e spazio, colore e disegno, dimensione spaziale e dimensione temporale, statica e dinamica del dipinto non corrispondono tra loro e creano confusione nell’osservatore. Abbiamo a che fare, infatti, non più con una rappresentazione oggettiva e realistica di una situazione, ma con la coscienza dell’artista, le sue emozioni, oltre che con le leggi del divenire degli oggetti – rimane infatti comunque un dipinto oggettuale, figurativo.

Guernica

La prima impressione quando si vede Guernica di Pablo Picasso è uno shock, in quanto tutte le aspettative del visitatore di fronte a un qualsiasi fenomeno visivo vengono disattese. Mancano un punto focale, un orizzonte prospettico e possibilmente anche una verticale divisoria tra sinistra e destra.

Il primo tentativo di leggere questo quadro, basato sulla tradizione e la consuetudine della fruizione dell’arte, è quindi fallito. Il secondo tentativo prende avvio dalla divisione del quadro in tre parti principali, verticalmente, ovvero due fasce più piccole ai lati e una grande area al centro. Questo rapporto suggerisce un trittico. Forse Picasso ha effettivamente usato questa forma medievale di pittura come riferimento. Tuttavia, se così è, distrugge comunque la forma citata, tipico modo di fare delle avanguardie classiche, attraverso l’utilizzo di diagonali. Si potrebbe chiamare questo modo di procedere parodia.

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Avendo tematizzato le diagonali, l’intelletto corre a un’altra forma che potrebbe essere rappresentativa o rappresentata in questo quadro, cioè il timpano. Ma anche questa viene citata e distrutta allo stesso tempo, per il semplice fatto che le diagonali corrono nello spazio della rappresentazione in modo non coerente tra loro, intersecandosi talvolta e non coincidendo mai in punti focali.

Il metodo che ha portato alla versione finale del quadro è un metodo tipico di quegli anni: il collage surrealista. Picasso ha dipinto degli studi e li ha poi attaccati alla tela grande e copiati. Ciò aiuta l’elaborazione dell’incoerenza che pervade questo quadro. Siamo di fronte a delle membra, ai “cadaveri squisiti” surrealisti. Anche le citazioni sono distrutte. Ad esempio, la donna con il bambino è una Pietà, ma tra le braccia ha un bambino, appunto, anziché un uomo.

Distruzione dell’uomo e della sua percezione

Tutto il quadro ostenta, a livello figurativo ma anche spirituale, intellettuale, la distruzione delle nostre facoltà percettive. Il quadro incita, sfida a essere guardato come corpo, di fronte al quale, come dice Baumgarten, gli altri corpi si devono posizionale. L’osservatore accoglie l’invito, vuole guardare ma non ci riesce, vedendo solo incoerenza e contraddizione. Picasso ingaggia una lotta con l’osservatore. La forma è plurivalente e cambia in base ai sensi di lettura, alla posizione che si adotta. Non è soltanto il quadro, dunque, a essere contraddittorio, ma è la fruizione che non permette di creare un’unità di veduta.

Il dipinto impedisce di creare un armonico sviluppo di una forma, di creare ciò che potremmo chiamare oggettività, oggettualità, come la pittura tradizionale ha sempre fatto, e con ciò Picasso distrugge la parvenza di costituire una realtà perfettamente oggettiva e conosciuta. Ma non lo fa attraverso una pittura astratta, rimanendo invece fedele alla figuratività. Tra forma e contenuto apre però un abisso, nel quale scompare il mondo rappresentato. Quale mondo? Sia quello naturale dei corpi, sia quello storico.

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Il corpo dello spettatore, così come quello dei soggetti rappresentati, si ritrova nel soverchiante campo di forze attuali, contemporanee alla realizzazione del quadro ma infondo anche a noi, seppur in forma diversa. Questo campo di forze racchiude le forze della tecnica, delle masse e del potere. E questo, per l’appunto, rappresenta l’impotenza dell’uomo disumanizzato – quello che urla o che comunque ha la bocca aperta – di fronte a qualcosa che non ha nome e che rimane inaccessibile.

Il quadro paralizza e dice ai nostri sensi una sola cosa: guardami come corpo e renditi conto che tu, corpo, con sensibilità, esteticità, devi superare la tua corporeità. I sensi vengono coinvolti nella fruizione di Guernica unicamente per superarli, in un movimento di spiritualizzazione (intesa in senso hegeliano), movimento del sublime, di straniamento. Il quadro espone non tanto se stesso, quanto piuttosto l’osservatore, la sua insufficienza e fragilità. Guernica rende coscienti del fatto che i nostri sensi sono insufficienti alla visione non soltanto del dipinto, ma anche del mondo nel quale dobbiamo tornare dopo averlo visto. Bisogna leggere ciò che non è scritto-dipinto in Guernica, rendere visibile l’invisibile. Questo è l’imperativo, più o meno raggiunto, di tutta l’arte contemporanea.

Il fallimento della storia in «Guernica» di Picasso

Tutto in Guernica è mezzo di rappresentazione per qualcosa che in quanto tale non è rappresentabile. Tutto in Guernica costringe a guardarlo, ma ciò che si vede non è nulla, anzi è il nulla. Questo perché Picasso non rappresenta semplicemente un avvenimento storico, ma spezza la continuità della storia, che la borghesia otto e novecentesca ha insegnato a vedere come progresso. Detto altrimenti, Guernica non rappresenta un avvenimento storico ma tutta la storia e la rappresenta in modo tale che non si capisca, ovvero che il visitatore venga catapultato fuori dalla storia stessa. Questo può essere riassunto con il modo in cui Walter Benjamin ha definito la rivoluzione: la rivoluzione non è, come invece voleva Marx, la locomotiva della storia, ma il disperato tentativo dell’umanità che sta dentro il treno della storia di afferrare il freno di emergenza.

Non c’è più nulla di naturale o ovvio. Il corso della storia si è rivelato essere falso. Il fatto che le cose continuino così come stanno andando avanti, secondo Benjamin, è già la catastrofe. Il problema non è dunque che la storia porti a dei momenti catastrofici, ma che è essa stessa, in se stessa, la catastrofe. Cosa ci può essere di più attuale?

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Rebecca Sivieri

Classe 1999. Nata e cresciuta nella mia amata Cremona, partita poi alla volta di Venezia per la laurea triennale in Arti Visive e Multimediali. Dato che soffro il mal di mare, per la Magistrale in Arte ho optato per Trento. Scrivere non è forse il mio mestiere, ma mi piace parlare agli altri di ciò che amo.

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