Il gruppo londinese Mumford & Sons è reduce da un disco uscito solo qualche mese fa ma che ha venduto milioni di copie in tutto il mondo. Abbandonano il banjo, le chitarre acustiche, il contrabbasso, la grancassa e attaccano l’elettricità, le Telecaster, il basso elettrico, la batteria e i synth. Wilder Mind cambia stile alla band, affermando quel cambio di rotta annunciato già in precedenza, la ricerca di nuovi suoni e di nuovi orizzonti da esplorare così da evitare il fantasma della ripetitività.
«È una continuazione logica di quello che siamo e che abbiamo fatto: non siamo mai stati davvero una band folk, ora siamo solo un po’ più rock». Si spiegano così Ted Dawne e Ben Lovett, bassista e tastierista dei Mumford & Sons , parlando alla stampa prima della data sold out di lunedì 29 giugno all’Arena di Verona.
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Il concerto inizia al buio, alle prime ombre della notte con le luci che stentano ad accendersi, aprendo il concerto con Lover’s Eyes e un effetto scenico con le luci da brivido. Le canzoni dei vari dischi vengono intervallate, marcando la differenza che c’è fra questi (specialmente tra i primi due e l’ultimo), cambiando più volte la strumentazione sul palco. È un continuo via vai di gente, di chitarre, di posizioni per creare uno spettacolo in cui nulla mai è fermo, mai banale. Marcus Mumford (il cantante/chitarrista della band), oltre ad essere un frontman spettacolare, si dimostra (un po’ goffamente ma con la giusta grinta) un ottimo batterista e tastierista di alcune delle canzoni proposte durante la serata.
«Vogliamo ballare!» continuava ad esordire la band con un italiano buffo ma azzeccato, tirando fuori dal repertorio i grandi classici: I Will Wait, Lover of the Light e The Cave, tutti provenienti dal disco Babel, album che ha consacrato il quartetto inglese facendogli ottenere anche un Grammy come miglior album nel 2013. Dice Lovett:
«Abbiamo provato a ri-arrangiare i pezzi vecchi, che in alcuni casi funzionano anche in versione elettrica, ma non sono stati ricevuti bene e abbiamo deciso di riproporli come li conoscono i fan: noi siamo qui per loro, non per noi stessi»
Il pubblico si infiamma per i classici ed applaude normalmente per i pezzi del nuovo album, quasi che non fosse ancora stato digerito nonostante i mesi dal debutto del disco, oppure non fosse allo stesso livello del precedente.
C’è una dura convivenza tra le canzoni proposte durante la serata, una linea di demarcazione profonda che divide il ballare grintosamente dall’ascoltare seduti sui gradoni in pietra dell’Arena. La qualità della musica è senza dubbio elevatissima, la coerenza dello stile proposto meno. Il pubblico apprezza per fiducia quei nuovi pezzi, probabilmente speranzosi in un ritorno dello spirito che ha inciso la canzone Little Lion Man.
Nonostante tutto, circa 15mila persone hanno assistito ad uno spettacolo eccezionale ed indimenticabile.
Da sottolineare la voglia della band di salire sul palco imperiale dell’Arena, riuscendoci proprio nel clou del concerto, correndo in mezzo al pubblico, suonando un pezzo fuori scaletta, cantato a cappella e rigorosamente in acustico. «L’Arena è uno dei posti più belli in cui abbia mai suonato, anche perché mi permette di fare cose come questa» esordisce Marcus Mumford salito sul piccolo palco reale appena conquistato. La folla impazzisce ed accorre più vicino per vederli meglio durante questo fuori programma spettacolare, nel quale il leader della band gioca con il pubblico e suscita risate con il suo italiano improvvisato.
La più grande conquista dei Mumford & Sons all’Arena di Verona è stata quella di riuscire a far sentire tutti a casa, nonostante essi provengano da migliaia di chilometri di distanza, da un Paese e una lingua diversa. Non hanno suonato come la solita band straniera che esegue freddamente il suo spettacolo sapendo di non poter interagire, ma come veri professionisti ed artisti quali sono.
[Nota negativa: il fonico ha permesso per tutta la durata del concerto che i bassi grattassero fastidiosamente nelle casse. Qualsiasi sia stato il problema, una grande band dovrebbe meritare anche un grande service tecnico, quale non è stato durante quella sera]
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