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L’immagine opaca della solitudine: «Si nota all’imbrunire» al Piccolo Teatro Grassi

2 minuti di lettura

La finzione immaginativa

Quando si parla di immaginazione, inevitabilmente il discorso si delinea con contorni labili e sfumati, come se immaginando si tentasse di evadere dal solco della reale quotidianità, per sviare verso altre direzioni, dove piuttosto che camminare, ci si innalza sino ad avere la testa tra le nuvole.

L’immaginario scatena la fantasia al punto da coinvolgere in un vortice di pensieri spesso sconnessi. La potenza stessa dell’immaginazione le dona una forza tanto influente da diventare pervasiva: il flusso dei pensieri che si sfoga liberamente, sfocia inevitabilmente nella realtà, modificandola. La finzione del reale è la ricostruzione del quotidiano secondo l’immaginazione: quando si immagina, si finge senza ingannarsi.

 Non esiste illusione poiché la realtà è da sempre ricolma di immaginazioni possibili, è la realtà stessa a scaturire quella facoltà prettamente umana, dai giochi infantili alle opere d’arte rappresentazionale, letteratura, teatro, cinema. L’immaginazione può ricreare il mondo, a patto di riconoscerne l’artefice. 

Immaginazione e solitudine

Quando si immagina, si è inizialmente soli. Per condividere la propria immaginazione è necessario esserne pienamente consapevoli, bisogna sapere che si sta immaginando, che si è iniziato un gioco che può coinvolgere diversi partecipanti: il rischio della bidimensionalità delle immagini è il misconoscimento della profondità del reale.

Si può restare prigionieri della propria immaginazione, fingendo solamente la propria solitudine. quando si è soli, si gioca in continuazione con la ripetizione di sé stessi. L’immaginazione è un giano bifronte, il cui risvolto è la noia della solitudine. 

La quotidianità diventa la riproposizione di sé, dei propri pensieri, gusti e preferenze, resi opachi dalla monotonia. Lo sguardo si disabitua alla varietà pittorica della vita, che solo gli Altri possono conferire con la propria particolarità. La solitudine è il lento tramonto della diversità, è diventare spettatori di sé al teatro della Vita.

                                                                                            Foto da: www.piccoloteatro.org

L’immagine di sé stessi

Così suggerisce Si nota all’Imbrunire, al Piccolo Teatro Grassi dal 12 al 31 marzo: una lenta decadenza dei rapporti umani, un dolore continuato con perseveranza che diventa assuefazione silenziosa. Lucia Calamaro (autrice e regista) dà magistralmente corpo e voce alla solitudine umana attraverso le vicende del protagonista Silvio ( Silvio Orlando).

La storia della vita di un uomo è il racconto tragicomico dei suoi pensieri, di una solitudine acuta che pungola e affila i contorni esistenziali della sua figura, costringendolo in un modo di vivere amaro e malinconico. La nostalgia della moglie defunta diventa il guscio subdolamente protettivo in cui rifugiarsi da sé stesso, rifuggendo i figli Riccardo, Alice e Maria (Riccardo Goretti, Alice Redini, Maria Laura Rondanini) e il fratello Roberto (Roberto Nobile).

 L’occasione della ricorrenza della morte della consorte aggrega cinque familiari ormai estranei gli uni agli altri: nel racconto di sé ci si frantuma nei propri desideri e manie. Ognuno è immagine di sé stesso nella finzione dei propri rapporti.

Fingere la volontà

Attraverso un acuto utilizzo del meccanismo metateatrale, Silvio Orlando suscita l’autentica compartecipazione del pubblico, spettatore attivo dell’incontro di solitudini, ancorate solamente in sé stesse, ironicamente incapaci di dialogare.

Il protagonista stesso svela l’artificio immaginativo, nella scomparsa immediata degli altri personaggi, alla luce della strana apparenza che assume la vita costruita con la propria solitudine. L’immaginazione confonde e suscita compassione perché frutto delle proprie convinzioni portate all’estremo limite che chiude in sé stessi, poiché precluso da una consapevolezza ormai resa sterile dall’abitudine.

La tragicommedia coinvolge e convince per la reale ambiguità della scelta di essere soli, tra volontà e rassegnazione, e con elegante ironia suscita l’empatia del pubblico meravigliato e sinceramente sorpreso dall’intelligenza profonda della messa in scena, sconvolgendo le apparenze che assume la vita nel momento in cui, da soli, si decide come sia.

 

Anastasia Ciocca

Instancabile sognatrice dal 1995, dopo il soggiorno universitario triennale nella Capitale, termina gli studi filosofici a Milano, dove vive la passione per il teatro, sperimentandone le infinite possibilità: spettatrice per diletto, critica all’occasione, autrice come aspirazione presente e futura.

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