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La «Madonna della vittoria» di Andrea Mantegna

La pala di Andrea Mantegna è un inno alla magnificenza: la vittoria trionfante di Francesco II Gonzaga si dipana in un ritratto rinascimentale di fede e forza militare. Un capolavoro che, con straordinaria maestria, cattura l'essenza epica di un'epoca gloriosa

6 minuti di lettura

La Madonna della vittoria è una pala d’altare realizzata da Andrea Mantegna (Isola di Carturo, 1431 – Mantova, 1506) nel 1496 in occasione della vittoria militare contro le truppe francesi di Francesco II Gonzaga. Tempera su tavola conservata oggi al Louvre, dove è arrivata in seguito al trafugamento da parte delle truppe napoleoniche, è sicuramente una delle opere più famose e rappresentative della permanenza mantovana dell’artista veneto.

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Madonna della vittoria (fonte: Wikipedia)

Il contesto storico: le ragioni della committenza

Grazie ad una ricca corrispondenza tra l’artista e il committente, è stato possibile per gli studiosi ricavare importanti dettagli sulle modalità della committenza.

Il 6 luglio 1495 il marchese di Mantova vinse, a discapito dei francesi, la Battaglia di Fornovo alla guida dell’esercito della Lega Santa sostenuta da papa Alessandro VI, da Venezia, da Ludovico il Moro dall‘imperatore Massimiliano I e dal re spagnolo Ferdinando II d’Aragona. Nel frattempo, durante l’assenza di Francesco II Gonzaga dalla città natale, l’ebreo Daniele Norsa acquistò una casa in borgo san Simone: previa una richiesta e un successivo pagamento, decise di eliminare dal muro esterno della proprietà un’icona della Vergine. Tuttavia, nonostante la delibera ricevuta, l’azione venne considerata sacrilega e l’ebreo fu vittima di numerosi attacchi dei concittadini: Sigismondo Gonzaga, cardinale fratello del marchese, sfruttò la situazione a proprio favore per far demolire la casa e far costruire al posto di quest’ultima una chiesa dove far porre la pala; la totalità della committenza fu dunque ingiustamente saldata da Daniele Norsa.

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Analisi della «Madonna della vittoria»: descrizione e stile

La tempera su tavola è un esempio di sacra conversazione: a differenza delle storie sacre, questo tipo di iconografia non prevede una correlazione storica-temporale tra i santi raffigurati, i quali sono piuttosto legati alle esigenze culturali e personali a cui l’opera è destinata.

Al centro svetta la Madonna in trono che con una mano sorregge il Bambino, mentre con l’altra benedice Francesco II Gonzaga in preghiera. Dalle lettere è stato possibile evincere come vicino a quest’ultimo, nel progetto iniziale dell’opera, avrebbe dovuto trovare posto l’intera famiglia: alla fine, però, il marchese è l’unico protagonista non divino del dipinto a sottolineare come sia l’unico artefice della vittoria. A sostituire la moglie Isabella d’Este è sant’Elisabetta, posta specularmente rispetto al marchese, il cui sguardo rivolto verso la Vergine è duplicato da quello del piccolo san Giovanni Battista che impugna una croce su cui è appeso il cartiglio con la scritta «CCE / AGNVS / DEI ECCE / Q[VI] TOLL / IT P[ECCATA] M[VNDI]».

In primo piano in piedi vicino al trono sono presenti i santi guerrieri San Michele Arcangelo e San Giorgio con i loro tipici attributi iconografici, rispettivamente la spada e la lancia spezzata. In secondo piano Mantegna ha posto invece Sant’Andrea e San Longino: entrambi legati alla città di Mantova, allargano il manto della Vergine in modo che protegga Francesco II Gonzaga.

La scena si svolge all’interno di un’abside contraddistinto da un’abbondanza decorativa ereditata dal maestro Francesco Squarcione. Sopra le testa della Vergine e del Bambino è presente un corallo rosso acceso simbolo apotropaico e un rimando al sangue della Passione di Cristo.

Il trono è decorato con marmi screziati e tre bassorilievi tratti dalle storie della Genesi: a partire da destra la Creazione di Adamo, il Peccato originale e la Cacciata dei progenitori dall’Eden.

Andrea Mantegna: uno dei più grandi interpreti del Quattrocento

Definito da Giorgio Vasari un pittore «d’umilissima stirpe», Andrea Mantegna fu uno dei maggiori esponenti non solo della pittura veneta quattrocentesca ma dell’intero Rinascimento italiano. Nato nel 1431 in provincia di Padova, si formò presso la bottega di Francesco Squarcione da cui apprese le nozioni base sulla resa prospettica e anatomica e da cui ereditò soprattutto un attento gusto decorativo.

A Padova trovò un clima culturalmente molto fertile: si confrontò molto presto con l’arte di Giotto e Donatello. La prima committenza arrivò nel 1448 e fu la Cappella Ovetari nella Chiesa degli Eremitani di Padova, parzialmente distrutta da un bombardamento nel 1944.

Nel 1449 viaggiò a Ferrara dove ebbe l’occasione di vedere e studiare i lavori di Piero della Francesca e nel 1453 fu chiamato da Ludovico III Gonzaga come pittore di corte a Mantova. Qui rimase a lungo realizzando opere di elevatissimo valore artistico e diventando uno dei più grandi maestri del suo tempo.

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Antonia Cattozzo

Appassionata di qualsiasi forma d'arte deve ancora trovare il suo posto nel mondo, nel frattempo scrive per riordinare i pensieri e comunicare quello che ciò che ha intorno le suscita.

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