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Nascere maschi, nascere femmine: il “gender” secondo National Geographic

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National Geographic ha recentemente proposto un numero speciale – accompagnato da un documentario a tema – interamente dedicato a una questione tanto spinosa quanto attuale: il cosiddetto gender, o, per essere più precisi, lo spinoso rapporto tra genere biologico, identità di genere e società. Come influisce il mondo in cui viviamo sulla nostra percezione di cosa è “maschio” e cosa è “femmina”?  Qual è la differenza tra il genere “fisico” e l’identità di genere, tra ciò che si è fisicamente e ciò che ci si sente?

National Geographic presenta il genere come l’etichetta per eccellenza, il marchio che influisce sulla vita delle persone in ogni parte del mondo, dalla nascita fino alla morte. Essere uomo o essere donna non è un mero fatto biologico, ma una caratteristica che modella le vite delle persone in ogni istante.

National Geographic propone quindi un esperimento interessante per introdurre la questione: un’intervista a ottanta bambini/e di nove anni provenienti da paesi diversi. Per esempio, Nasreen Sheikh vive con i genitori e i fratelli in uno slum di Mumbai, vorrebbe diventare medico, se solo non fosse femmina. Allo stesso modo Yunshu Sang, di Pechino, sogna di fare l’agente di polizia, anche se « i poliziotti sono quasi tutti uomini, quindi non posso». Dal sondaggio effettuato sui bambini emerge infatti che i maschi non pensano che la loro sessualità possa impedirgli di avere successo dal punto di vista lavorativo; al contrario, in molti paesi le bambine percepiscono il loro essere femmine come un importante ostacolo, un muro che le separa dai loro sogni. Per Yiqi Wang da Pechino essere una femmina è bello perché «siamo più tranquille e affidabili dei maschi». Juliana Meirelles Fleury, di Rio de Janeiro, ammette invece che essere donne è vantaggioso perchè «possiamo entrare per prime nell’ascensore». Luandra Montovani vorrebbe invece essere un maschio perché, essendo femmina, non può spostarsi per la strade di Rio, troppo pericolose per una ragazza. A Mumbai invece Pooja Pawara osserva che se fosse stata un maschio avrebbe potuto guidare uno scooter.

Avery sulla copertina di National Geographic

Essere donna ha implicazioni diverse in luoghi differenti del pianeta: ogni ragazza né vive lati postivi e negativi, ma come ricorda National Geographic l’importante dovrebbe essere stare bene con se stessi e trovare, far uscire la propria identità. La rivista propone infatti anche il caso molto dibattuto di Avery, una bambina transgender del Missouri. Qual è la cosa peggiore di essere una bambina?, le viene chiesto. E Avery risponde «I maschi che dicono sempre “Questa non è roba per femmine, è da maschi”. Come la prima volta che ho fatto parkour». Eppure, la cosa più bella di essere femmina è che «adesso non devo più fingere di essere un maschio».

Gli stereotipi di genere e le difficoltà di dover legare le proprie aspirazioni al sesso biologico colpiscono però anche i maschi: Lev Hershberg, Gerusalemme, spiega che se fosse stato una bambina «non mi sarebbero piaciuti i computer». Sono poi da considerare i rituali a cui molti ragazzi sono sottoposti per diventare parte del mondo adulto. Shadrack Nyongesa per esempio ha 14 anni, vive in Kenya e, durante un rituale, viene circondato da degli uomini che lo colpiscono con le viscere di una mucca per rafforzare il carattere. Ma anche tralasciando casi estremi e lontani dalla cultura occidentale, la visione di ciò che è “maschio” influisce in modo indiretto anche sulle aspirazioni dei più piccoli: Riley, nel South Dacota, sogna di «entrare nei Navy SEAL per proteggere il mio paese, perché altri uomini cattivi hanno ucciso il mio popolo». Un lavoro considerato prettamente maschile e che ben evidenzia quale sia il ruolo dell’uomo nella società.

La vita degli uomini e delle donne è poi predisposta già dall’infanzia attraverso i colori rosa e blu e, in modo meno esplicito, dai giocattoli. Nel secolo passato i giocattoli erano indirizzati a un pubblico ben preciso: la bambina era la brava casalinga dotata di cucina e bambolotto da accudire, mentre il maschio era spinto verso le costruzioni, la falegnameria, la meccanica. Con gli anni Duemila, la rotta si inverte solo parzialmente: le casalinghe si trasformano in principesse e i tuttofare in supereroi, ma il concetto alla base sembra rimanere lo stesso. E le conseguenze non sono delle più auspicabili: ancora oggi, i maschi tendono a utilizzare giochi che sviluppano le competenze spaziali, come i Lego e i puzzles, mentre le bambine registrano delle carenze da questo punto di vista. Jamie Jirout sostiene nel suo studio che la colpa è almeno parzialmente del marketing: i puzzle proposti per un pubblico femminile sono generalmente più semplici, mentre le costruzioni lego per bambine tendono a basarsi sull’emulazione e non sulla costruzione. Un triste fenomeno che contribuisce a giustificare la scarsa presenza di donne nell’ambito scientifico e tecnologico.

A questo fatto si aggiungono tutti quegli stereotipi che delineano cosa sia “da maschio” e cosa “da femmina”. In America il 50% degli uomini e il 48% delle donne giocano ai videogames. Eppure, Play Station e Xbox sono generalmente legati all’immaginario maschile, giochi prettamente “da uomini”, così emerge da un sondaggio americano.

Negli ultimi anni la questione delle disparità di genere è parzialmente migliorata, soprattutto nel campo dell’istruzione. Tuttavia, le disuguaglianze nel periodo dell’adolescenza continuano a essere particolarmente importanti: l’accesso all’istruzione si fa via via più diradato per le ragazze, senza dimenticare i matrimoni economici  e la violenza di genere. Quando si smette di essere semplicemente bambini e la sfera sessuale emerge, le strade degli uomini e delle donne si dividono, segnate in alcuni casi più dal sesso biologico che dalle aspirazioni e dalle capacità dei soggetti.

Nella foto, copertina di National Geographic: 1. Harry Charlesworth, 20 anni, queer | 2. Asianna Scott, 20, modella androgina | 3. Memphis Murphy, 16, femmina transgender | 4. Angelica Hicks, 23, femmina etero | 5. Alex Bryson, 11, maschio transgender | 6. Morgan Berro Francis, 30, bi-gender | 7. Denzel Hutchinson, 19, maschio eterosessuale | 8. Eli, 12, maschio trans | 9. Ariel Nicholson Murtagh, 15, femmina transgender | 10. Lee, 16, transboy | 11. Pidgeon Pagonis, 30, persona non binaria intersessuale | 12. Shepard M. Verbas, 24, genderqueer non binario | 13. Cherno Biko, 25, attivista nera/trans | 14. Jules, 16, transboy | 15. Alok Vaid-Menon, 25, non binario.

Come chiarisce Robin Marantz Henig, stiamo assistendo a una «evoluzione del concetto di donna o uomo e [dei] significati di termini di parole come transgender, cisgender, non conforme, genderqueer, agender o una qualsiasi delle 50 opzioni che il profilo di Facebook offre ai suoi utenti. Nel frattempo gli studiosi stanno scoprendo una serie di nuove e complesse realtà riguardo la conoscenza biologica del sesso. Molti di noi hanno imparato alle superiori che il sesso è determinato dai cromosomi sessuali e da nient’altro: XX per una femmina, XY per un maschio. Ma la questione non è così lineare».

La questione è infatti molto più complessa e spesso confusionaria data la scarsa familiarità con termini che appaiono lontani, ma possono dare un’identità a chi non si rispecchia nella classica etichetta uomo – donna. Per questo National Geographic offre infine un glossario a tema “genere”: dalla transessualità al genderqueer, un’occasione per conoscere con precisione termini a volte sfuggenti ma fondamentali per comprendere al meglio la questione.

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