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“Not in this lifetime” fa tappa in Italia: in novantamila per i Guns N’ Roses

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7 minuti di lettura

Il 10 giugno 2017 all’autodromo Enzo e Dino Ferrari di Imola è stata scritta una pagina di storia del rock. A distanza di 24 anni dall’ultimo live in Italia, tenutosi a Modena nel 1993, i Guns N’ Roses tornano a divorare un palco italiano con una formazione quasi del tutto originale se tralasciamo l’assenza di Izzy Stradlin e Steven Adler.
Axl Rose, Slash e Duff McKagan sono accompagnati dall’ormai stabile membro della band Dizzy Reed alle tastiere, Richard Fortus alla chitarra e Frank Ferrer alla batteria.

I primi cancelli si aprono alle 10.00 e l’autodromo inizia a riempirsi incessantemente fino a sera di circa 90mila spettatori, sotto misure di sicurezza rilevanti, con quattro varchi di controllo degli accessi e forze dell’ordine distribuite lungo tutti gli ingressi.
L’interminabile attesa è spezzata dalla musica di due gruppi, quello dell’ex chitarrista dei Motörhead, Phil Campbell and the Bastard Sons, e i The Darkness.
Puntuali in maniera quasi fuori luogo, alle 20.45 la band sale sul palco ed iniziano tre ore ininterrotte di viaggio nella discografia dei Guns’ N Roses. Ed è estremamente impegnativo credere che stia succedendo davvero.

Fonte: pagina ufficiale Facebook della band
 

«Not in this lifetime», mai in questa vita: è la frase pronunciata da Axl nel 2012, in risposta ad una delle tante domande su una possibile ricomposizione della band e da cui prende il nome il tour.  Impossibile dire di essere tornati indietro nel tempo, eppure eccoli lì, sullo stesso palco, con una carica che somiglia molto a quella passata e che va oltre ogni genere di aspettativa.
La scaletta si apre con una raffica di tre successi (It’s so easy, Mr. Brownstone, Chinese Democracy) senza interruzioni, ma il decollo vero e proprio avviene con il grido di Axl «Do you know where the fuck you are? You’re in the jungle!», che introduce Welcome to the Jungle incendiando il pubblico.

Seguono Double Talkin’ Jive, Better, Estranged, Live and Let Die, sempre senza un minuto di pausa, per arrivare ad una imponente esecuzione di Rocket Queen, con tanto di assolo dai toni biblici di Slash.
La setlist sembra studiata per non scontentare nessuno, infatti le hit più famose (Civil war, You could be mine, Sweet child o’ mine, Nightrain e Paradise City, che chiude il concerto) sono intervallate da chicche molto più rare come Yesterday, My Michelle e Coma che, nei suoi dieci minuti di durata, convince anche i più scettici di trovarsi davanti ad un evento di portata straordinaria.

Non mancano le storiche ballad come Don’t cry e November rain, preceduta dalla coda di Layla dei Derek & The Dominos di Eric Clapton.
Come se non bastasse compare in scaletta anche una serie di cover una migliore dell’altra, a partire da Attitude dei Misfits cantata da Duff, The seeker dei The Who, la strofa di Wish you were here dei Pink Floyd suonata solo da Slash sulla quale cantano tutte le 90mila voci dell’autodromo e il tributo per la recente scomparsa di Chris Cornell con la toccante esecuzione di Black Hole Sun.

C’è chi parla di semplice reunion, chi di un miracolo che si è compiuto, in ogni caso si tratta del ritorno in scena di tre figure quasi iconografiche che non si smentiscono da nessun punto di vista. Sul caso Axl è guerra tra chi non lo riconosce e chi crede non perda un colpo; oggettivamente, la sua voce ha ancora un che di incredibile, graffiata e disperata, in grado di reggere tre ore filate di concerto. Slash continua a suonare accerchiato da quell’aria leggendaria quasi superba che lo accompagna da sempre, non troppo imprevedibile ma comunque in vena di virtuosismi come avviene a metà concerto con The Godfather, colonna sonora de Il Padrino di Francis Ford Coppola, da brividi. Altro mito da sfatare è quello di Duff, che sembra rinato con una carica mai vista prima, contrariamente alle insipide aspettative.

Fonte: www.rollingstone.it

Sono ancora perfettamente intatti l’eclettismo delle contaminazioni di più generi che hanno formato i Guns e la violenza dei suoni e della tecnica da loro coniate.
Insomma non sembra cambiato nulla, persino la comunicazione tra Axl e Slash è la stessa, sempre minima, praticamente inesistente; non c’è tensione ma nemmeno collaborazione, rimangono due giganti che percorrono le rispettive strade scontrandosi solo di tanto in tanto, in una simbiosi dalle origini sconosciute.

Allo stesso modo è scarsa l’interazione diretta con il pubblico, che però sa esattamente cosa fare.
Axl saluta, si limita ad un paio di frasi, invita il pubblico ad un botta e risposta su Knockin’ on heaven’s door e ringrazia al termine del concerto, per il resto è solo musica.

Fonte: www.quotidiano.net

Se la matrice di questo grande ritorno sia da attribuire ad una questione di guadagni o di pura vocazione non ci è dato saperlo, ad ogni modo, i Guns N’Roses sono tornati in maniera molto simile a come se ne sono andati: come uno dei gruppi più potenti del mondo, decisi a scrivere un’altra pagina della storia del rock con un tour che difficilmente ci si poteva aspettare, almeno «not in this lifetime».

Arianna Locatello

Classe 1998, studia Filosofia all’Università di Verona, ma nutre un amore spassionato anche per la letteratura, la musica e la natura.
Di tanto in tanto strizza l’occhio ad un certo Martin Heidegger, ma ha venduto la sua anima ad un paio di ragazzacci venuti prima e dopo di lui.
Sogna di diventare un giorno l’essere pensante che è, servendosi di due mezzi: il viaggio e la scrittura.

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