Il pane – alimento dei poveri, simbolo religioso, specchio dei cicli stagionali, alleato del companatico. Ogni luogo ha la propria variante, e probabilmente ritiene che essa sia superiore a tutte le altre. Ardua sfida quella di elencare anche soltanto i tipi di pane disseminati in Italia: quello di Altamura, di Lariano, di Terni, la tigella emiliana, la michetta lombarda, il cafone campano… Per non parlare di quelli stranieri, dalla baguette al naam, sino allo Yorkshire pudding. Ma in pochi forse conoscono il pane di Samarcanda, prodotto antico di una città ancora più antica, in Uzbekistan. Il pane di Samarcanda non è affatto come il pane di altre città uzbeke, come Taškent o Khiva. Esso li surclassa tutti, guadagnandosi un posto tra i prodotti nazionali più amati nel paese – e all’infuori di esso.
Samarcanda, fiabesca tappa sulla Via della Seta
Samarcanda era un tempo era il centro pulsante della Via della Seta. Oggi rimane una delle città più affascinanti del Medio Oriente, con i mausolei, le statue, le moschee e le piazze che le hanno fatto guadagnare il soprannome di “Roma d’Oriente”. Tanta regalità per una città il cui nome significa fortezza di pietra, sebbene dell’austerità e grossolanità della pietra abbia ben poco. Samarcanda, infatti, incanta gli occhi con il suo ventaglio di sfumature di azzurro: palazzi impreziositi con pietre e decorazioni turchesi, celesti, cerulee, indaco e blu manganese. Si tratta, inoltre, di una città che ha assistito al passaggio di numerosi popoli – l’impero persiano degli Achemenidi, i Sasanidi, gli Arabi, i Gurkani, i Russi. Per le sue vie fiabesche transitarono figure dal calibro di Alessandro Magno, Marco Polo e Tamerlano.
Origini del pane di Samarcanda
Il pane di Samarcanda, come ogni pane altamente autoctono, è frutto di tradizioni tramandate con severità e costanza nei secoli, e deve saper rispettare dei requisiti per essere riconosciuto come autentico. Il non (dalla stessa radice dell’indiano naan) deve essere rotondo, spesso ai bordi ma più sottile al centro, con una crosta morbida. Deve essere cotto nel tandyr, un forno d’argilla sui cui bordi viene attaccato l’impasto. La sua superficie, una volta cotto, deve risultare liscia e lucente. È possibile decorarlo con dei semi di sesamo bianco o nero, o imprimerlo con un timbro di eleganti ghirigori. Il risultato: un pane perfetto da appaiare ai piatti tipici uzbeki che, si dice, può mantenere la sua morbidezza per oltre due anni.
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La leggenda del pane di Samarcanda
Si narra che il Khan di Bukhara – una città nel sud-ovest dell’Uzbekistan – si innamorò del pane di Samarcanda a tal punto da voler tentare di sfornarlo nella sua città. Nonostante tutti i suoi consiglieri gli dicessero che ciò era impossibile, perché il pane di Samarcanda era buono solo a Samarcanda, il Khan si era incaponito. Fece dunque arrivare dei panettieri da Samarcanda, ordinandogli di seguire la ricetta tradizionale. Non funzionò: il pane che ne risultò non aveva fatto lo stesso sapore, né la stessa consistenza dell’originale. Allora si decise a procurare farina e acqua direttamente da Samarcanda. Persino il tipico forno a pozzo, il tandyr, fu trasportato fino a Bukhara. Eppure, il pane era ancora lontano dall’essere perfetto… Si pensò che fosse l’aria stessa di Samarcanda l’ingrediente segreto. Non potendo però catturare l’aria e trasportarla, il Khan dovette arrendersi all’idea di una produzione propria, e si rassegnò all’importazione del tanto agognato pane.
Come si prepara il pane di Samarcanda
Per preparare una pagnotta di lepëška (“torta piatta”) secondo la tradizione, occorrono innanzitutto un sacco di farina (preferibilmente kazaka), sedici litri d’acqua, un chilo di sale e del lievito. Bisogna poi impastare gli ingredienti per trenta minuti esatti, coprire con un panno e lasciar lievitare per due ore. È fondamentale modellare l’impasto per dargli una forma rotonda, così da aderire più facilmente alle pareti del tandyr, e spennellarlo con dell’acqua. Dopo aver trascorso trenta minuti in forno, il pane viene rimosso con un lungo bastone e lasciato cadere in un cesto. Per il primo assaggio, l’usanza vuole che si immerga il boccone, ancora caldo, in una ciotola d’acqua – contrariamente a quanto si può pensare, l’impasto è così compatto e resistente da non cambiare consistenza e conservare intatto il suo sapore.
Esistono differenti varietà di lepëški, a seconda del quartiere in cui vengono prodotti. Ricordiamo, ad esempio, il katlama, una morbida pasta sfoglia arricchita da panna acida; il zogora, con farina di mais; il gizzali, tempestato di ciccioli; il kuk-patyr, aromatizzato alle erbe; e molti altri. A parte bisognerebbe anche menzionare la cosiddetta “lepëška longeva”, una pagnotta di grandi dimensioni e ricca di decorazioni pensata per abbellire la tavola, o in alternativa come souvenir.
Foto di copertina: © Eric Fontvila
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