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«Perché non ci sono state grandi artiste?»: l’arte come riflesso della società

5 minuti di lettura

È il 1971 quando la storica dell’arte e scrittrice Linda Nochlin pubblica un saggio con il provocatorio titolo Perché non ci sono state grandi artiste? sull’arte al femminile. Ma se per l’autrice la questione della disparità di genere in campo artistico – ma non solo – era, all’epoca dell’uscita, ben lontana dall’essere risolta, è oggi possibile lasciare finalmente quella domanda al passato?

L’anticipo sui tempi

Ben prima della nascita dei Women’s e Gender Studies e agli albori dei movimenti artistici femministi, Linda Nochlin opera una lettura del mondo e del sistema dell’arte, ma più in generale della società a lei contemporanea e precedente, che oggi può sembrare quasi scontata eppure straordinaria per l’epoca. Affrontando con schiettezza un argomento complesso come quello del patriarcato e delle sue conseguenze, la studiosa decostruisce i presupposti interiorizzati di un sistema ingiusto. Quello che riesce a dimostrare, infatti, è che non è una questione di mancanza di riconoscimento storico il fatto che le artiste siano state – e siano tutt’ora – numericamente molto inferiori rispetto agli uomini. Bensì una mancanza di strumenti e condizioni che hanno impedito a priori alle donne di avvicinarsi, soprattutto in tempi passati, alla carriera, ancor di più alla carriera artistica.

Quello che Linda Nochlin analizza e condanna è un sistema considerato naturale e per questo accettato come immutabile e giusto. Il nostro stesso modo di parlare riflette quello che viene definito un «inconscio culturale profondamente segnato dal genere». La parola dà forma al pensiero e perciò è spesso centrale nelle lotte femministe e di genere. La diversa distribuzione del potere si manifesta ma allo stesso tempo nasce nella parola. «Nell’arte come in ogni campo» la lotta è contro un sistema che non vuole mettersi in discussione e non vuole cambiare, perché quello che i detentori del potere attuali avrebbero da perdere è troppo importante rispetto al limitato – e non diretto – beneficio che ne nascerebbe. E come la studiosa sottolinea in maniera pessimista e dura, eppure evidentemente senza sbagliare, la definizione di un problema all’interno di una società così strutturata e radicata nei suoi privilegi e nelle sue comode disuguaglianze è complesso, ma mai quanto la sua risoluzione. Quest’ultima, infatti, richiederebbe una reinterpretazione della situazione complessiva, quando non un cambiamento radicale, che può essere operata solamente dai soggetti privilegiati, da coloro che sono volti e agenti perpetranti del problema, e che in quanto tali non hanno nessun interesse a cambiare le cose.

Perché non ci sono state grandi artiste? parte da una domanda tanto apparentemente semplice quanto profondamente complicata e male interpretata. Come l’autrice stessa afferma:

I presupposti nascosti di questa domanda sono vari e variamente complessi, e spaziano dalla prova «scientifica» dell’incapacità degli esseri con utero anziché pene di creare qualcosa di significativo, allo stupore tipico di una certa apertura mentale, per il fatto che le donne non siano ancora riuscite a produrre opere artistiche di assoluto rilievo, pur vivendo da tanti anni in uno stato di relativa uguaglianza.

L’arte può essere cambiamento?

Fa quasi sorridere leggere uno scritto di cinquant’anni fa in cui si considerava lo stato della donna come di «relativa uguaglianza» rispetto a quello dell’uomo. Vedere i progressi che sono stati fatti in questo ambito, forse nemmeno immaginabili allora, eppure rendersi conto di quanta strada ci sia ancora da fare.

Alla maggior parte delle persone che si occupano di arte e cultura piace pensare di poter creare del cambiamento nella società tramite il proprio lavoro. E questo è certamente vero nella stragrande maggioranza dei casi. Ma si può davvero ritenere che il campo artistico sia un’eccezione così lontana dalla società di cui è parte? La risposta, secondo Linda Nochlin, purtroppo è no, almeno per quanto riguarda le possibilità di una persona qualsiasi di diventare artista (affermato, possibilmente). L’ingiustizia e le disparità, dunque, presenti in ogni campo agiscono inevitabilmente anche nell’arte, che da sempre è veicolo di cambiamento ma, allo stesso tempo, riflesso della realtà.

[…] l’arte, sia per quanto riguarda l’evoluzione dell’artista sia per la natura e la qualità dell’opera in sé, è l’esito di una situazione sociale, della cui struttura è elemento integrante, mediata e determinata da specifiche e ben definite istituzioni, che possono essere le accademie, il mecenatismo oppure i miti dell’artista, divino creatore, eroe o emarginato.

L’inesistenza dell’arte femminile

Andando contro molte teorie, Linda Nochlin nega l’ipotesi secondo la quale esistono caratteristiche comuni nell’arte fatta da artiste, e dunque l’esistenza di un essenzialismo. Se, infatti, è vero che sono stati numerosi i movimenti artistici femministi e femminili con caratteristiche comuni, soprattutto quando l’ingresso delle donne nel panorama artistico era appena iniziato, è altrettanto vero che estratte dal contesto di gruppo ognuna di queste artiste presenta somiglianze a volte addirittura più strette con gli artisti uomini loro contemporanei rispetto che con colleghe di qualsiasi epoca. Si ritorna dunque al concetto fondamentale: l’influenza di un periodo storico, di realtà sociali e geografiche sul vissuto di ciascuno e sull’arte prodotta.

Il difetto non è nella nostra cattiva stella, nei nostri ormoni, nei nostri cicli mestruali, o nelle cavità del nostro apparato genitale, bensì nelle regole e nell’educazione che riceviamo; intendendo per educazione tutto ciò che ci accade da momento in cui, testa in avanti, entriamo in questo mondo di simboli, segnali e segni carichi di significato.

L’arte non è – o quanto meno non unicamente – espressione personale e intima dell’interiorità del suo creatore. Meno che mai la grande arte. Lasciando da parte l’arte classica e moderna, per la maggior parte guidata da mecenati e committenti, nemmeno l’arte contemporanea più libera si svincola dal suo presente e dalle sue convenzioni.

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Esistono grandi artiste?

Per quanto una lettura come quella che Linda Nochlin fa della società e in particolare del panorama artistico possa sembrare sostanzialmente pessimista e senza grandi possibilità di cambiamento, la situazione nell’ultimo mezzo secolo ha senza dubbio visto un profondo cambiamento, per quanto non sufficiente. La predominanza maschile assoluta nelle sale dei musei e a capo di grandi istituzioni artistiche è diventata più sottile, anche se non si può certamente parlare di una parità, come del resto è introvabile in qualsiasi altro campo professionale e della vita sociale.

Grandi rappresentanti dell’arte femminile sono esistite anche nel passato, ma non hanno avuto la possibilità di lavorare, emergere e di conseguenza raggiungere i livelli dei colleghi. Sabina von Steinbach (XIII secolo), Lavinia Fontana (1552-1614), Artemisia Gentileschi (1593-1653), Angelika Kauffmann (1741-1807), Berthe Morisot (1841-1895) sono alcuni nomi delle poche che sono emerse nel corso della storia. E non attribuirgli il livello di artisti come Michelangelo, Raffaello, Jacques-Louis David non è revisionismo storico o volontà di dimenticare e tenere taciuti grandi talenti dell’arte femminile. È la conseguenza del sistema complesso che da millenni intrappola coloro che non corrispondono al soggetto dominante in ruoli predeterminati e ne impedisce la libertà. Si tratta, che piaccia o no, di Patriarcato.


Illustrazione di Camilla Volpe

Questo articolo fa parte della newsletter n. 47 – febbraio 2025 di Frammenti Rivista, riservata agli abbonati al FR Club. Leggi gli altri articoli di questo numero:

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Rebecca Sivieri

Classe 1999. Nata e cresciuta nella mia amata Cremona, partita poi alla volta di Venezia per la laurea triennale in Arti Visive e Multimediali. Dato che soffro il mal di mare, per la Magistrale in Arte ho optato per Trento. Scrivere non è forse il mio mestiere, ma mi piace parlare agli altri di ciò che amo.

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