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Privatizzare il pubblico, da Michel Foucault a Mark Zuckerberg

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«Viviamo in un momento in cui il mondo si sperimenta, credo, più che come un grande percorso che si sviluppa nel tempo, come un reticolo che incrocia dei punti e che intreccia la sua matassa».

Cosi si esprime Il filosofo Michel Foucault nel volumetto Eterotopie parlando della nozione di spazio.

Lo spazio politico virtuale 

Il nostro tempo sembra essere il tempo degli spazi. Ci troviamo in un mondo che è fatto di regioni sempre più specifiche in cui svolgiamo attività determinate. Esistono infatti lo spazio geometrico e lo spazio fisico, entrambi dipendenti dal modello matematico, così come esistono lo spazio architettonico, quello urbanistico, quello geopolitico, quello virtuale, quello delle transazioni e dei flussi di capitale. Peculiare è il fatto che i confini di questi spazi siano stabiliti dalle attività stesse che si svolgono in essi. Ad esempio, lo spazio politico collettivo e lo spazio virtuale dei social network sono collegati entrambi dal proposito umano di relazionarsi col prossimo, di fondare rapporti basati sullo scambio di contenuti e di informazioni.

La dimensione pubblica del social che ha funzionato a lungo basandosi sulla visibilità pubblica degli interessi privati (il like alla foto pubblicata è il grande esempio di questa spazialità condivisa), sta lasciando sempre più spazio alla dimensione privata nel pubblico, il cui esempio fondamentale è quello dei gruppi di Facebook. Notando questo cambiamento Mark Zuckerberg ha spiegato alla convention F8, la conferenza annuale degli sviluppatori di Facebook, tenutasi quest’anno a San Josè in California, che il social network si concentrerà su un tipo di comunicazione sempre più privato. I nuovi dati fanno scoprire che almeno 400 milioni di utenti Facebook su 2, 2 miliardi di iscritti ad oggi fanno parte di un gruppo chiuso, dove chiuso sta per privato. Ad esempio, tra le nuove iniziative di modifica del network, la funzione Dating, che consente incontri romantici all’interno della app del social network, verrà ancora più sviluppata e sarà utilizzabile anche per gli utenti dei Paesi in cui ancora non è attiva. In breve, come afferma Zuckerberg, il futuro è nel privato. Ciò significa che la dimensione pubblica del social assomiglia sempre di più alla sfera dello spazio pubblico reale, in quanto i singoli hanno l’opportunità di conoscere altre persone per poi scambiare, in privato, con individui selezionati nella sfera pubblica, contenuti altrettanto scelti, senza doversi più limitare al rapporto asettico del like e della condivisione e allo stesso tempo non essere più costretti a ricorrere alla chat come unico veicolo di scambio di contenuti in privato nel social. Si può parlare, quindi, di uno spazio politico virtuale.

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Libertà come appropriazione dello spazio pubblico

Ciò che risulta, sul piano critico, da queste dichiarazioni del fondatore di Facebook, è che, da un lato stiamo assistendo a una limitazione dello spazio pubblico che diventa sempre più vuoto e superficiale, ma soprattutto che la libertà della sfera privata rimpicciolisce quella della sfera pubblica. L’appropriazione dello spazio pubblico, se portata avanti da singoli individui liberi invece che dai poteri forti del governo – come nelle analisi di Foucault –, lungi dal creare dispositivi di potere e rapporti di forza, risulta essere il modo più efficace proprio per ampliare la libertà e fortificarla.

Non si tratta della limitazione dello spazio pubblico come sinonimo di esclusione e di controllo, bensì il contrario, è proprio nel privato che avviene la vera comunicazione articolata attraverso cui si socializza in libertà e rispetto. Si tratta quindi, a questo punto, solamente di imparare ad usare lo spazio pubblico virtuale in modo sempre più privato. Ovvero muoversi sperimentando il mondo inteso come reticolo interconnesso di spazi privati, relegando lo spazio pubblico ad attività cosi marginali e rapide della vita quotidiana da non potervi mostrare la propria vera personalità. Privatizzare lo spazio pubblico offre l’opportunità, quindi, di ampliare la propria comfort zone personale, di sentirsi a casa anche laddove prima non sia aveva la possibilità di sentircisi. 

Lorenzo Pampanini

Classe 1994. Laureato in Scienze Filosofiche all'Università La Sapienza di Roma.

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