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Stato-Chiesa, storia di un rapporto complesso

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Regna lo scompiglio in questi giorni nelle stanze della sala stampa vaticana. La Santa Sede ha ritenuto opportuno esprimersi a livello diplomatico rispetto all’iter di discussione della proposta di legge Zan contro omotransfobia, misoginia e abilismo, attualmente in corso nel Senato italiano. Lo ha fatto attraverso la redazione e la consegna a mano, avvenuta il 17 giugno, all’Ambasciata italiana in Vaticano e al Ministero degli Esteri italiano di una nota verbale in cui sollecitava delle modifiche all’attuale testo del ddl. Il Corriere della Sera per primo ha raccontato la vicenda martedì 22 giugno e successivamente è stato reso pubblico il testo integrale del documento

Ddl Zan, i timori del Vaticano

Ricostruiamo. Il contenuto della nota non aggiunge nulla di più alle dichiarazioni già fatte dalla Conferenza Episcopale Italiana (CEI) nel giugno 2020 e nell’aprile 2021 contro il concetto di identità di genere alla base del ddl, eccetto l’inedito ed estremamente significativo riferimento al Concordato tra Italia e Santa Sede. Il Concordato è un accordo internazionale che regola i rapporti tra le due parti aggiornato l’ultima volta nel 1984 e che, secondo la Chiesa, verrebbe violato dall’eventuale emanazione della legge Zan. Ѐ stato proprio il Segretario di Stato pontificio, Pietro Parolin, a sottolineare in un’intervista rilasciata a Vatican News che

Fino ad ora il tema concordatario non era stato considerato in modo esplicito nel dibattito sulla legge. La Nota Verbale ha voluto richiamare l’attenzione su questo punto, che non può essere dimenticato

Secondo la Santa Sede, il ddl metterebbe in pericolo le garanzie di libertà di organizzazione, di pubblico esercizio di culto, di esercizio del magistero e del ministero episcopale, di riunione e di manifestazione di pensiero con la parola, lo scritto e ogni altro mezzo di diffusione dei cattolici, che costituiscono il contenuto dell’articolo 2 del Concordato.

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Ma perché il clero si sente minacciato? Perché non si dice in alcun modo disposto ad aprirsi al concetto di identità di genere, che definisce come una “visione antropologica” in netto contrasto con le Sacre Scritture, secondo le quali il genere sarebbe determinato biologicamente dal sesso. In sintesi, la Chiesa rivendica la facoltà di rifiutare un principio di autodeterminazione identitaria come quello di identità di genere, pretendendo di non aver limiti nell’imporre la sua visione binaria e naturalista del reale.

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1984: il premier Bettino Craxi e il segretario di Stato Vaticano Agostino Casaroli firmano la revisione del Concordato. La Stampa.

La posizione della Chiesa Cattolica riguardo ai temi LGBTQ+ e ai diritti civili è però nota da tempo. L’aspetto rilevante di questa vicenda appare piuttosto la strategia con cui ha deciso di perseguire i suoi obiettivi. Far leva su un accordo internazionale, il Concordato, per rafforzare le proprie argomentazioni riguardo a una proposta di legge è a tutti gli effetti una mossa politica. Non si tratta più di confronto culturale su temi caldi tra membri della società civile, siano essi individui o associazioni, ma di un vero e proprio dialogo istituzionale a porte chiuse. Parolin tenta di sminuire la portata dell’evento sottolineando come la scelta della nota verbale – tra le modalità più “informali” del dialogo istituzionale – sia la prova che quella della Chiesa non fosse un’ingerenza, ma la ricerca di un dialogo.

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La riservatezza della forma scelta, quella della nota verbale, per sfoderare lo strumento specificamente politico del riferimento ad un accordo internazionale come il Concordato è la prova – almeno per chi scrive – della volontà da parte della Santa Sede di escludere la società civile da questo “dialogo”, che quindi “dialogo” non è più. Escludendo la componente sociale dà la prova che tale mossa fosse un tentativo di esercizio di influenza sulla componente specificamente politico-parlamentare del nostro Paese, dà la prova del suo carattere di ingerenza. 

Le parole di Mario Draghi

Ad arginare questi tentativi di ingerenza sono valsi gli sforzi giornalistici del Corriere della Sera, che ha reso nota la notizia fornendo al dibattito pubblico un servizio preziosissimo, e le parole del premier Draghi proferite in Parlamento mercoledì 23 giugno. Oltre a ribadire la laicità dello Stato italiano, Mario Draghi ha sottolineato che

Il nostro ordinamento contiene tutte le garanzie per assicurare che le leggi rispettino sempre le leggi costituzionali e gli impegni internazionali, tra cui il concordato con la Chiesa. Vi sono i controlli di costituzionalità preventivi nelle competenti commissioni parlamentari: è di nuovo il Parlamento che per primo discute della costituzionalità. Poi ci sono i controlli successivi nella Corte costituzionale. 

Il primo ministro Draghi, in questo intervento pur molto breve, sembra voler ammonire la Santa Sede per il suo vizio di fornire opinioni non richieste e assumersi compiti, quali quelli di “tutela di costituzionalità”, che non le spettano. Del resto le vecchie abitudini sono dure a morire, e questa abitudine del Vaticano di intromettersi nelle questioni riguardo ai diritti civili nello Stato italiano è davvero di lunga data. 

Stato e Chiesa, torniamo indietro

Portiamo indietro le lancette. Nel corso del tempo la Chiesa cattolica ha sempre avuto una visione del mondo ancorata ad una morale cristiana che stenta ad adattarsi e modellarsi ai nuovi cambiamenti e al profilo di una società sempre più multiforme. La naturale dinamicità del presente, si scontra con un’immagine statica dell’ordine delle cose. Non è difficile, voltando indietro lo sguardo, osservare l’intransigenza della Chiesa su diverse questioni rilevanti nei contesti sociali. Il problema è che questa intransigenza si indirizza principalmente all’aspetto etico e morale, ed incide sulla libertà individuale e la facoltà di scelta della persona. 

1970: il divorzio

Uno dei momenti più significativi, avvenuto negli anni Settanta, fu la battaglia contro il divorzio. Gianfranco Spadaccia, segretario Radicale, ha affermato come «con la battaglia per il divorzio nacque l’Italia dei diritti civili». È il primo settembre 1970 quando viene approvata la legge, grazie alla proposta dei primi firmatari: il socialista Loris Fortuna e il liberale Antonio Baslini. Subito la corrente cattolica si mobilita per proporre un referendum abrogativo, votato poi nel 1974. La democratica vittoria del “no” si chiuse con un 60% contro un 40% favorevole.

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Il titolo del “Corriere della Sera” dopo l’approvazione della legge sul divorzio

Fino a quel momento l’indissolubilità del matrimonio era rimasta un elemento cardine della Repubblica italiana, e i tentativi di ribaltarlo a partire dall’Unità erano caduti per la grande ingerenza culturale ecclesiastica. Anche con il caso del 1970, così come oggi, si invocò il mancato rispetto del Concordato del 1929 (quello dei Patti Lateranensi, ndr), oltre che la rovina della morale e la “dissoluzione della società”. 

1978: l’aborto

Pochi anni più tardi un nuovo scontro si aprì sul fronte dell’aborto. Nel 1978, sulla scia dei movimenti di protesta, la secolarizzazione fece un altro passo avanti con la Legge n.194 che rese legale la pratica, prima considerata reato. La posizione assunta dalla Chiesa fu chiara fin da principio e sintetizzabile con le parole dell’enciclica Evangelium Vitae di Papa Giovanni Paolo II : «delitto abominevole» e «particolarmente grave e deprecabile». Diverse campagne furono portate avanti dalla Chiesa nel tentativo di riportare sul piano morale l’interruzione della gravidanza, e nel sottolineare come si tratti di vero e proprio omicidio.

Un invito alla tutela della vita che diventò un paradosso nel momento in cui non ci si curò più della protezione di chi si trova costretto a prendere tale decisione. Oggi, però quelle posizioni ecclesiastiche si trasformano però in contraddizioni. Nel mese di aprile 2021 un’inchiesta di Report ha scoperto che l’APSA, organismo della Santa Sede che si occupa della gestione economica del patrimonio, ha investito nell’industria farmaceutica svizzera Novartis, tra le più grandi produttrici e venditrici della pillola del giorno dopo. Sembra dunque che la morale cattolica cammini su un sentiero parallelo a quello delle sue finanze.

La dura battaglia sull’eutanasia

Sul tema dell’importanza alla vita, non manca la voce di dissenso sull’eutanasia. In Italia l’eutanasia attiva fa ancora fatica ad essere accettata e non è stata normativizzata. Dal 2017, con il caso Cappato, il dibattito continua a rimanere acceso e recentemente è partita una campagna per la richiesta di un referendum sull’eutanasia legale. Il tono intransigente della Chiesa però non cambia, e anche Papa Francesco afferma che «il diritto di morire non ha basi giuridiche». In certi casi si invitano addirittura gli operatori alla disobbedienza civile per i tre grandi “no” : all’aborto, al suicidio assistito e all’eutanasia. 

Diritti LGBTQ+ e Chiesa: da dove partiamo?

In merito all’omosessualità, sin dal 1976 la Congregazione per la dottrina della fede, distinguendo tra “omosessualità transitoria” e “patologica e incurabile”, ritiene che questo secondo caso non abbia alcuna giustificazione morale. Pur tentando di evitare discriminazioni al singolo, si oppongono ad un qualsiasi tipo di riconoscimento pubblico. La Chiesa non si limita però a dare indicazioni dottrinali sul tema, ma cerca di entrare nel processo istituzionale e legislativo. Nel 2011 espresse il suo dissenso, presso l’Ufficio dell’Onu a Ginevra, in merito all’inclusione dell’orientamento sessuale e dell’identità di genere tra i diritti umani, come deliberato dalle Nazioni Unite. La stessa opposizione si fece sentire in merito alle leggi sulle unioni civili, gli affidi, le adozioni e la genitorialità.

La complessità e il vero senso della politica

Chiunque negli anni abbia voluto imporre una qualsiasi forma di potere è sempre dovuto andare a rendere l’obolo a chi comandava davvero. Questo perché il nostro è un Paese sottoposto per ragioni storiche e culturali all’autorità papale (a riguardo, basterebbe leggere il Perché non possiamo non dirci cristiani di Benedetto Croce). L’autorità papale, infatti, negli anni è sempre rimasta costante, a discapito dei tanti invasori che sono venuti a spadroneggiare nella penisola per poi andarsene scacciati da altri invasori, sempre mal sofferti dal popolo. Ma, sebbene il popolo italiano possa essere cristiano da un punto di vista culturale, lo Stato italiano è fondato su principi diversi da quelli cattolici. Per questo lo Stato e chi lo rappresenta, così come i luoghi delle istituzioni, non dovrebbero recare tracce di alcuna fede al di fuori di quella della libertà, della giustizia, dell’uguaglianza, dell’indipendenza, della democrazia, su cui è fondato il nostro Stato. E, se tutto questo può sembrare banale, bisogna ricordare che fino a non più di trent’anni fa esisteva un partito che si rifaceva dichiaratamente ai dettami dell’autorità papale e bisogna anche ricordare che persino oggi la fede e le loro manifestazioni simboliche sono – nelle loro ostensioni – armi di lotta politica.

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Il tema è difficile, e qui non se ne vuole negare la complessità. Però, se l’Italia, come cerca di fare, vuole crescere, deve dimostrare di poter camminare sulle sue gambe senza il bisogno dell’assenso di nessuno. E ciò significa alcune semplici cose, almeno se parliamo del rapporto tra Stato italiano e Stato vaticano. Giusto per fare qualche esempio: eliminare le agevolazioni fiscali per la Chiesa, eliminare i sussidi statali alle scuole private e considerare da un punto di vista politico il Papa solo come un monarca di uno stato estero, uscendo finalmente da una logica (un po’ provinciale) per cui le parole di un vescovo valgono più di quelle di un prefetto. Quel che è certo è che finora il Parlamento ha dato più volte prova dell’incapacità di una classe politica che non riesce ad ascoltare il chiaro indirizzo che viene dall’opinione pubblica, né aprire un serio dibattito sul tema, che è – ricordiamo – complesso ma meritevole di essere affrontato. Il rischio? Fallire ancora una volta l’opportunità di ritornare al vero senso della politica.

Di Francesca Campanini, Andrea Potossi, Ilaria Raggi

 

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Immagine di copertina: uno scatto di Veronasera.it

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