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Resistenza e letteratura: il Neorealismo

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Quando si concluse il secondo conflitto mondiale l’Europa si trovava in una situazione catastrofica, insomma in macerie. Ogni cosa andava ricostruita e rimessa in funzione. Le dittature nazifasciste si erano concluse anch’esse e il loro terrore era scomparso dalle strade europee. Non erano scomparsi però il dolore, la paura e il sentimento di oppressione che ancora viveva nel profondo di ogni persona.

Ci si aspetta spesso che la conseguenza di uno shock, come può essere stata la guerra, dia poi luogo ad una sorta di silenzio collettivo, di chi non ha più niente se non la propria disperazione. E invece non fu così. Se il Dopoguerra potesse essere espresso con un sentimento, di certo sarebbe quello dell’euforia. Un’euforia, anche un po’ immatura, di chi ha scacciato la dittatura con urla di gioia e di speranza, ma ancora non ha pulito le strade dalle macerie e dai resti di ciò che è stato.

Neorealismo
Roma città aperta, Roberto Rossellini (1945)

E allora in questo urlo, in questa euforia, piano piano si insinua anche una certa voglia di prendere le macerie, accantonarle ai bordi delle città, e ricostruire i grandi e sfarzosi edifici, quasi simboli della rinascita dell’uomo, con la sua dovuta libertà. La ricostruzione però non è mai soltanto fisica. Una società che vuole rinascere dalle tenebre del passato necessita non soltanto di bei palazzi, ma anche di una coscienza nuova, frutto delle nuove libertà e quindi, in questo senso, più coerente col nuovo corso della storia.

Ed è proprio nel bel mezzo di questa rivoluzione di coscienza che una nuova letteratura, fatta da nuovi e giovani intellettuali, trova un suo spazio e un suo perché. Questo nuovo genere letterario è il Neorealismo. Un genere che quasi attribuisce a se stesso il ruolo di espressione di quella euforia di cui si parlava prima. Ma con una differenza importante: non si parla solo di futuro dimenticando il passato, anzi, si costruisce il futuro sulle ceneri del passato, che servono più che altro da monito di ciò che non si deve scordare per non farlo capitare nuovamente.

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Ma qui è importante allora sottolineare anche la nuova funzione che assume l’intellettuale aderente al Neorealismo. Questi, infatti, non è più un semplice spettatore della società, e nemmeno uno che si assume soltanto il ruolo di descriverla e quindi criticarla. Ma il ruolo ora è diverso: l’intellettuale fa sentire la propria voce attraverso un concreto impegno civile. Un impegno che nella maggior parte dei casi fu una spinta forte al furore della Sinistra progressista rinata. E le due linee accolte erano: la prima, un consenso incondizionato al Marxismo, anche a fronte della destalinizzazione; una seconda linea, più aperta ad una riflessione sociale, in totale rottura cogli schemi borghesi. D’altronde, quest’ultima linea fu anche quella scelta da due premi Nobel francesi come Albert Camus e Jean-Paul Sartre, in parallelo col loro esistenzialismo laico.

Ma badate bene, sbaglieremmo se parlassimo di Neorealismo come invenzione della letteratura. In realtà forse ci è arrivato prima il cinema a rappresentare le macerie morali e fisiche del dopoguerra. E, in questo senso, le opere di Rossellini, come il film Roma città aperta, o Vittorio De Sica ne sono un bell’esempio italiano.

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Forse però non si è ancora risposto bene alla domanda essenziale: che cosa è davvero il Neorealismo? Italo Calvino, uno dei primi esponenti di questa corrente, provò a rispondere a questa domanda nell’introduzione al proprio romanzo neorealista, I sentieri dei nidi di ragno, che avrà i tratti quasi di un manifesto letterario. Cercò di dare una definizione ben delineata di un movimento dalle tante sfaccettature. Calvino dirà:

la rinata libertà di parlare fu per la gente al principio smania di raccontare

Insomma, il Neorealismo era quella smania di raccontare ognuno l’esperienza passata nel proprio modo, nei limiti del proprio mondo soggettivo.

Natalia Ginzburg, in Lessico famigliare, dirà invece:

tutti pensavano di essere poeti, tutti pensavano di essere politici; tutti si immaginavano che si potesse e si dovesse far poesia di tutto, dopo tanti anni in cui era sembrato che il mondo fosse ammutolito e pietrificato e la realtà era stata guardata come di là da un vetro, in una vitrea, cristallina e muta immobilità

È un po’ questa la definizione di Neorealismo. Ma, d’altra parte, è bella anche l’immagine che ci dà un autore neorealista come Primo Levi, il quale, di ritorno dal campo sterminio di Auschwitz, appena arrivato a casa sua a Torino, si siede alla propria scrivania e comincia a scrivere le prime parole di Se questo è un uomo, con una foga che ritrae proprio quel bisogno così profondo di raccontare ciò che è stato.

Neorealismo
Primo Levi

Poi, di scrittori neorealisti, anche nel panorama letterario italiano, ve ne sono molti. La maggior parte si condensa attorno alla casa editrice Einaudi, che negli anni del regime fu presa di mira dal Fascismo per la sua impronta chiaramente antifascista, e che dopo la guerra avrà tra i suoi collaboratori molti neorealisti. Primo tra tutti Elio Vittorini, il cui romanzo più famoso, Uomini e no, tratta della Resistenza. A lui fu affidata la direzione la sede milanese della casa editrice. Poi Cesare Pavese, famoso per La casa in collina, a cui fu affidata la direzione delle sedi di Torino e Roma. E poi molti altri, come lo stesso Calvino, che fu scoperto proprio dalla Einaudi; Fenoglio, Natalia Ginzburg, Carlo Levi, Alberto Bevilacqua, Silone, Primo Levi e molti altri.

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Ma insomma, in conclusione del discorso, si può dire che il prossimo 25 Aprile, che molto probabilmente non passeremo nelle piazze ma rinchiusi nelle nostre case, dovrebbe darci il tempo per riprendere quei bei libri, che parlano spesso di morte, ma lo fanno solo per poter lasciarci sperare. E questo sentimento che i neorealisti avevano nel dopoguerra ci dovrebbe insegnare a provare ancora quella speranza di poter ricostruire il paese, sotto tutti i punti di vista, quando la quarantena sarà conclusa. Ma per ora, rimaniamo a casa e leggiamo il passato per poter ancora credere nel futuro, proprio come la letteratura neorealista.


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Vladislav Karaneuski

Classe 1999. Studente di Lettere all'Università degli studi di Milano. Amo la letteratura, il cinema e la scrittura, che mi dà la possibilità di esprimere i silenzi, i sentimenti. Insomma, quel profondo a cui la parola orale non può arrivare.