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Rivoluzione ed economia libidinale

Dalla newsletter n. 28 - maggio 2023 di Frammenti Rivista

6 minuti di lettura

Perché nonostante i lavori usuranti, le sessualità frustrate, le crisi ricorrenti, una depressione epidemica, non scoppia una rivoluzione? Perché si parteggia per strutture economiche disfunzionali? In breve, perché gli uomini lottano per la propria schiavitù come se si trattasse della propria libertà? Se lo chiedeva Baruch Spinoza in un contesto totalmente differente; e se lo chiese anche Wilhelm Reich quando constatò che la classe operaia tedesca non era insorta contro il nazionalsocialismo, ma, paradossalmente, l’aveva appoggiato. Ci si identifica più facilmente col manganello, come se si fosse necessariamente salvi, dalla parte giusta. È un problema di economia libidinale.

L’idea che non scoppi una rivoluzione perché il consenso verrebbe fabbricato o perché dall’esterno qualcuno costringerebbe a pensare ciò che non si pensa davvero è infantile e distorta; infantile, perché impiega una personalizzazione per spiegare un fenomeno sociale; distorta, perché s’accontenta del dato – l’essenza conservatrice delle masse – reificandone la spiegazione. Non scoppia una rivoluzione perché si gode del potere così com’è costituito, del suo peso lancinante, perché si desidera il manganello, colpire ed essere colpito. Theodor W. Adorno ritiene che l’antisemita nel pogrom goda attraverso l’identificazione con l’ebreo: un’essenza sadomasochista muove la purga. Togliamo l’ente fittizio del sadomasochista e abbiamo comunque qualcosa: che si desidera l’atto violento, l’assoggettamento. Il godimento passa dall’esplosione aggressiva, ma l’esplosione aggressiva può essere socialmente funzionale o socialmente rivoluzionaria – il gioco consiste nel costituire un apparato macchinico che consenta all’esplosione dell’aggressività di esprimersi esclusivamente in canali funzionali, ovvero nel reprimere l’aggressività socialmente rivoluzionaria. Si pensi alla folla, alla sua ambiguità.

Certo, l’individuo scompare, gli uomini perdono la testa, nella folla decade ogni senso di responsabilità, si compiono atti crudeli, con estrema facilità ci si sottomette a un capo: «la massa è un branco obbediente che non è capace di vivere senza un padrone» (Sigmund Freud). Ma nella sua genericità concreta, quando si muove senza capo, acefala, la folla sprigiona la moltitudine indistinta del desiderio, il fragore della distruzione creativa – un senso di rinnovamento inonda i boulevard parigini durante la Comune. Se nel comportamento delle folle è presente un’aggressività primaria, è altresì presente una creatività primaria, indistinguibile dalla violenza. Ed è questo desiderio creativo, così fluido e crudele, a costituire la materia della rivoluzione, il punto d’attacco della reazione. 

La rivoluzione è innanzitutto un movimento di gruppo, attiene cioè alla cosiddetta psicologia delle masse

Mattia Brambilla

Sono laureato in filosofia presso l'Università degli Studi di Milano; amo il pensiero e le lettere, scrivo e mi diletto con gli scacchi.

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