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Salario minimo: non possiamo più perdere altro tempo

Tra favorevoli e contrari, la misura accende il dibattito. Ma qual è la situazione in Italia e in Europa? Un'analisi

14 minuti di lettura

Tra le cose di cui Mario Draghi non ha parlato nel suo applauditissimo discorso rivolto all’assemblea di Confindustria una settimana fa, c’è l’introduzione per la legge di un salario minimo orario. La proposta, certo, non piace agli industriali (Bonomi, presidente di Confindustria, si è già detto contrario), ma le pressioni sul governo sono molte. Pressioni che vengono anzitutto dai 5 stelle, che sembrano ormai decisi a fare quadrato attorno a uno dei loro pochi baluardi ancora in piedi, e anche, più timidamente, da PD e CGIL. Oltre a loro, il presidente dell’INPS, Pasquale Tridico e il commissario europeo Nicolas Schmidt si sono espressi a favore dell’introduzione del salario minimo.

Per ora Draghi tace, ma sa bene di avere puntati tutti gli occhi addosso: non può continuare a fare l’equilibrista tra un’anima e l’altra del governo, qui la decisione è politica e chiara. Forse, aspetta solo che si abbassino le polveri della polemica e che tutti si dimentichino, di nuovo, della questione.

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Draghi all’Assemblea Confindustria – Fonte: Zazoom

La situazione del salario minimo in Italia oggi

Ad oggi i rapporti lavorativi e le retribuzioni sono regolati dai contratti collettivi nazionali del lavoro, frutto di accordi tra le parti sociali. I problemi coi contratti nazionali però sono fondamentalmente tre: il primo è che non sono leggi vere e proprie, il secondo è che sono troppi (ben oltre 850, di cui non si sa quanti scaduti, tutti finiti in un mare di carta in cui il CNEL ancora fatica a fare ordine) e il terzo è che non coprono tutte le categorie di lavoratori.

In Italia, stando ai dati INPS, un lavoratore dipendente su 5 (18,4%) percepisce un salario minimo equivalente a meno di 9 euro lordi all’ora (compresa la tredicesima), il 13% non raggiunge neppure gli 8,50 e il 40% stenta ad arrivare ai 10 euro l’ora. Le percentuali schizzano nel settore del lavoro domestico, dove quasi il 72% dei lavoratori prende meno di 9 euro, compresi TFR e tredicesima.

La proposta presentata sarebbe quella di introdurre un salario minimo legale fissato a 9 euro lordi l’ora, ma tutto sta nei dettagli del provvedimento: se si trattasse di 9 euro esclusi tredicesima e TFR, ne beneficerebbero oltre il 25% dei lavoratori. Se invece venissero introdotti sempre i 9 euro lordi l’ora, ma comprensivi di tredicesima e TFR, la misura interesserebbe il 13% dei lavoratori.

Quel che è certo è che l’idea, che ritorna periodicamente di anno in anno con sfumature diverse ma senza mai concretizzarsi, ha scaldato non di poco gli animi, soprattutto nel governo. I detrattori affermano che si tratterebbe solo di un ulteriore incentivo al lavoro nero, già diffusissimo e spesso ancor più sottopagato di tanti contratti regolari, e che la contrattazione sindacale è la via più efficace. Altro argomento è che l’introduzione di un salario minimo, in quanto azione statale in campo economico, minerebbe la stabilità e la libertà del mercato, eppure negli USA -mercato che non si può non dire libero – il salario minimo esiste sin dal 1938.

Il salario minimo in Europa e il modello tedesco

A dissolvere i dubbi, però, può essere utile guardare all’estero. Ad oggi ventidue su ventotto paesi dell’Unione Europea hanno adottato il salario minimo. I Paesi in cui non è stato adottato (la Finlandia, la Danimarca, l’Austria, la Svezia e Cipro) sono, fatta eccezione per Cipro, nazioni dall’economia particolarmente sviluppata, con un’alta retribuzione media e un eccellente tasso di contrattazione collettiva, quindi economie molto diverse da quella italiana, economie in cui il salario minimo sarebbe, più che dannoso, superfluo.

Tra i Paesi che invece hanno introdotto più recentemente il salario minimo c’è sicuramente la Germania, il cui caso è particolarmente interessante, soprattutto per noi italiani. La Germania ha introdotto nel 2015, momento di difficoltà per l’economia tedesca, un salario minimo di 8,50 euro orari con il proposito di rivedere la legge ogni due anni. Nel 2018 è passato a 8.84 euro e nel 2019 ha raggiunto quota 9,19 euro. Nel frattempo, non serve dirlo, l’economia tedesca è esplosa, aumentando in cinque anni il PIL di ben 606mila miliardi di euro.

L’urgenza, tra crisi e precarietà

Il ripresentarsi annuale della proposta sul salario minimo, che aveva raggiunto uno dei punti più vicini alla proposta di legge lo scorso anno, con Nunzia Catalfo al Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali, quest’anno viene rafforzato dalla condizione sempre più precaria di alcune fasce di lavoratori. La crisi pandemica ha infatti portato a un’accelerazione di una tendenza già in corso nell’ultimo decennio. Non è un caso che il dibattito sia emerso di frequente dopo la crisi economica del 2008.

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E se ne parla non solo in Italia, ma a livello europeo. Negli anni a seguire si sono succeduti momenti di ripresa economica; tuttavia, è il mondo del lavoro stesso a essere cambiato. I contratti stabili e a tempo indeterminato sono stati rimpiazzati, in termini di numeri, dagli impieghi part time, a chiamata e a tempo determinato. Lo sviluppo in questo senso ha toccato principalmente i nuovi entrati nella sfera lavorativa, le nuove generazioni.

Se a primo impatto i contratti di questo tipo possono sembrare legati alla mancanza di lauree o altri titoli di studio, le analisi sul fenomeno della scolarizzazione mostrano invece il contrario. La maggior parte dei giovani, con un’età compatibile all’entrata nel mondo del lavoro, detiene almeno un diploma e molto spesso anche una laurea. I due movimenti procedono dunque in direzioni opposte.

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Fonte: Ethicjobs

Il caso italiano e il contesto europeo

Se il problema della precarizzazione, che nei casi più estremi conduce a una forma di marginalità sociale, è un tema europeo, indubbiamente tocca l’Italia con una sensibilità maggiore. In più, la questione si fa così dibattuta e controversa per alcune peculiarità del paese.

Si è visto che solamente pochi paesi dell’Unione non hanno adottato il salario minimo. Qui il lavoro di contrattazione delle parti sociali è particolarmente proficuo, ma l’Italia in questo non può dirsi da meno. Negli anni i sindacati sono riusciti a ottenere ottimi risultati nelle contrattazioni stipulate, fino a raggiungere, per alcune categorie, una paga superiore ai nove euro lordi l’ora. Senza contare che le contrattazioni, oltre a fissare una quota minima di contribuzione, tengono conto di numerosi altri fattori: la tredicesima, le ferie, il diritto alla malattia e il costo della sicurezza, sono elementi fondamentali di cui gli attori in campo si occupano sul tavolo della contrattazione. Tutti questi diritti, dal punto di vista economico, sono un costo aggiuntivo per le imprese ed è per questo che l’introduzione del salario minimo fa allarmare i sindacati.

Questo però non è sempre vero. L’idea di base non è quella di inserire una misura sostitutiva, bensì integrativa. In breve, coprire coloro che attualmente non percepiscono uno stipendio in grado di garantire uno standard di vita dignitoso, mantenendo le contrattazioni ove queste sono già in vigore.

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Il punto è che non è ovviamente così semplice. Ci sono numerose implicazioni di cui tener conto, e il problema principale di queste proposte viene da parte di chi le effettua. L’ambito di cui si sta trattando comporta così tante conseguenze, che alla semplice dichiarazione «Inseriamo il salario minimo perché ce lo chiede l’Europa», dovrebbe essere accompagnata una minuziosa stesura su come inserire tale misura nel quadro politico, sociale ed economico del Paese di cui si sta parlando.

Tutte le politiche portabandiera sono destinate a cadere quando non vengono contestualizzate e delineate nel dettaglio. L’impegnativa attività di leggere i dati, e l’ancora più complicata attività di cercare di comprenderli e di ragionarci, dovrebbe essere data per scontata sia per quanto riguarda i politici che per chiunque nell’ambito istituzionale decida di esporsi in favore o contro una certa tematica.

Cosa dice l’Eurostat

I dati raccolti dall’Eurostat nel 2014 mostrano, in valore percentuale, la relazione tra le retribuzioni della popolazione date dal salario minimo e le retribuzioni medie. Solo in quattro Paesi (Francia, Portogallo, Slovenia, Romania), il minimo salariale rappresenta più del 60% delle retribuzioni medie. Negli altri diciotto paesi, il valore si aggira intorno al 50% o scende al di sotto. Questo significa che il resto dei lavoratori viene pagato più del valore del salario minimo, e rende ingiustificate le teorie di chi pensa ad una diminuzione dei contratti e degli stipendi di chi ora guadagna già più di nove euro lordi.

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Fonte Eurostat

Sempre guardando ai livelli europei, emerge anche un quadro enormemente variabile dei minimi salariali. In termini assoluti la differenza tra il valore minimo salariale più basso e quello più alto è di circa 7 punti, ovvero il valore più alto è di circa sette volte di più del valore più basso, con il Lussemburgo in vetta alla classifica e l’Albania che registra uno dei minimi più bassi. Se però i valori vengono espressi sulla base del potere di acquisto, la differenza si attesta sui 3 punti.

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Fonte Eurostat

Un esempio interessante, fuori dall’Unione Europea, è la Svizzera. La particolare suddivisione in cantoni e la conseguente politica amministrativa vede una forte presenza dei sindacati. Il loro ruolo e potere è assolutamente primario, e sono piuttosto numerosi. La Svizzera ha approvato la misura sul salario minimo lo scorso anno, quando, a causa delle chiusure e degli altri effetti della pandemia, il numero di persone in difficoltà si è fatto più alto. È anche uno dei Paesi con una delle soglie più alte, ossia 23 franchi, circa 21 euro l’ora. Non per questo il ruolo dei sindacati è venuto meno, anzi sono stati proprio loro i promotori di questa battaglia.

Prima il lavoratore

Quando una parte di cittadini, di lavoratori, si trova in difficoltà pur essendo inserita in un contesto lavorativo, vanno prese delle decisioni per farli uscire da tale situazione: che si tratti di un salario minimo, di un’estensione di un contratto o di una misura che tenga conto dell’uno e dell’altro, è necessario agire.

In materia di tutele, di garanzie, di benessere e di standard di vita dignitosi, non ci possono essere lavoratori di primo o di secondo livello.

È un dovere dello Stato garantire tutto questo a chi costituisce il motore dello Stato stesso.

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Ilaria Raggi

20 anni, studentessa di scienze politiche sociali ed internazionali. Nata con il mare sotto i piedi, ora mi accontento dei colli bolognesi. Se mi siedo o mi riposo c'è qualcosa che non va. John Steinbeck, il cinema e la scrittura sono il mio Sacro Graal, per il resto condisco la mia vita un po' di curcuma alla volta. Vivo di sarcasmo e politica internazionale, fortunatamente il periodo in cui sono nata mi permette di non dover mai scegliere l'uno o l'altro.

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