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La serie dei «Sacchi»: la rivoluzione di Alberto Burri

Alberto Burri è uno degli artisti più originali del Novecento italiano, padre dell'arte informale. In particolare, la serie dei «Sacchi» lo ha reso uno degli artisti italiani più originali

7 minuti di lettura

Nel 1959 la critica d’arte e museologa Palma Bucarelli, Direttrice della Galleria Nazionale d’Arte Moderna di Roma (GNAM) dal 1942 al 1975, decise di esporre alcune opere dell’artista informale Alberto Burri, suscitando uno scandalo tale da divenire oggetto di una interrogazione parlamentare. L’arte di Alberto Burri (1915-1995), in particolare la celebre serie dei Sacchi, fu considerata da parte della critica non rappresentativa della tradizione italiana e incomprensibile al pubblico, pertanto la Bucarelli fu accusata dal deputato Terracini di aver speso soldi per «una vecchia, sporca tela sdrucita da imballaggio che prende il nome di Grande Sacco».  

Questo episodio, che mette in luce la lungimiranza di Palma Bucarelli, prima donna italiana alla guida di un museo, mostra come l’astrattismo e l’arte informale, di cui Alberto Burri oggi è considerato un maestro, fosse incompresa e addirittura ostracizzata.

I Sacchi di Alberto Burri: analisi dell’opera

Dopo un esordio nel solco del figurativismo, l’arte di Alberto Burri subisce una svolta nel 1948, anno cerniera in cui l’artista si avvicina all’astrattismo abbandonando la pittura ad olio e realizzando opere, come Nero I, caratterizzate da presenze biomorfiche e dalle prime sperimentazioni materiche. Nel 1950 Burri inaugura la serie dei Sacchi, che lo renderà uno degli artisti più originali della scena romana, ancora fortemente legata a influenze post-cubiste.

Burri usa materie umili e deteriorate, come semplici lacerti di sacchi di iuta cuciti insieme, lavorando sulla contrapposizione tra materia e forma senza mai rinunciare alla dimensione pittorica del quadro. Fatta eccezione per il primo Sacco del 1949, dove la pittura dialoga ancora con la materia, alludendo alla tecnica del collage, a partire dal 1952 il sacco di iuta diventa protagonista, portando l’arte di Burri verso una definitiva dimensione materica.

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Burri, Sacco e nero 3, 1955, assemblaggio di pezze di sacco di juta su tela dipinta, 95x195x5 cm, collezione privata. Fonte: www.catalogo.beniculturali.it, CC BY 4.0

Il primo a fornire una lettura critica dell’opera di Burri, cogliendone la straordinaria novità insita nel suo linguaggio espressivo, fu il critico, e a sua volta artista vicino alle sperimentazioni dell’arte informale, Emilio Vedova, che mise in evidenza il contrasto tra l’uso delle «materie proletarie e deteriorate» e l’eleganza formale con cui esse vengono restituite sulla tela.

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La serie dei Sacchi fu affiancata dalla serie dei Catrami, delle Muffe, dei Legni, dei Ferri, a rimarcare l’amore dell’artista per i materiali poveri e non convenzionali, congiunta a uno spiccato interesse per lo sperimentalismo, evidente nella serie delle Combustioni dove Burri aggredisce la plastica con la fiamma ossidrica. 

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A. Burri, Plastica, 1964, combustione su tela, Centre Pompidou, Parigi, Fonte: Flickr, CC BY 2.0, Autore: Jean-Pierre Dalbéra

L’originalità di Burri ha portato la critica a interessarsi al significato intrinseco delle sue opere, mai chiarito dall’artista, che non ha voluto fornire una interpretazione del suo lavoro, preferendo che le sue opere parlassero da sé:

Le parole non mi servono quando provo ad esprimermi sulla mia pittura, perché essa è una presenza irriducibile che rifiuta d’essere convertita in qualsiasi altra forma d’espressione.

Tuttavia, negli anni molti critici si sono cimentati nella sfida interpretativa, tra cui Giulio Carlo Argan, il quale sostenne: «l’arte di Burri è una sorta di trompe-l’oeil a rovescio, nel quale non è la pittura a fingere la realtà ma la realtà a fingere la pittura».

Altri critici, come Lara Vinca Masini, proiettano sulla «lacerazione e ricostruzione» operate da Burri un significato esistenziale e collettivo in grado di «dare voce alle popolazioni provate dalle guerre, dal sangue e dallo sterminio».

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A proposito di Alberto Burri

Nato in Umbria nel 1915 a Città di Castello da una famiglia della piccola borghesia, il giovane Burri intraprese gli studi in medicina, conseguendo la laurea nel 1940, appena in tempo per arruolarsi come sottotenente medico durante la Seconda Guerra Mondiale. Nel 1943 fu catturato dagli inglesi e consegnato agli americani che lo rinchiusero in un campo di prigionia in Texas. Durante la drammatica esperienza della detenzione, privato dei suoi strumenti medici e disgustato dai soprusi compiuti sui prigionieri, Burri scoprì l’arte e, rientrato in patria alla fine della guerra, scelse di abbandonare definitivamente la professione medica.

A. Burri, Il Cretto di Gibellina, 1984-1989, cemento, 150×35000×28000 cm, Gibellina (TP), Sicilia. Fonte Flickr, PDM 1.0 (pubblico dominio universale)  

Dopo un poco incisivo esordio figurativo, ottenne la fama con le prime opere informali dei Catrami, delle Muffe e dei Legni. Dagli anni Cinquanta ai Settanta realizza la celebre serie dei Sacchi, affiancata alla serie delle Combustioni, dove introduce un nuovo materiale, la plastica. La sperimentazione materica proseguì negli anni Settanta con la serie dei Cretti, fratture realizzate con caolino, creta e colle viniliche, per suggerire la fenditura della terra, la cui più completa realizzazione è Il Grande Cretto di Gibellina realizzato negli anni Ottanta, imponente opera di Land Art che si estende per i vicoli di Gibellina, la città siciliana devastata da un terremoto nel 1968 e poi ricostruita.

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L’arte di Burri, inizialmente oggetto di feroci critiche al momento della sua musealizzazione in Italia negli anni Sessanta, fu promossa negli Stati Uniti da James Johnson Sweeney, direttore del Guggenheim Museum di New York (1952-1960), che organizzò una retrospettiva itinerante in tutti gli Stati Uniti.

Oggi Alberi Burri è considerato, insieme a Lucio Fontana, uno dei padri dell’arte informale in Italia, nonché uno degli artisti più originali del secondo ‘900.

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Arianna Trombaccia

Romana, classe 1996, ha conseguito la laurea magistrale con lode in Storia dell'arte presso l’Università La Sapienza. Appassionata di scrittura creativa, è stata tre volte finalista al Premio letterario Chiara Giovani. Lettrice onnivora e viaggiatrice irrequieta, la sua esistenza è scandita dai film di Woody Allen, dalle canzoni di Francesco Guccini e dalla ricerca di atmosfere gotiche.

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