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A proposito di sexting, adolescenza e autostima

Neologismo nato dalla fusione di due termini inglesi, sex e texting, il sexting sta diventando sempre più presente nello sviluppo del sé e delle relazioni. Ma cos’è di preciso? E perché riguarda in particolare gli adolescenti?

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7 minuti di lettura

La tecnologia ha cambiato la vita degli adolescenti rispetto alle generazioni passate da moltissimi punti di vista. Uno di questi, forse il più dibattuto, riguarda le relazioni e la sessualità: non solo i contenuti a sfondo sessuale sono facilmente reperibili sul web (ma anche, in modo più soft, nei media), ma gli adolescenti stessi possono “creare” materiale sessuale, ricoprendo quindi potenzialmente non soltanto il ruolo di passivo fruitore. Il sexting è una tra le pratiche sessuali degli adolescenti – e non solo adolescenti – più comuni, complice anche la pandemia e le nuove relazioni a distanza, che hanno forse ancora più sdoganato questa pratica.

Con sexting si intende la condivisione attraverso messaggi, tra due o più persone consenzienti, di foto, video, testi di carattere sessuale. La pratica in sé non ha nulla di criticabile: è uno dei tanti modi di relazionarsi con l’altro, quando fatto però con consenso, consapevolezza e attenzione, in fasce d’età abbastanza mature per comprenderne i benefici ma anche i possibili pericoli, come un’eventuale deriva nel revenge porn – e quindi nell’utilizzo e nella diffusione del materiale intimo inviato senza il consenso della persona ritratta. Tra le sue luci e le sue ombre, il sexting sta diventando uno step comune nello sviluppo del sé e delle relazioni, romantiche o sessuali, tra adolescenti e giovani adulti (sembra sia questa fascia quella più incline di tutte al sexting, dati gli impegni lavorativi difficilmente coniugabili con vecchie o nuove relazioni), diventando un modo per scoprirsi ed esprimersi dietro l’apparente – e solo apparente, date le tante insidie da considerare – protezione di uno schermo.

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Le ricerche fanno emergere due tendenze: la prima ci dice che l’uso del sexting è più alto tra persone – giovani e meno giovani – che rientrano in categorie minoritarie rispetto a genere e orientamento sessuale, per esempio appartenenti alla comunità LGBTQ. La seconda ci dice invece che è possibile trovare un legame tra l’insoddisfazione legata al proprio corpo e l’uso accentuato del sexting. Le due tendenze sono unite da un filo conduttore che vede al centro l’accettazione di sé agli occhi degli altri in contesti di fragilità o di discriminazione sociale. Una ricerca recente sottolinea proprio il legame tra sexting e percezione corporea degli e delle adolescenti tanto eterosessuali e cisgender quando LGBTQ. Attraverso un campione di quasi 3mila ragazzi e ragazze, lo studio ha diviso i partecipanti in 5 categorie per osservare abitudini, comportamenti, percezioni. Dai risultati emerge che la frequenza del sexting in adolescenza aumenta con il diminuire dell’autostima legata al corpo, soprattutto per quanto riguarda le ragazze eterosessuali o i ragazzi con orientamento non eterosessuale. Il sexting diventa quindi una pratica per mostrare, apprezzare e soprattutto validare il proprio corpo e superare le incertezze che lo riguardano attraverso un’approvazione altrui indiretta, protetta (se di vera protezione si può parlare) da uno schermo.

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L’adolescenza è una fase di crescita, cambiamento, scoperta o riscoperta del sé: in questi anni l’insoddisfazione legata al proprio fisico solitamente aumenta e si scontra con diverse fragilità, dovute alle aspettative personali e sociali. Per quanto riguarda il corpo e i suoi cambiamenti, sono le ragazze a risentirne di più – ci dicono sempre gli studi – vittime di una pressione sociale che punta molto alla sfera estetica e a canoni fisici non facilmente raggiungibili, ma anche i ragazzi non sono estranei a queste sensazioni. In un momento di non accettazione di sé, di non comprensione dei cambiamenti personali, psicologici e fisici, il sexting diventa una forma di validazione del proprio io, un modo per sentirsi fisicamente apprezzati e adeguati, voluti, desiderati. La pratica perde quindi il suo primo scopo di piacere in sé e per sé e in relazione all’altro, diventando un atto volto, in fondo, a se stessi, a colmare le proprie insicurezze e paure attraverso un confronto positivo con chi sta dall’altra parte dello schermo – quindi non troppo lontano, non troppo vicino. Come se il sexting fosse una sorta di “tavolo” di sperimentazione del proprio io, dove esprimersi senza tabù e “osare” con la propria identità (anche e soprattutto quando non normativa) in modo più libero, così da trovare la propria strada in un confronto non del tutto diretto dato il filtro digitale.

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Il fenomeno del sexting come metodo di affermazione e scoperta del proprio corpo riguarda tanto ragazzi quanto ragazze, ma ovviamente lo stigma maggiore ricade sul femminile: le ragazze sono generalmente sotto maggiore pressione nell’avvicinarsi a questa pratica, per esempio su incoraggiamento del partner – anche se nulla esclude un avvicinamento spontaneo e consapevole – e soprattutto sono maggiori vittime di uno stigma praticamente inesistente al maschile, come nelle derive del revenge porn. Quindi, se il sexting può essere un banco di prova rassicurante e non a prescindere criticabile (di nuovo, se consenziente, attento, consapevole), le insidie che nasconde e i pericoli emotivi e sociali che ne derivano non vanno sottovalutati e anzi, dovrebbero essere un tema di dibattito costante con gli adolescenti stessi, in un’educazione sessuale che consideri anche nuovi fenomeni e i risvolti psicologici, come quello dell’autostima corporea, che a volte si nascondono dietro alle pratiche.

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