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Violenza di genere: cosa facciamo in Italia per combatterla?

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5 minuti di lettura

Si apre oggi, 25 novembre, con la Giornata internazionale per l’eliminazione della violenza sulle donne, l’annuale campagna del Center for Women’s Global Leadership (CWGL) per la lotta alla violenza di genere, che si concluderà il 10 dicembre in corrispondenza della giornata internazionale dei diritti umani.

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L’occasione invita a riflettere sul fenomeno per cercare di operare una sensibilizzazione. Quest’anno poi, in particolar modo durante il lockdown, esso è stato ulteriormente aggravato dalla maggiore esposizione alla minaccia di violenza casalinga. Lo “stare a casa”, eretto a emblema di sicurezza nella metafora bellica che ha caratterizzato la narrazione della pandemia negli scorsi mesi, per moltissime donne ha significato invece una messa in pericolo della propria vita ed una sopravvivenza in condizioni di abuso.  

Violenza di genere: dati alla mano

I dati ISTAT riguardanti il monitoraggio del numero verde 1522, servizio di assistenza per le donne vittime di violenza, evidenziano un aumento del 59% di telefonate da parte di donne richiedenti aiuto tra il 1 marzo ed il 16 aprile 2020. È da sottolineare come la crescita del numero delle chiamate sia riconducibile anche alla maggiore pubblicizzazione del servizio attraverso spot tv e campagne online. Ciò ha permesso a molte donne prima non a conoscenza della sua esistenza di ricorrervi. Un’ulteriore prova, questa, dell’indispensabilità di fare informazione riguardo a queste tematiche per mettere i soggetti abusati in condizioni di iniziare un percorso di fuoriuscita dalla violenza.

Se i dati allarmanti dell’ultimo anno rendono tangibile ora l’estrema necessità dei servizi di assistenza contro la violenza di genere, i numeri degli anni precedenti non possono tranquillizzarci. Infatti ci forniscono ugualmente dei campanelli d’allarme a partire dai quali concentrare la nostra attenzione sulla realtà dei centri, delle case rifugio e in generale della Rete territoriale antiviolenza.

Per citare alcuni di questi dati, il Report di analisi del numero verde contro la violenza e lo stalking 1522, elaborato dall’ISTAT e riferentesi al periodo tra gennaio 2013 e settembre 2019 riporta:

  • 45.241 chiamate di richiesta d’aiuto da parte di vittime di violenza: ciò significa che approssimativamente 18 donne al giorno, solo in Italia e solo tra quelle che hanno deciso di affidarsi ad un servizio di assistenza, sono state vittime di violenza di genere negli scorsi anni.
  • Il 49% delle vittime in questione ha subito violenza fisica, il 38% psicologica.
  • 90,2% è la percentuale dei casi in cui l’abuso si consuma tra le mura domestiche.
  • Nel 77,5% dei casi la vittima, pur rivolgendosi al 1522, decide di non sporgere denuncia, mentre il 4% ritira la denuncia dopo averla sporta.
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Tabella ISTAT: Motivi ritiro della denuncia

A fronte di questi numeri agghiaccianti e di quelli dei periodi precedenti, l’Italia si è istituzionalmente dotata nel corso degli anni di una serie di servizi, finanziati anche con fondi pubblici, per il sostegno alle vittime di violenza. Tale rete è stata potenziata a partire dal 2013, con la ratificazione della Convenzione di Istanbul del 2011.

1522

Il servizio pubblico della linea telefonica 1522 è stato istituito nel 2006 dal Ministero per le pari opportunità, è gratuito ed attivo h24. Ha la funzione di accogliere tramite operatrici specializzate le richieste d’aiuto e costituisce quindi spesso il primo contatto della vittima con la rete di servizi per la fuoriuscita dalla violenza.

Tra le chiamate molto frequenti a questo numero vi sono anche quelle di persone terze vicine alla vittima, che chiedono informazioni riguardo ai servizi di sostegno per avvicinare ad essi la persona sottoposta ad abusi. Questo servizio si rivela dunque essere fondamentale non solo per le vittime che in prima persona decidono di chiedere aiuto, ma anche per i loro cari, che possono svolgere una funzione di supporto indirizzandole verso la rete di assistenza.

Centri antiviolenza e case rifugio

I centri antiviolenza sono strutture gratuite e gestite unicamente da donne, specializzate a fornire una risposta coordinata alle vittime di violenza di genere. Forniscono in primis accoglienza e orientamento ai servizi di tipo legale, di assistenza psicologica, economica, di orientamento lavorativo, offerti dal centro stesso o dalle strutture che vengono gestite dagli enti territoriali pubblici quali Comune, Prefettura e Provincia.

Tra i servizi più efficaci organizzati dai centri ci sono le case rifugio, in cui le donne che non hanno la possibilità di rientrare nella loro abitazione per via del pericolo che corrono e non hanno mezzi per il proprio sostentamento trovano accoglienza, insieme ai loro figli minorenni, per un tempo definito in maniera concordata dal progetto di percorso per la fuoriuscita dalla violenza. Tutto ciò viene fatto sempre tenendo conto che uno dei principi fondamentali dell’azione dei centri antiviolenza è quello di non esasperare la vittimizzazione delle donne, mettendo in luce invece il loro potenziale di ripresa e di creazione di una vita autonoma, anche dal punto di vista economico.

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I centri antiviolenza sono nella maggior parte promossi e gestiti da fondazioni ed enti privati che collaborano con la rete territoriale pubblica, da cui ricevono anche finanziamenti. A questo proposito è recente la notizia dello sblocco di 28 milioni di euro, da parte del Ministero per le pari opportunità guidato dalla ministra Elena Bonetti, da destinare alla rete territoriale antiviolenza, comunicato lo scorso 6 novembre a seguito della Conferenza Stato-Regioni.

Proprio in virtù dell’estrema necessità delle attività svolte dai centri antiviolenza, soprattutto in un contesto ancor più problematico come quello attuale, lo stanziamento di fondi diventa un imperativo. Tuttavia rimangono delle problematicità nella distribuzione dei finanziamenti, che vengono fatte emergere in particolare nel report Attuazione della Convenzione di Istanbul in Italia. Rapporto delle Associazioni di donne del 2018. Questo documento espone chiaramente alcuni dei punti critici del sistema italiano facendo riferimento alle direttive della Convenzione di Istanbul e valutando la loro effettiva applicazione nel nostro paese.

Distribuzione dei fondi a livello regionale

Il report mette in evidenza come ci siano delle carenze normative riguardo ai criteri della distribuzione dei fondi destinati alla rete antiviolenza, un’esclusione delle ONG operanti nel settore dai luoghi decisionali e l’assenza di un sistema di monitoraggio della qualità dei servizi prodotti e del loro effettivo rispetto dei requisiti posti dalla Convenzione di Istanbul.

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Immagine di Il Riformista

Secondo le associazioni di donne il passaggio dei fondi da Stato a Regione senza la specificazione dei criteri con cui queste devono distribuirli tra i diversi enti operanti nel settore rischia di produrre una mancanza di trasparenza e una disomogeneità nell’allocazione delle risorse a livello regionale tra pubblico e privato. In questo modo i finanziamenti vengono distribuiti dalle regioni senza un’accurata selezione su base qualitativa degli enti beneficiari, senza fornire linee guida comuni basate sulle direttive del piano nazionale, con ritardi in merito alle tempistiche e con nessuna garanzia di continuità nel tempo che permetta di strutturare con certezza dei progetti a lungo termine.

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Se da un lato emergono quindi i problemi tecnici, in termini di fondi e risorse per portare avanti e consolidare queste realtà indispensabili, un’altra osservazione espressa nel report riguarda la necessità di un approccio strutturale alla lotta contro la violenza di genere. Le associazioni di donne infatti sostengono che accanto al lavoro di supporto emergenziale per le vittime, sia assolutamente necessario un cambiamento culturale che rovesci l’impostazione patriarcale in cui la violenza di genere affonda le sue radici.

L’educazione al rispetto ed alla parità e la prevenzione dunque sono dei tasselli indispensabili per combattere la violenza sulle donne e per cercare di decostruirne i presupposti. In questa giornata di sensibilizzazione noi tutti potremmo partire da qui.

 


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Francesca Campanini

Classe 1999. Bresciana di nascita e padovana d'adozione. Tra la passione per la filosofia da un lato e quella per la politica internazionale dall'altro, ci infilo in mezzo, quando si può, l'aspirazione a viaggiare e a non stare ferma mai.

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