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La viticoltura in Georgia, culla caucasica di vini antichi

Si ritiene che la Georgia sia la culla della viticoltura, nonché uno dei più eccelsi centri di produzione di vino a cavallo tra Oriente e Occidente. Esploriamo la storia enologica di questo paese.

8 minuti di lettura

Oggigiorno, Francia e Italia dominano il panorama economico e culturale della vitivinicoltura, e probabilmente molti di noi immaginano che il vino sia originario proprio di questi paesi, o almeno di una zona mediterranea. Eppure ci sono altri territori, ben più distanti, che possono vantare un sapere enologico secolare. Uno di questi è la Georgia, piccolo stato sui monti del Caucaso, in perfetto equilibrio tra Europa e Asia.

I primordi della vitivinicoltura

Diversi studiosi ritengono che sia la Transcaucasia, regione che abbraccia l’Armenia, l’Azerbaigian e la Georgia, la culla della vitivinicoltura. Tracce di acido malico, tartarico, succinico e citrico trovate in alcune anfore d’argilla confermerebbero che in Georgia la Vitis vinifera venisse sfruttata sin dal 6000 a.C. Delle tre nazioni transcaucasiche, la Georgia ha perseverato fino a diventare uno dei più eccelsi centri di produzione di vino a cavallo tra Oriente e Occidente.

Geografia georgiana

Georgia viticoltura
Le regioni georgiane © Nordwestern, Wikipedia

Prima di entrare nel merito della questione vitivinicola, è essenziale avere un quadro geografico della Georgia, tale da comprendere la distribuzione dei suoi vitigni principali. La Georgia è uno stato del Caucaso meridionale: confina a nord con la Russia, a sud con l’Armenia e la Turchia, a sud-est con l’Azerbaigian e a ovest si affaccia sul Mar Nero. Il clima e gli ottimi terreni hanno reso l’agricoltura il settore più produttivo del paese, con la viticoltura in vetta. Le regioni più floride sono l’Imerezia, la Cartalia, la Racha-Lechkhumi e la Cachezia — ma è quest’ultima a essere la più celebre a livello mondiale.

La Cachezia si trova nella Georgia dell’est, al confine con l’Azerbaigian, ed è la casa di due rinomati vitigni: il Saperavi, un bacca nera con sentori erbacei che, se vinificato in purezza, produce un vino secco e ad alta gradazione alcolica; e il Rkatsiteli, un bacca bianca dall’aroma floreale che durante l’URSS produceva un vino liquoroso simile allo sherry e che oggi è invece utilizzato per vini da dessert.

Naturalmente, la rassegna di vitigni è più ampia e annovera tra i tanti Mtsvane, Usakhelauri, Tsolikouri, Alexandrouli, nonché degli allogeni come lo Chardonnay, il Pinot e il Cabernet. 

Gli zar russi e la Georgia

Le prime forme di dominio russo in Georgia ebbero inizio in epoca zarista e culminarono con l’annessione all’Impero nel 1800, ad opera dello zar Paolo I. Le famiglie reali che avevano governato in diverse regioni del paese furono mandate in esilio, sentenziando così la Georgia a secoli di influenze forzate e tradizioni soffocate. Per la coltura della vite, questo comportò da una parte l’adozione dei metodi francesi di vinificazione, innovativi ed efficienti, ma dall’altra introdusse la devastante fillossera, un afide che si ciba delle foglie di vite e che già aveva fatto stragi nei vitigni europei. Negli anni Venti del Novecento, anche la Georgia dovette fare un tragico conto: il 70% delle sue uve soccombette. 

L’Unione Sovietica e la Georgia

Nel 1922, la Georgia fu inglobata nella Repubblica Socialista Federativa Sovietica Transcaucasica, insieme ad Armenia e Azerbaigian. Nel 1936 la RSFST si sciolse, e la Georgia diventò una repubblica a sé, un minuto puntino nella costellazione dell’URSS. In questi anni, la corsa alla modernizzazione fu intrapresa con le bonifiche dei terreni paludosi a ovest del paese, e l’irrigazione di quelli più aridi a est. Con la Nuova Politica Economica istituita da Lenin — un intervallo di libero mercato concesso per cercare di sconfiggere la crisi della guerra civile — i campi vennero assegnati a piccoli proprietari terrieri. Ci fu una rinascita dei vigneti, con una particolare fioritura per i vitigni indigeni georgiani.

La situazione era destinata a ribaltarsi con l’avvento di Stalin, che con i piani quinquennali nazionalizzò e collettivizzò le terre, nel tentativo di estirpare i kulaki, quegli stessi contadini che sotto Lenin avevano ridestato la vitivinicoltura del paese. È ironico che Stalin, georgiano d’origine, volesse soffocare in tal modo la sua madrepatria, eppure non sembrò pentirsi dell’approccio razionalizzante che il suo governo assunse verso la produzione del vino: solo sei vitigni potevano essere coltivati — i più resistenti alle malattie e i meno esigenti di cure particolari.

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Elementi di cultura georgiana

Il periodo sovietico strappò alla Georgia la sua ruralità, origine dei suoi vini genuini. Tuttavia, ancora oggi, in un contesto sempre più industriale, è possibile ritrovare tracce della tradizione. Una volta raccolte le uve durante il periodo di rtveli (“vendemmia”), le si trasportano nelle marani, le cantine tipiche che in Georgia orientale occupano il seminterrato di ogni dimora, mentre in Georgia occidentale sono poste fuori casa. Ogni cantina è attrezzata con satsnakheli (“pigiatrici”) e kwevri (“vasi”).

Quest’ultimi, soprattutto, enucleano la cultura enologica georgiana nella sua interezza: si tratta, infatti, di vasi in terracotta di varie dimensioni, che vengono sotterrati per la fermentazione e maturazione dei mosti — nel 2013, questo metodo di vinificazione antichissimo è stato persino riconosciuto dall’Unesco tra i patrimoni orali e immateriali dell’umanità. Culmine del processo è la Supra, festa popolare in cui ci si riunisce a banchettare, tra cibi nazionali e fiumi di vino. Gli innumerevoli brindisi, gesti irrinunciabili per esprimere gratitudine ai propri commensali, sono guidati dal tamada, vero e proprio “brindatore” georgiano che ha il compito di condurre la serata, così come si condurrebbe un’orchestra.

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Dei kwevri interrati © Levan Gokadze

Una coppa di vino per gli amici

Che la Georgia viva di vino e col vino, lo dimostra anche la statua della madre del popolo Kartlis Deda, sulle alture della capitale Tbilisi: in una mano impugna una spada, destinata a chi giunge in città con intenti ostili; con l’altra solleva una coppa di vino, da condividere con amici e alleati.

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Foto di copertina: © Nino Ozbetelashvili

Fonti:

  • 100 sights of Georgia, N. Elizbarashivili, B. Kupatadze, Dani Publishing, Tbilisi, 2017
  • Russian influence on the wine industry and culture of Georgia, L. Bruce, I. Singh Riar, Carleton University, Ottawa, 2020
  • Georgia: A Country Study, G. E. Curtis, Washington: GPO for the Library of Congress, 1994
  • “Poverty in Georgia” in Georgia’s choices: charting a future in uncertain times, T. De Waal, Carnegie Moscow Center, 2011, pp. 15–19

Caterina Cantoni

Classe 1998, ho studiato Lingue e Letterature Straniere all'Università Statale di Milano. Ammaliata da quella tragicità che solo la letteratura russa sa toccare, ho dato il mio cuore a Dostoevskij e a Majakovskij. Viale del tramonto, La finestra sul cortile e Ritorno al futuro sono tra i miei film preferiti, ma ho anche un debole per l'animazione. A volte mi rattristo perché so che non mi basterebbero cento vite per imparare tutto ciò che vorrei.

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