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William Tyndale

Tradurre la Bibbia in inglese: l’eresia di William Tyndale

Il suo obiettivo era rendere accessibile a tutti, grazie ad una traduzione in lingua inglese, il libro più importante per ogni fedele: la Bibbia. Un'impresa che, però, pagò con la vita. Chi era William Tyndale?

14 minuti di lettura

Nel 1401, il re d’Inghilterra Enrico IV promulgò il De heretico comburendo, una legge che prevedeva la morte sul rogo per gli eretici. Nel testo, si accennava alla pericolosità di quei soggetti che, contro il volere della Chiesa, pubblicavano libri che incitavano alla rivolta, fosse essa fisica o intellettuale. Erano definiti «false and perverse people» («persone false e perverse»), portatori di «wicked doctrines»(«dottrine malvagie»). Questa legge venne abrogata definitivamente nel 1677, sotto il governo di Carlo II. Tuttavia, prima di quel momento, le vittime del rogo furono innumerevoli. Tra questi «sabotatori» della fede cristiana, vi era un prete di nome William Tyndale. La sua colpa era stata quella di voler rendere accessibile a tutti, grazie ad una traduzione in lingua inglese, il libro più importante per ogni fedele – la Bibbia. Ma una traduzione al di fuori della Chiesa e delle istituzioni era vietata, e davvero pericolosa. Un rischio che non lo fermò dal portare a termine l’impresa nel 1525, pur sapendo che alla fine del percorso avrebbe pagato con la vita.   

La Bibbia prima di William Tyndale

Il passo compiuto da Tyndale, seppure sovversivo e destabilizzante, non fu senza precedenti. Per quanto riguarda l’Inghilterra, il primato spetta al teologo e riformatore John Wycliffe che, con l’aiuto di diversi collaboratori, nel 1382 pubblicò la prima Bibbia in inglese – o meglio, in medio inglese. Ciò che lo aveva spinto ad ultimare un progetto di tale portata era l’esclusività del latino, lingua ufficiale della Chiesa che però era inaccessibile alla maggioranza dei devoti. I sostenitori di questa politica popolare di spodestamento del latino si riconoscevano sotto il nome di lollardi, e la loro corrente di pensiero era definita lollardismo.

Una seconda traduzione che fu cruciale per il lavoro di William Tyndale fu quella di Erasmo da Rotterdam. L’umanista olandese, avendo individuato delle discrepanze tra il testo latino della Bibbia vulgata e l’originale greco, decise di produrne una versione più accurata. Il risultato fu la sua edizione critica del Nuovo Testamento del 1516, la quale presentava sia il testo greco, sia la traduzione latina di Erasmo, fianco a fianco.

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Fuori dall’Inghilterra, ma sempre in ambito vernacolare, la traduzione in tedesco del Nuovo Testamento da parte di Martin Lutero, nel 1522, fu un altro stadio imprescindibile per l’operato di Tyndale. A differenza di Erasmo, infatti, Lutero si era basato su fonti greche ed ebraiche, senza la mediazione del testo latino. La sua traduzione della Bibbia completa vide invece la luce nel 1534. Ad essa si sarebbero ancorate numerose traduzioni in volgare, tra cui quella danese e quella svedese.

Formazione e pensiero di William Tyndale

Questo era lo sfondo sul quale William Tyndale agì. Il suo pensiero e i suoi ideali, così nitidi e saldi al completamento della traduzione nel 1525, ebbero modo di svilupparsi durante i suoi primi studi ad Oxford e a Cambridge. Assiduo lettore della Bibbia, Tyndale prese gli ordini sacerdotali e iniziò a frequentare un gruppo di umanisti al White Horse Tavern di Cambridge. Al suo interno, gli intellettuali si riunivano per discutere i principi luterani – un’affluenza che rese il locale l’epicentro della riforma protestante in città.

Nella visione di Tyndale, al mondo esisteva una sola autorità: Dio. Ne consegue il ruolo del re come suo vicario terreno, come scrisse nel suo Obedience of a Christian man: «Dio ha reso il re il giudice della Sua terra, e oltre a lui non c’è nessun altro giudice. Coloro che giudicano il re, giudicano Dio». È, in sostanza, un rapporto di tipo contrattuale.

La più grande preoccupazione di William Tyndale era, però, un’altra. Difatti, non lo turbavano soltanto l’agiatezza e la corruzione della classe religiosa, ma soprattutto il suo elitismo. Essere contrari alla traduzione in volgare della Bibbia non era mera indifferenza verso il popolo, era un’usurpazione nei confronti delle Scritture stesse. E poiché la Chiesa è posteriore alle Scritture, essa non poteva pretendere di imporvisi – allo stesso modo di un figlio che non può ribellarsi al volere dei genitori.

Una traduzione in fuga

In questo contesto, nel 1523 Tyndale cominciò a lavorare alla traduzione dal greco all’inglese del Nuovo Testamento. Incappato subito nell’ostilità clericale, si trasferì col suo copista William Roy a Colonia, in Germania, e nel luglio 1525 pubblicò la prima edizione. Qui, la riforma luterana aveva predisposto ad un clima di apertura che era ancora impensabile in Inghilterra. Il progetto di Tyndale fu però scoperto dal diacono di Francoforte, il quale chiese l’intervento del senato di Colonia per bloccare ulteriori stampe del volume. Non solo: l’uomo avvertì il re Enrico VIII, cosicché tutti i porti, da quel momento in avanti, fossero dotati di occhi e orecchi. Tyndale fuggì quindi a Worms, dove un’altra edizione vide la luce nel 1526. Delle copie avevano anche cominciato a raggiungere l’Inghilterra a fiotti, e in gran segreto. Si racconta che l’arcivescovo di Canterbury avesse persino acquistato delle copie appositamente per bruciarle.

Il Vangelo di Giovanni tradotto da Tyndale
Il Vangelo di Giovanni nell’edizione del 1525 del Nuovo Testamento

Intanto, in patria, il re era inquieto. Da un lato, un prete fuggiasco che si era intestardito a voler tradurre la Bibbia in inglese; dall’altro, una moglie dalla quale era estraniato non riusciva a dargli figli maschi. Una situazione, quest’ultima, che sfociò nel divorzio da Caterina d’Aragona. Fu proprio dopo questa separazione osteggiata e malvista dalla Chiesa che Enrico contattò Tyndale e gli propose di andare a vivere a corte in qualità di scrittore e studioso. Tyndale avrebbe accettato l’accordo solo a patto della legalizzazione della traduzione in volgare delle Scritture. Il re non acconsentì, ed inviò degli uomini per catturare quel suddito alquanto scomodo.

Sul continente, William Tyndale continuava a spostarsi tra Colonia, Worms, Wittenberg e Amburgo. Fu però a Marburgo che pubblicò, nel 1530, la prima edizione della traduzione del Pentateuco, una parte dell’Antico Testamento. Seguirono i libri di Giona e di Neemia.

Il mercante e la spia

La caccia all’uomo era aperta. Il campo d’inseguimento era Anversa, in Belgio. Era qui che William Tyndale risiedeva dal 1534, nella casa di Thomas Poyntz, un mercante del luogo. Nella tranquillità di questa sistemazione, il teologo si dedicò alla revisione delle sue traduzioni del Nuovo Testamento.

Nell’estate del 1535, a casa Poyntz si presentò una figura piuttosto ombrosa. Proveniva da una benestante famiglia del Dorset, nel sud dell’Inghilterra; un giovanotto cortese, a modo. Tyndale lo prese subito in simpatia, gli mostrò la sua collezione di libri e intrattenne con lui una conversazione sulla politica e sulla religione della loro madrepatria. Non poteva immaginare di aver appena fatto amicizia con l’uomo che l’avrebbe condotto alla sua morte.

Henry Phillips – questo il suo nome – aveva sperperato i fondi di famiglia a Londra. Disperato, ma furbo e con un’avversione per i riformatori, era la spia perfetta. Difatti, seppe attaccare al momento giusto: una volta liberatosi di Poyntz, che era partito per affari ed era l’unico a non fidarsi di lui, Phillips invitò Tyndale a cena. Il teologo uscì di casa, per non farvi più ritorno. Due ufficiali lo agguantarono alle spalle e, sotto lo sguardo vincente della spia, Tyndale venne arrestato. Fu condotto al castello di Vilvoorde, un edificio modellato sulla Bastiglia parigina che fungeva da prigione statale dei Paesi Bassi.

La condanna per eresia

Passò un anno e mezzo prima del processo. Un anno e mezzo trascorso nel sudiciume, in compagnia dei ratti. Quando il processo iniziò, Tyndale fu condannato come eretico; il rogo lo attendeva. Qualche giorno dopo, si svolse in pubblica piazza la cerimonia che avrebbe dovuto privarlo del diritto di esercitare il suo sacerdozio. Il procedimento, umiliante nella sua teatralità, vide un uomo tagliare il palmo della mano di Tyndale con un coltello, porgergli del pane e del vino, per poi subito sottrarglieli. Tutto ciò stava a simboleggiare la perdita dei suoi poteri e doveri religiosi. L’ultimo passaggio era l’abbandono definitivo dell’abito talare. Eppure, Tyndale non doveva morire quel giorno.

Lo riportarono al castello, dove vi rimase per altri due mesi. È possibile che questa decisione fosse frutto di puro e semplice sadismo da parte dei suoi aguzzini. Giunse quindi il 6 ottobre del 1536. All’alba, Tyndale fu fatto uscire dalla sua cella. Venne scortato verso una piazza dove s’innalzava un palo di legno. La gente si assiepava sempre di più in attesa dello spettacolo.

All’eretico diedero un’ultima possibilità di abiura, ma invano. Le sue mani e i suoi piedi furono dunque legati al palo, e una catena stretta intorno al collo. Con una decisione che ai suoi persecutori dovette sembrar magnanima, Tyndale venne prima strangolato e poi arso sul rogo. Le sue ultime parole, pronunciate in un tuono di voce, furono: «Signore, apri gli occhi al re d’Inghilterra!».

William Tyndale sul rogo
Una xilografia di Tyndale sul rogo, 1563

Il lascito di William Tyndale

Quella di William Tyndale è una vicenda orlata d’ingiustizie ed empietà, ma che, come molte altre, ha avuto la sua dose di riscatto nel lungo termine. Soltanto prima della sua morte, 18.000 copie del Nuovo Testamento erano in circolazione, fruibili a chiunque. La British Library oggi ne conserva purtroppo solo due volumi completi e un frammento, ma sappiamo che il monumentale lavoro di Tyndale servì da prototipo per tutte le Bibbie inglesi successive, compresa la più famosa e autorevole King James Bible del 1611, commissionata dal re Giacomo I in persona.

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Bibliografia essenziale:

  • Encyclopaedia Britannica, voce “William Tyndale”
  • Rainer Pineas, William Tyndale: controversialist, in “Studies in Philology”, n.2, 1963
  • Bernard Emile la Berge, The political thought of William Tyndale, University of Tennessee publications, 1972
  • Stephan Gramley, The history of English – an introduction, Routledge 2019
  • Brian H. Edwards, Tyndale’s betrayal and death, su christianhistoryinstitute.org

Caterina Cantoni

Classe 1998, ho studiato Lingue e Letterature Straniere all'Università Statale di Milano. Ammaliata da quella tragicità che solo la letteratura russa sa toccare, ho dato il mio cuore a Dostoevskij e a Majakovskij. Viale del tramonto, La finestra sul cortile e Ritorno al futuro sono tra i miei film preferiti, ma ho anche un debole per l'animazione. A volte mi rattristo perché so che non mi basterebbero cento vite per imparare tutto ciò che vorrei.

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