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L’editore umorista scomodo al fascismo

Chi era Angelo Fortunato Formiggini? Storia dell'editore ebreo che aveva fatto dell'umorismo il suo punto di forza

12 minuti di lettura

Fine osservatore della sua contemporaneità, arguto critico letterario e avido lettore, Angelo Fortunato Formiggini contribuì a scrivere un capitolo essenziale della storia editoriale italiana. Con il varo della collana I classici del ridere, fu pioniere del genere umoristico, fino a quel momento mai riunito e pubblicato sotto la stessa insegna. Ripercorriamone la vita e le imprese editoriali, fino al tragico suicidio avvenuto sotto il peso delle leggi razziali del 1938.

Le origini dei Formiggini

Il cognome Formìggini è, in verità, un toponimo: Formigine, città dell’Emilia-Romagna, era la culla dei suoi antenati, gioiellieri degli Estensi. Negli anni i Formiggini hanno cambiato case e mestieri, fino a giungere nelle campagne di Modena, dove Angelo Fortunato Formiggini nacque nel 1878. I genitori, Marianna e Pellegrino, erano ebrei, ed educarono il figlio nella fede della Torah. 

Angelo Fortunato Formiggini negli anni Venti
Un ritratto fotografico di Formiggini negli anni Venti

Modena e Bologna – due tappe fondamentali

Formiggini studiò prima a Modena, laureandosi in giurisprudenza, e poi a Bologna, dove prese una seconda laurea in filosofia. Entrambi i soggiorni si riveleranno precipui per la sua futura attività di editore: nelle aule modenesi fece la conoscenza di Giulio Bertoni, filologo e critico letterario che lo iniziò al mondo dei libri; nel capoluogo emiliano, invece, lo studio della filosofia morale lo condurrà alla stesura di una tesi intitolata Filosofia del ridere. In essa, Formiggini rilevava il ruolo conciliatore e affratellante dell’umorismo, che sapeva avvicinare uomini di ogni parte del mondo. 

L’iniziazione di Formiggini all’editoria

Fu proprio a Bologna che Formiggini ebbe la prima opportunità di sperimentare in senso editoriale. In occasione delle celebrazioni per la battaglia di Zappolino – uno scontro del 1325 tra Modena e Bologna – programmò la stampa di due volumi che avrebbero dovuto non tanto ricordare l’infausta battaglia, quanto celebrare la pace che ne seguì. Il primo era una raccolta di poesie di diversi autori, ispiratisi al poema eroicomico La secchia rapita, di Alessandro Tassoni. Il secondo era una raccolta di saggi su Tassoni stesso, impreziosita da una prefazione nientemeno che di Giovanni Pascoli. L’esordio editoriale di Formiggini, dunque, era già rivelatore degli interessi che avrebbero costellato la sua futura strategia di pubblicazione: l’umorismo, che avrebbe esplorato con la sua collana I classici del ridere, e una vena più accademica che avrebbe incanalato in diverse collane filosofiche.

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La casa editrice di Angelo Fortunato Formiggini

Nacque così la casa editrice Angelo Fortunato Formiggini, che si spianò la strada con una schidionata di collane alte, pensate per un pubblico istruito: Biblioteca di filosofia e pedagogia, Opuscoli di filosofia e pedagogia, da accompagnarsi alla neonata Rivista di Filosofia – progetti che continuano e amplificano l’amore di Formiggini per la dottrina del pensiero. Nel 1909, sorse invece Profili, una collana autorevole dedicata ai personaggi più influenti della cultura italiana – un’idea vincente, che vedrà un susseguirsi di quasi 130 titoli. Sarà nondimeno la collana I classici del ridere a fare la vera fortuna della casa e a lasciare un’impronta indelebile nell’editoria italiana di settore. 

La collana «I classici del ridere»

Siamo nel 1913. Angelo Fortunato Formiggini si era trasferito a Genova con in mente un progetto: proporre in una collezione libri d’arte a prezzi popolari. E I classici del ridere furono proprio questo: 80 opere, suddivise in 105 volumi, corredate da illustrazioni, agili introduzioni e presentate in una veste squisitamente leggiadra, con copertina in pergamena. Il posto d’onore spettò a Giovanni Boccaccio, con Decameron – Prima giornata. Seguirono il Satyricon di Petronio e I viaggi in casa di Xavier De Maistre. Lo spettro comprendeva autori francesi, italiani, greco-latini e, in misura minore, anglo-americani e tedeschi. Per quanto concerne l’inquadramento temporale, a una prima prevalenza del Cinquecento, andò a sostituirsi una preferenza per il Settecento e l’Ottocento, con una pizzico di contemporanei. È, tuttavia, il criterio di selezione dell’editore che merita attenzione: 

Per i limiti del ridere io sono di manica larga. Ho detto classici del ridere e non classici dell’umorismo, della satira, del comico, dell’ironia, del sarcasmo, del grottesco, o che so io, appunto perché tutte queste cose insieme potessero essere raccolte sotto la stessa voce indeterminata.

Angelo Fortunato Formiggini non volle chiudersi in un confine dai limiti ben rimarcati, così da non dover mai rinunciare a nulla. Era comunque la dimensione erotica a trionfare su tutto il resto, giacché era la più ricercata dal lettore medio – finché la censura fascista non intervenne, e gli autori più licenziosi dovettero essere abbandonati. 

Contraddizioni della collana

I classici del ridere furono un essenziale passo in avanti per l’editoria umoristica italiana, ma non si trattò di una collana esente da contraddizioni. Formiggini ebbe indubbiamente il merito di presentare al pubblico italiano delle opere che prima di allora avevano visto la luce soltanto in edizioni edulcorate o censurate, come il Gargantua e Pantagruele di Francois Rabelais o I viaggi di Gulliver di Jonathan Swift. Eppure, essendosi prefissato come proposito ultimo la leggibilità, i volumi erano soggetti ad adattamenti, espunzioni e volgarizzazioni. Quasi nessuna opera era presentata in versione integrale – nonostante le intestazioni a volte dicessero altrimenti. L’esempio più eclatante è  quello de La guerra dei bottoni di Louis Pergaud, dove l’ambientazione venne traslata dalla Francia alla Lombardia, e la lingua dei personaggi fu tramutata dal francese in una sorta di lombardo italianizzato.

Nuovi orizzonti a Roma e prime difficoltà

Nonostante l’antinomia insita ne I classici del ridere, che alla raffinatezza leziosa della copertina opponevano una semplificazione del testo originale, le numerose riedizioni di alcune opere testimoniano un discreto successo. Nel 1916, Formiggini si trasferì a Roma e diede il via al periodico mensile L’Italia che scrive, con l’onorevole proposito di tenere al corrente i propri lettori di «tutte le principali questioni inerenti alla vita del libro italiano».

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Continuando il suo lavoro di ricercatore umorista, Formiggini fondò anche la Casa del ridere, una biblioteca che accoglieva materiali umoristici, dai libri ai ritagli di giornale, fino ai quadri. Tutto ciò non bastò a fermare un lento ma inevitabile crollo: nel 1931, l’editore dovette trasformare la sua ditta in una società anonima con azioni da collocare sul mercato. Riservandosi la posizione di amministratore delegato, nominò Giuseppe Domenico Musso come presidente. Trascorsero pochi anni, e Formiggini cambiò il nome dell’azienda in Società Anonima delle Edizioni dell’Italia che scrive – il governo gli era alle calcagna per via delle sue origini ebraiche.

Il suicidio di Angelo Fortunato Formiggini

Il cambio d’identità dell’azienda era mirato a ottenere le cosiddette discriminazioni, ovvero dei benefici previsti per gli ebrei che si fossero dimostrati indifferenti al credo ebraico. A nulla servì il provvedimento di Formiggini, e la situazione cominciò a farsi critica con la promulgazione delle leggi razziali nel 1938. Quando l’editore tornò a Modena, nella sua mente aveva già preso piede una cupio dissolvi. Il 29 novembre 1938 Angelo Fortunato Formiggini saliva sulla torre Ghirlandina e vi si gettava, cadendo sul selciato che in precedenza aveva definito «il tovaglio del Formaggino». Aveva già stilato una lettera d’addio in cui affermava che si sarebbe gettato con le tasche colme di soldi, così che nessuno potesse pensare che la sua morte era dovuta a motivi economici. Oggi, a tutti coloro che ascendono la torre simbolo della città di Modena, li attende un’iscrizione:

Da questa finestra il 29 novembre 1938 Angelo Fortunato Formiggini si gettava nel vuoto. Dal monumento simbolo della città di Modena con il suo tragico gesto esprimeva testimonianza estrema contro le leggi razziali antiebraiche volute dalla tirannia fascista e promulgate dalla complice monarchia, anticipando la ribellione morale che ridarà alla Patria la democrazia e la libertà. 

La finestra da cui si gettò Angelo Fortunato Formiggini, sulla Torre Ghirlandina di Modena
La finestra da cui si gettò Formiggini. Accanto, la targa commemorativa

Conclusione

Un interesse entusiastico e una curiosità mai smorzata guidarono le scelte editoriali di Angelo Fortunato Formiggini. E forse proprio i suoi punti di forza furono anche le sue debolezze: non bastava, infatti, la cura artigianale in un mondo in rapido sviluppo come quello del mercato librario. Occorrevano assetti finanziari più solidi, che la sua casa editrice non aveva. Ma nonostante tutto, Formiggini ebbe il merito di condurre la sua azienda con quella mentalità da artigiano che solo i veri appassionati potevano avere.

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Fonti: La competizione editoriale. Marchi e collane di vasto pubblico nell’Italia contemporanea (1860-2020), Bruno Pischedda, Carocci 2022

Angelo Fortunato Formiggini un editore del Novecento, Luigi Balsamo & Renzo Cremante, Il Mulino 1981

Caterina Cantoni

Classe 1998, ho studiato Lingue e Letterature Straniere all'Università Statale di Milano. Ammaliata da quella tragicità che solo la letteratura russa sa toccare, ho dato il mio cuore a Dostoevskij e a Majakovskij. Viale del tramonto, La finestra sul cortile e Ritorno al futuro sono tra i miei film preferiti, ma ho anche un debole per l'animazione. A volte mi rattristo perché so che non mi basterebbero cento vite per imparare tutto ciò che vorrei.

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