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Una paternità contesa. Panfilo Castaldi e la stampa

Da medico a tipografo. Com'è riuscito Panfilo Castaldi a portare al successo la stampa milanese? E perché c'è chi, addirittura, sostiene che sia stato lui il vero inventore della stampa?

12 minuti di lettura

Nel comune di Feltre, in Veneto, si erge una statua di un uomo alto e barbuto, che tiene una scatolina con dei timbri a forma di lettere nella mano destra e un foglio con la parola “Progresso” nella mano sinistra. Scorrendo l’iscrizione, si apprende che il soggetto è «Panfilo Castaldi, scopritore generoso dei caratteri mobili per la stampa». Un mirabile e solenne tributo, eccetto che non fu Panfilo Castaldi ad inventare la stampa.   

Gutenberg e la Bibbia

Il primo libro stampato a caratteri mobili fu la Bibbia 42 linee, così chiamata per via del numero di righe contenute in ogni pagina. Era il 1455 quando le prime copie cominciarono a circolare, ma i lavori erano in corso già dal 1453. Johannes Gutenberg – orafo e figlio di un orafo – aveva imparato l’arte impressoria e, con il sostegno dei soci Johannes Fust e Peter Schöffer, aveva avviato un’attività a Magonza. Dei dissidi finanziari minarono la già instabile società, e Gutenberg dovette rinunciare ai caratteri tipografici gotici coi quali aveva stampato la sua Bibbia. Le 180 copie che produsse – 140 su carta di canapa e 40 su pergamena – si distinsero per chiarezza e accuratezza, e si guadagnarono l’ammirazione degli umanisti.
Ben presto la stampa si diffuse al di fuori della Germania. In Italia, agli albori, attecchì in svariate città, ma tre si rivelarono esserne i centri principali: Roma, Venezia e Milano.

Due monaci tedeschi a Subiaco

La prima tipografia italiana sorse nel 1465, in un’abbazia a Subiaco, non lontano da Roma. L’edificio poteva vantare una biblioteca ampia e variegata, frutto di una florida attività amanuense. Ma l’alacrità dei monaci era destinata ad essere sostituita da un sistema ben più rapido. L’arrivo di due benedettini tedeschi, Arnold Pannartz e Conrad Sweynheym, significò anche l’arrivo della stampa.

In breve tempo uscirono diverse opere, tutte in carattere gotico: il De oratore di Cicerone, ovvero il manuale di retorica per eccellenza, e il De civitate Dei di Sant’Agostino, la grande apologia del Cristianesimo. Infine, un volume contenente tre opere di Lucio Firmiano Lattanzio, filosofo romano cristiano, coronava quel connubio di humanitas e christianitas che aveva guidato le scelte editoriali dei due monaci. Sweynheym e Pannartz in seguito si spostarono a Roma, dove continuarono con il loro operato, adattandosi al carattere tipografico arrotondato della scrittura umanistica, allora in voga. Il primo volume che vide la luce nella città furono le Epistulae ad familiares di Cicerone.

Venezia, un paradiso tipografico

A Venezia la stampa giunse nel 1469. Sebbene ci fosse un distacco di quattro anni rispetto a Subiaco, la Serenissima si trasformò presto nel baricentro italiano dell’arte tipografica. Il suo vantaggio principale consisteva, infatti, nell’essere uno dei più importanti nodi commerciali europei. Con l’economia girava anche la cultura, e insieme a libri in latino, si producevano volumi in lingue e alfabeti stranieri. Il tedesco Giovanni da Spira fu il primo ad avviare la sua attività in città, ricevendo persino una privativa di cinque anni da parte del governo. Ciononostante, negli anni successivi non fecero che sbocciare nuove tipografie. Tra le più rilevanti, ricordiamo quella del francese Nicolas Jenson, che perfezionò il carattere romano, e quella di Aldo Manuzio che, si può dire, pose le fondamenta del libro moderno, ideando il formato tascabile ed elaborando il corsivo.

La prima stamperia a Milano

In terza posizione, come accennato, c’era Milano. Si stima che dal 1471 – data d’esordio della stampa in città – sino alla fine del secolo, fossero stati prodotti almeno 550.000 volumi, in circa 30 tipografie differenti. Un numero impressionante per un mercato che era ancora ai primordi. Eppure, prima di giungere alla cifra di 550mila, doveva esserci stato un numero uno. Ed è proprio questo numero uno ad interessarci per i fini della nostra panoramica, perché è qui che entra in gioco l’uomo che dà il titolo a questo articolo.

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Panfilo Castaldi era originario di Feltre. La sua data di nascita non ci è nota, ma si ipotizza fosse attorno al 1398. Studiò arte a Padova, sotto la guida dei più insigni maestri del tempo, per poi trasferirsi a medicina.
Quando la stampa raggiunse Venezia, lui era lì. Conscio che il mercato che si stava formando era ricco di opportunità, il Castaldi imparò la tecnica sul campo, osservando i collaboratori di Giovanni da Spira, e decise di mettersi in proprio. Per avviare la sua professione optò per Milano, città ancora priva di una tipografia e di volumi “endemici”. Il duca gli concesse un privilegio di cinque anni, sebbene poi le stamperie sarebbero sorte numerose.

I primi volumi della tipografia Castaldi

Ed ecco che così, il 3 agosto 1471, comparve il De verborum significatione di Pompeo Festo, un compendio di aneddoti storici, politici, religiosi e culturali organizzato in ordine quasi alfabetico (solo la prima lettera veniva considerata nell’ordine). Il testo era in realtà una rielaborazione di Pompeo Festo di uno scritto del grammatico Marco Verrio Flacco, e in quanto tale conteneva dei commenti a margine, o piccole modifiche di adattamento. Il volume non presentava la marca tipografica di Castaldi, ma studi successivi ne hanno dimostrato la paternità. Il 25 settembre dello stesso anno uscì, invece, la Cosmographia di Pomponio Mela, opera geografica dedicata alla descrizione della terra, in cui si cercava di sondarne i confini. Era la prima volta che quest’opera veniva stampata. Di nuovo, però, la marca tipografica era assente.

L’incontro con i fratelli Zarotto

Un mese dopo, una svolta: Panfilo Castaldi firmò un contratto con i fratelli Antonio e Fortunato Zarotto – anche loro due tipografi in erba – per la stampa di 300 copie delle Epistulae ad familiares di Cicerone, una delle raccolte simbolo dell’arte epistolare. Sarebbe verosimile supporre che i Zarotto si occupassero del lavoro tecnico, mentre il Castaldi si dedicava alle questioni più burocratiche. Dei due fratelli Zarotto, sarebbe stato Antonio ad ereditare la tipografia del Castaldi, e a far avanzare la stampa milanese verso territori sconosciuti, conferendole superiore dignità.

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Il conflitto con Filippo da Lavagna

Il termine del percorso castaldiano giunse forse troppo presto. Un altro tipografo, conosciuto come Filippo Cavagni o Filippo da Lavagna, nel 1472 violò il privilegio che il duca aveva concesso a Panfilo Castaldi, stampando quasi in contemporanea a lui tre opere: le già citate Epistulae ciceroniane, la Vita della Vergine Maria di Antonio Cornazzano e l’anonima Presa di Negroponte. Purtuttavia, emerge come il Castaldi avesse predisposto di rinunciare alla sua professione se qualcun altro avesse voluto subentrargli in città. Così fu. Il tipografo milanese tornò così a Venezia, dove cedette i suoi caratteri di stampa e i suoi attrezzi. Dopo l’esperienza con l’arte impressoria, il Castaldi ritornò ad esercitare come medico.

La tesi castaldiana

Il merito di Panfilo Castaldi di aver introdotto la stampa a Milano è ormai (quasi) indiscusso. Eppure, c’è chi sostiene che, a Castaldi, appartenga addirittura il primato dell’invenzione della stampa stessa. Nel 1864, un articolo di un certo Iacopo Bernardi pubblicato su La mente di Milano diede origine alla cosiddetta tesi castaldiana, secondo cui è Castaldi ad avere la paternità dell’invenzione, e Gutenberg non fu altro che un suo allievo. La tesi venne subito confutata, ma ciò non fermò le rivendicazioni patriottiche.

In particolare, è Feltre, il paese natale di Panfilo Castaldi, a rinfocolare questa teoria, basandosi su una cronaca di un frate francescano del XVII secolo. Ancora oggi questo centro veneto – dove giganteggia la statua del tipografo – racconta come il loro concittadino avesse ricevuto in dote dalla moglie (o addirittura da Marco Polo in persona!) dei blocchi di legno cinesi per la stampa. Incuriosito dalla tecnica, il Castaldi decise di provare da sé, e fece produrre prima degli stampi di vetro a Murano, per poi progettarne altri di legno che avrebbe usato a Venezia. Tutto ciò nel 1426, ovvero piuttosto in anticipo rispetto ai primi esperimenti di Gutenberg. Una leggenda che tuttavia conserva un certo fascino, e che andrebbe ad aggiungersi allo stuolo di onori del nostro paese.

Caterina Cantoni

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Bibliografia essenziale:
Lodovica Braida, Stampa e cultura in Europa, Laterza 2009
Paolo Veneziani, Dizionario biografico degli italiani,vol. 21, Roma, Istituto dell’Enciclopedia Italiana, 1978
Arnaldo Ganda, Cenni su carta, cartai e cartolai nel Quattrocento milanese, in “La bibliofilia”, vol. 116, n. 1-3, 2014

Caterina Cantoni

Classe 1998, ho studiato Lingue e Letterature Straniere all'Università Statale di Milano. Ammaliata da quella tragicità che solo la letteratura russa sa toccare, ho dato il mio cuore a Dostoevskij e a Majakovskij. Viale del tramonto, La finestra sul cortile e Ritorno al futuro sono tra i miei film preferiti, ma ho anche un debole per l'animazione. A volte mi rattristo perché so che non mi basterebbero cento vite per imparare tutto ciò che vorrei.

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