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Black Arts Movement: quando la protesta si trasforma in arte

Negli anni Sessanta le lotte per l’affermazione dei diritti civili degli afroamericani hanno raggiunto il loro apice storico e anche gli artisti neri hanno contribuito: cos’è, quindi, il Black Arts Movement?

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4 minuti di lettura

Gli anni Sessanta sono stati un periodo turbolento dal punto di vista politico e sociale: le ribellioni giovanili esplodevano in tutto il mondo, la guerra in Vietnam imperversava e la Guerra Fredda teneva l’umanità col fiato sospeso. Il mondo dell’arte ovviamente non poteva che riflettere i grandi cambiamenti in atto, specialmente negli Stati Uniti.

Tutti conosciamo il grandioso boom dell’arte contemporanea statunitense di quel periodo, dall’espressionismo astratto di Pollock e Twombly, rivoluzione assoluta nel campo delle arti figurative, fino alla Pop Art, la corrente artistica contemporanea forse più amata e conosciuta al mondo. Mentre la società americana si trasformava e affermava la propria identità sul mondo con immagini colorate, musica psichedelica e moda rivoluzionaria, una grossa fetta di popolazione lottava strenuamente per ottenere i più elementari diritti: la comunità nera.

Gli afroamericani negli anni Sessanta hanno cominciato a sfidare apertamente il movimento di violenta oppressione che da decenni li discriminava. Le cosiddette leggi “Jim Crow” impedivano ai neri di votare, di essere eletti, di fare carriera e di condividere luoghi e mezzi pubblici con i bianchi. Le lotte per l’affermazione dei diritti civili hanno insanguinato le strade delle città americane per tutto il decennio, tornando periodicamente ad alzare la propria voce contro un sistema di ingiustizia sociale che persiste ancora oggi. Gli artisti neri non sono rimasti a guardare, esprimendo il dolore e il dissenso della comunità afroamericana attraverso la propria opera.

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Black Arts Movement: una nuova “estetica nera”

Il Movimento degli Artisti Neri è stato un gruppo di pittori, poeti, musicisti e scultori nato ad Harlem, quartiere newyorkese abitato soprattutto da neri, all’inizio degli anni Sessanta.

Scorrendo i nomi dei numerosi artisti che hanno preso parte al Black Arts Movement si nota come, soprattutto nell’ambito delle arti figurative, siano presenti moltissime donne. In tutto il mondo le donne artiste sono eccezioni, anche all’interno delle correnti artistiche contemporanee più importanti. Le artiste nere hanno invece trovato la loro dimensione all’interno del BAM, creando opere conservate ora nelle maggiori gallerie statunitensi. Come Barbara Jones-Hogu, che nel 1971 realizza il collage Unite, servendosi di forti riferimenti all’arte di propaganda russa per mostrare il sentimento di rivalsa delle Black Panther. O come Faith Ringgold che in American People Series #20 : Die ritrae la drammatica rivolta di Harlem del 1964, attraverso una violenza che atterrisce tutti, donne, uomini e bambini, banchi e neri.

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Faith Ringgold, American People Series #20: Die, 1967, The Museum of Modern Art, New York – fonte: www.moma.org

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Il Black Arts Movement ha cercato di delineare un’estetica artistica che appartenesse solo alla comunità nera, per distinguerla nettamente dai movimenti artistici bianchi dell’epoca. Nascono così opere dure, a volte didascaliche, ma allo stesso tempo ricche di piani di lettura. L’arte nera è prima di tutto denuncia, rabbia e delusione, come quella silenziosa che si legge nell’uomo ritratto da Benny Andrews nel 1969 (Did the Bear Sit Under a Tree?): i pugni levati in un muto gesto di impotenza verso la bandiera a stelle e strisce, simbolo di libertà, ma solo per alcuni.

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Benny Andrews, Did the Bear Sit Under the Tree, 1969, Emanuel Collection  © Estate of Benny Andrews/DACS, London/VAGA, NY

Ancora più dirompente è la scultura, con opere come Sambo’s Banjo di  Betye Saar: una bambola nera vestita da musicista è impiccata all’interno della custodia di un banjo, strumento musicale tipico degli stati del Sud, dove i linciaggi, terribili episodi di giustizia sommaria verso neri sospettati di un crimine, erano all’ordine del giorno fino a poco tempo fa.

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Non mancano però artisti che si avvicinano alle correnti artistiche bianche degli anni Sessanta, come Pop Art e Minimalismo. Melvin Edward si serve degli stilemi dell’arte minimale per raccontare la condizione dei neri, attraverso installazioni metalliche che giocano con il contesto in cui sono posizionate, mentre Phillip Lindsay Mason esplora il Pop di Andy Wharol e Roy Liechtestein con l’opera del 1979 The Hero, dove un giovane supereroe nero dai capelli afro spicca su uno sfondo giallo e rosso vicino allo stile fumettistico. La fine degli anni ’70 vede farsi spazio un altro grande artista, nato sotto l’ala protettrice della Factory wharoliana: parliamo di Basquiat, giovanissimo simbolo dell’arte contemporanea nera che ha portato nelle grandi gallerie l’arte “sporca” dei graffiti metropolitani.

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Phillip Lindsay Mason, The Hero, 1979, Mills College Art Museum © Phillip Lindsay Mason

Un mercato difficile per un’arte scomoda

Basquiat a parte, se ci soffermiamo a pensare a un grande artista contemporaneo nero non troviamo nessun nome che ci torni alla memoria. Questo perché il mercato dell’arte è composto principalmente da collezionisti bianchi, prevalentemente over 35. In rari casi, specialmente durante gli anni delle manifestazioni per i diritti civili, grandi gallerie o facoltosi mecenati si sono interessati a un’arte che parlava così chiaramente verso la propria comunità, lasciando di fatto esclusa per molti anni l’arte afroamericana dalle grandi aste e dalle collezioni private.

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Nel corso del tempo, grazie anche alla cultura più diffusa, gli artisti afroamericani hanno trovato collocazione nei musei e nelle gallerie del mondo, nonostante rimangano ancora pochissimi i collezionisti d’arte neri. Le aste tendono perciò a limitare o addirittura escludere ancora oggi le opere “nere”, impedendo di fatto la storicizzazione del Black Arts Movement all’interno del mercato.

Da pochissimo però si possono osservare delle interessanti inversioni di tendenza in questo ambito, sia attraverso la promozione degli artisti emergenti provenienti da realtà difficili, sia negli Stati Uniti che in Africa (tra gli altri, il celebre marchio di sigari Davidoff finanzia borse di studio e residenze per artisti neri in Sud America e Africa). Se il mercato non va dall’artista, l’artista crea il suo mercato.

È nata così, a Indianapolis, la prima casa d’aste dedicata all’opera degli artisti afroamericani dal XIX al XXI secolo. Fondata da un gallerista bianco, Thom Pegg, la Black Art Auction è stata fondata nel maggio del 2020 per incoraggiare il mercato a far circolare opere di straordinaria bellezza eseguite da artisti neri nell’arco di tre secoli. Al momento la base d’asta più alta è quella per un’opera astratta di Sam Gilliam, che va dai 40.000 ai 500.000 dollari.
Sono cifre molto più basse rispetto a quelle di aste d’arte contemporanea di artisti coevi bianchi, segno che c’è ancora molta strada da fare per raggiungere la parità, perlomeno in campo artistico.

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Beatrice Curti

Laureata in Beni Culturali, ama l'arte sin da quando ne ha ricordo. Ha bisogno come l'aria di viaggiare, leggere e guardare film. Mai darle da mangiare dopo mezzanotte.