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Bordighera

Bordighera: la storia millenaria di un gioiello nel Ponente ligure

Esempio di migrazione top-down nei territori di confine, ospiti prestigiosi e opere rinomate che hanno reso questa piccola perla del Ponente ligure uno degli snodi culturali più celebri della nostra Penisola. Qual è la storia di Bordighera?

19 minuti di lettura

A te, tra 2000 anni

Se il concetto di confine geografico sembra essere stato spazzato via dal globalismo, lo si deve al concetto stesso di confine, inteso come limite fisico entro il quale costruire identità. L’introduzione di un enorme spazio senza limiti come internet ha, di fatto, reso obsoleto qualsiasi cosa si riferisca ad uno spazio materiale. I confini, semmai, oggi sono digitali: potrò far parte di una community più o meno estesa fin dove può arrivare il mio laptop, il mio smartphone, la mia fibra.

Non è sempre stato così, ovviamente.

Vi è stato un tempo, a dire il vero assai recente, in cui il confine era geografico e tanto più efficace quanto più invalicabile. In Italia, ad esempio, possiamo vedere due tipi di confini qualitativamente differenti: quello che separa la Sicilia dal Nord Africa, ovvero il mare, più difficile da oltrepassare (e divenuto tristemente un cimitero di migranti) e quelli ad est e ovest del nostro Paese, che dividono Trieste dalla Croazia e Ventimiglia dalla Francia. Sono confini labili, strisce di terra segnate su una carta geografica. Sono confini giuridici, amministrativi ma fisicamente ben più semplici da oltrepassare. Non a caso allora, dove più è vulnerabile un confine, tanto più è marcata la contaminazione di culture diverse.

«Qui si aspetta che finisca l’estate, poi si aspetta che ritorni l’estate» fa dire lo scrittore Andrè Aciman al protagonista del delicatissimo e acclamato Call me by your name.

Una love story tenera e scabrosa al tempo stesso che diventa, tra le altre cose, uno spaccato preciso di una realtà poco nota ma estremamente interessante: il Ponente ligure, il Far West italiano. La vicenda di Call me by your name è, infatti, ambientata a Bordighera e basta un rapido sguardo al suo lungomare per capire quanto la frase pronunciata da Elio Perlman possa essere vera. Tutto, a Bordighera, parla di mare, dai calli nelle mani dei pochi pescatori che osano sfidare il mare impetuoso d’ottobre, alla salsedine sulle staccionate dei numerosi bagni presenti, rimasta attaccata dall’estate prima, in attesa della prossima.

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La vocazione turistica di Bordighera è, ancora, palese nelle ville liberty che si dipanano senza soluzione di continuità. Ci dicono, inoltre, quante e quali influenze culturali son di casa qui. Ad onor del vero, la prima cosa che si nota passeggiando lungo il suggestivo sentiero del Beodo, a Bordighera alta, è la presenza, quasi miracolosa a queste latitudini, di un enorme, rigoglioso e giustamente celebrato, palmeto. Esso è il frutto del primo, rilevante, contributo lasciato in lascito da uno straniero.

Si tratta di Sant’Ampelio, anacoreta egiziano nato nella Tebaide intorno al IV secolo[1]. Eremita e uomo di grande spiritualità, intraprese il suo viaggio per l’Italia, passando anche da Arezzo, fino a giungere a Bordighera. Portava con sé, in dono, dei noccioli di dattero all’epoca certamente considerati esotici e, in teoria, impossibili da trapiantare in Liguria. Nel suo soggiorno bordigotto, presso una grotta tra gli scogli dove oggi sorge la chiesa in suo onore, Ampelio riuscì ad acclimatare le palme da datteri, generando quello che è, ancora, il palmeto più settentrionale d’Europa.

La figura di Sant’Ampelio non è importante solo per l’introduzione delle palme in Liguria, ma ebbe conseguenze più significative. Nell’area provenzale era infatti assai radicata la presenza di un importante priorato monastico, dipendente dalla potentissima abbazia di Lerino. Fondata nel Quattrocento da monaci cistercensi, all’epoca dell’arrivo di Sant’Ampelio in Liguria controllava già diversi possedimenti del Ponente ligure[2].

In particolare, fondamentale fu il loro ruolo nel dare impulso all’agricoltura locale a Badalucco, in provincia di Imperia, con il recupero di aree incolte o abbandonate, le bonifiche e le migliorie agronomiche con il recupero e la diffusione di oliveti fra cui la cultivar di oliva taggiasca[3].

L’arrivo di Sant’Ampelio contribuì a mettere in dubbio la supremazia dell’abbazia di Lerino sull’area del Ponente ligure, poiché, alla morte del santo, la chiesa eretta in suo onore fu donata ai monaci benedettini di Montmajoiur di Arles, acerrimi nemici dei cistercensi di Lerino. Da Ampelio in avanti, insomma, le storie di Bordighera e del Ponente ligure prendono strade divergenti, che convergeranno definitivamente solo a metà Ottocento. Anche così può essere spiegata l’unicità di Bordighera, attraverso il contributo di stranieri che l’hanno resa grande. Una tradizione che inizia con Sant’Ampelio e che prosegue, come vedremo, con altri illustri personaggi.

Bordighera tra le pagine di un libro

«Galeotto fu ‘l libro e chi lo scrisse» faceva dire alla lussuriosa Francesca da Rimini il Sommo poeta. Ed è dalle pagine di un libro galeotto che nasce la storia della migrazione top-down di Bordighera. Il termine top-down è mutuato dal gergo informatico e indica una progettazione che dalla parte più complessa, discende verso quelle meno complesse. Analogamente, potremmo dire, che la migrazione top-down è quella migrazione in cui i ricchi migranti (top) discendono verso una meta (down) poco rinomata, o comunque di caratura inferiore rispetto allo status sociale di chi vi arriva. È questo il caso di Bordighera, fino agli inizi del Settecento piccolo borgo marinaro e di quei ricchissimi nobili inglesi e francesi che vi si trasferiranno, contribuendo ad innalzarne il prestigio e la bellezza.

L’appeal di Bordighera, prima che Call me by your name ne ricalcasse i destini, derivò da un romanzo di Giovanni Ruffini, scrittore e patriota genovese di prima grandezza, che nell’arco della sua travagliata esistenza frequentò spesso il Ponente ligure, in particolare Taggia, passando l’infanzia presso villa Eleonora.

Il romanzo che fece conoscere Bordighera ad inglesi e francesi fu Il Dottor Antonio il suo più grande successo. Tale opera, imbevuta di valori patriottici e basata su una trama semplice quanto ben scritta, ha come protagonista il dottor Antonio, un medico siciliano di stanza a Bordighera, il quale salva la vita alla giovane Lucy Davenne, figlia di un nobile inglese e occorsa in un incidente in carrozza. Tra i due sboccerà un amore mai confessato, più volte vicino al compimento senza però essere mai raggiunto a causa delle beghe del dottor Antonio, nel frattempo partecipe dei moti del 1848 a Napoli. L’origine siciliana del protagonista non deve sorprendere. L’origine dei Liguri è, ancora oggi, ignota e la storiografia moderna si divide ancora tra chi pensa siano un popolo pre-indoeuropeo e chi, invece, pensa sia il più antico popolo indoeuropeo[4]. Da questa incertezza sulle loro origini, deriva anche un’affascinante parentela tra Liguri e Siculi, che per Filisto da Siracusa sarebbero in realtà dei Liguri cacciati dai loro territori dagli Umbri.

Il successo del romanzo, dal quale venne tratto anche il primo sceneggiato televisivo della storia della televisione italiana, spinse numerosissimi e benestanti inglesi a trasferirsi a Bordighera, sopraffatti dalla descrizione del Ruffini di quei luoghi. Tutti i turisti britannici e francesi che si recavano a Bordighera chiedevano di visitare la Locanda del mattone, dove la dolce Lucy Davenne era stata curata dal dottor Antonio. Tale locanda oggi non esiste più, ma l’eco di quel successo ha spinto l’amministrazione comunale a porre una targa nel luogo esatto in cui sorgeva. La descrizione di quei paesaggi unici colpì, tra gli altri, un giovane Edmondo de Amicis, che a Bordighera si spegnerà nel 1908 e che si era espresso così su di essa: «Poche case ammucchiate sopra un’altura che formano un labirinto di vicoli in salita e discesa, dove spira l’uggia della fortezza antica eretta in difesa dei Saraceni».

Ospiti illustri

L’arrivo in massa di nobili inglesi e francesi coincide con il periodo di massimo splendore di Bordighera, ed il segno da loro lasciato è ancora fortemente tangibile in città. Il museo Bicknell, ad esempio, raccoglie la più antica collezione di calchi di pitture rupestri delle Alpi Occidentali[5], ad opera di Clarence Bicknell, ricchissimo matematico inglese trasferitosi a Bordighera sulla scorta del successo de Il Dottor Antonio. Grazie al suo impegno e alla sua infinita conoscenza botanica, sorse a Bordighera in quello che ora porta il suo nome, il primo museo della Liguria ed un importante cenacolo di intellettuali provenienti da tutto il mondo.

Un altro illustre straniero giunto a Bordighera al culmine della propria fama fu l’architetto francese Charles Garnier, già autore della famosa Opèra Garnier e artefice anche del Casinò di Monte Carlo e dell’osservatorio astronomico di Nizza, in collaborazione con un altro architetto divenuto celebre, Gustave Eiffel. A Bordighera, dove risiedeva, Garnier dà vita ad alcune delle ville più belle di Bordighera, come villa Bischoffsheim, dal nome di colui che la commissionò, un ricchissimo banchiere tedesco, successivamente finanziatore anche dell’osservatorio di Nizza. La villa, che torreggia la parte bassa della città, presenta una bellissima torretta, tratto caratteristico di Garnier, e pregiati marmi policromi al proprio interno. Le numerose opere finanziate dal Bischoffsheim, lo costrinsero però a mettere in vendita questa bellissima villa, acquistata nel 1896 da un altro illustrissimo straniero di stanza a Bordighera. Si tratta di Lord Claude Bowes-Lyon, XIV conte di Strathmore e Kinghorne.

Egli, che morì proprio a Bordighera, fu il nonno nientemeno che di Elizabeth Bowes-Lyon, la Queen Mother ovvero la madre dell’attuale Elisabetta II e che per tutta l’infanzia ha continuato a passare gli inverni a Bordighera.

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Ospite fisso dei Bowes-Lyon era Margherita di Savoia, consorte del re d’Italia Umberto I e poi, dopo la sua dipartita, prima regina consorte della nostra storia. Rimasta affascinata anche lei da Bordighera, decise di far costruire una villa che potesse, per splendore, potesse offuscare quella dei futuri regnanti d’Inghilterra. È con questo proposito che sorge, nel 1916, Villa Margherita per mano dell’architetto Broggi. La villa, costruita in stile barocco del XVIII secolo, possiede un piano seminterrato, un piano terra, due piani superiori e una grande terrazza panoramica all’ultimo piano, da cui parte una passerella che dà accesso alla parte alta del giardino ed è stata un irripetibile centro di attrazione artistica per Bordighera. La regina, infatti, amava l’arte in tutte le sue forme e, tra i suoi ospiti a Bordighera, possiamo contare Mariani, Carducci e Fogazzaro.

A rendere eterni questi scorci, questi momenti d’intensa attività culturale vi fu anche Claude Monet, che a Bordighera trascorse diverse settimane di permanenza, talmente estasiato dal luogo da portare con sé l’amico Renoir. Quest’ultimo, tra l’altro, deve la sua svolta aigre proprio alla vacanza a Bordighera, mentre Monet così descrive la cittadina:

Gentile Signor Durand Ruel, voglio passare un mese a Bordighera, uno dei luoghi più belli che abbiamo visto durante il nostro viaggio. Da laggiù, nutro la speranza di portarvi tutta una serie di cose nuove. Perciò vi domando di non parlare a nessuno di questo proposito, non perché voglia fare un mistero, ma perché ci tengo a farlo da solo: come mi è stato piacevole fare il viaggio da turista con Renoir, così mi sarebbe imbarazzante farlo in due per lavorare. Ho sempre lavorato meglio nella solitudine e secondo le mie sole impressioni.

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Del periodo bordigotto di Monet rimangono le sue Les Villas à Bordighera esposte al museo d’Orsay di Parigi. La lunga coda di fama, bellezza e lusso di Bordighera si protrasse ancora lungo tutta la prima metà del Novecento; sono due gli eventi significativi avvenuti nella città in questo lasso di tempo: il 12 febbraio 1941 Benito Mussolini incontra Francisco Franco per riferirgli dell’opportunità di entrare in guerra a fianco dell’Asse. Nel 1947, invece, per iniziativa di Cesare Perfetto, Bordighera diventa teatro per oltre cinquant’anni del prestigioso Salone Internazionale dell’Umorismo, dedicato ai fumetti ed alle graphic novel umoristiche. In pochi anni il Salone raggiunse una grande notorietà grazie al suo intento divulgativo ed alle iniziative di sostegno organizzate dal suo fondatore, tanto da divenire un punto di riferimento per molti umoristi di tutto il mondo, tra i quali spiccano Guillermo Mordillo e Giovannino Guareschi, ideatore delle avventure di Don Camillo e Peppone.

Dall’arrivo di Sant’Ampelio al contributo di Monet, Bicknell, Garnier, Renoir ed Elisabetta I, Bordighera ha saputo rappresentare un notevole snodo culturale attraverso la propria bellezza, il proprio clima, i prodotti della propria terra ma anche, e soprattutto, grazie al contributo di prestigiosi ospiti che in nessuna città del Ponente ligure hanno lasciato un segno così tangibile come a Bordighera. Una vera e propria migrazione che ebbe come preludio un romanzo e che, fatalmente, si ripropone negli anni in questo indissolubile rapporto con la letteratura, dal Salone Internazionale dell’Umorismo fino a Call me by your name. Nella storia di Bordighera sembra esserci davvero solo una via per descriverne il fascino, come se una pagina di un libro potesse contenere una vita intera.


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Note

[1] Sant’Ampelio Eremita Patrono di Bordighera, a cura di D. Mauro Pio, Parroco Abate di S. Maria Maddalena – IMPRIMATUR Ventimiglia, 30-10-1960 – Agostino Vescovo.

[2] Henri Moris, Edmond Blanc (a cura di), Cartulaire de l’abbaye de Lérins, vol. 1, Nice, Ministère de l’éducation nationale, 1883.

[3] Enzo Bernardini, Villaggi di Pietra. Viaggio nell’entroterra della Riviera dei Fiori, San Mauro (TO), Tipografia Stige, 2002.

[4] Bianca Maria Giannattasio, I Liguri e la Liguria, Storia e archeologia di un territorio prima della conquista romana, Longanesi, Milano 2007;

[5] Clarence Bicknell, Flora of Bordighera and San Remo or a catalogue of the wild plants growing in western Liguria in the area bounded by the outer watersheds of the Arma and Nervia torrents, Bordighera, Pietro Gibelli, 1896.

[6] Vanessa Gavioli, Monet, in I Classici dell’Arte, vol. 4, Rizzoli, 2003.

Immagine in copertina presa da Tullio Bigordi

Davide Accardi

Classe '92, ha conseguito la laurea specialistica in Studi storici, antropologici e geografici presso l’Università di Palermo discutendo una tesi dal titolo L’identità nazionale nei territori di confine. I suoi campi di ricerca comprendono, inoltre, temi di biopolitica come lo Stato d'eccezione. Scrive e si interessa di cinema, in particolare sulla relazione tra spazi e vuoti in Antonioni e sull’influenza della psicanalisi in Kaufman.

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