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Quello tra la Cina e la NATO è un rapporto complicato

Il vertice dello scorso giugno ha sancito un nuovo assetto per l'Alleanza atlantica. Ora la NATO guarda con preoccupazione alla Cina e al suo ruolo internazionale. Proviamo a capire perché.

14 minuti di lettura

Il vertice NATO conclusosi lo scorso 30 giugno 2022 a Madrid è stato sicuramente il più importante meeting dell’Alleanza Atlantica degli ultimi trent’anni, da quando i paesi membri, all’indomani del crollo dell’Unione Sovietica, si erano trovati di fronte ad una scelta obbligata: ridefinire i proprio obiettivi strategici e quindi la stessa ragion d’essere dell’alleanza, oppure dissolversi di fronte ad un mondo che non sembrava essere più lo stesso.

La NATO ieri

Gli Stati Uniti spinsero fortemente nella prima direzione, vedendo nella NATO uno degli strumenti fondamentali attraverso cui mantenere l’assetto europeo ereditato dalla Seconda guerra mondiale, ma molte cose cambiarono. Due fronti in particolare segnarono un cambio di passo, ovvero l’apertura ad un futuro allargamento ad alcuni paesi ex-membri del Patto di Varsavia e la trasformazione da organizzazione espressamente difensiva a mezzo militare spesso al servizio della politica estera americana.

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La missione NATO che nel 1999 vide l’Alleanza contrapposta alle forze di Milosevic in Serbia cambiò per sempre la percezione che l’Alleanza aveva di sé, ma soprattutto cambiò che cosa gli altri stati pensavano del patto Atlantico. I bombardamenti NATO contro la Serbia scattarono, su ordine dell’allora segretario generale Javier Solana e senza alcun mandato ONU, la sera del 24 marzo 1999 con i primi cacciabombardieri decollati dalla base alleata di Aviano, nel nordest dell’Italia, e si conclusero il 9 giugno dopo 78 giorni di raid martellanti che colpirono obiettivi militari ma anche civili, causando la morte di almeno 2.500 persone e il ferimento di altre 12mila. Durante i bombardamenti su Belgrado, tra le altre cose, il 27 maggio 1999 fu colpita l’ambasciata cinese in Serbia. A causa di un errore dell’intelligence statunitense morirono tre giornalisti cinesi.

La Cina preoccupa la NATO

Da quel giorno molte altre cose sono cambiate. L’immagine della NATO non sarebbe più stata la stessa agli occhi della Cina, che la considera ora una minaccia, espressione del dominio statunitense sull’emisfero occidentale e braccio armato di Washington in caso di conflitto. Le preoccupazioni cinesi non sono senza fondamento: nonostante il fulcro dell’alleanza rimanga l’Europa, soprattutto ora che la Russia è tornata ad essere il nemico presente sul quale concentrare gli sforzi, la diversa natura alla quale risponde ora la NATO le consente un’interpretazione più ampia di contenimento, che non si limita più solo alla Russia. Prova ne sono le svariate missioni occidentali a supporto della marina americana nel Pacifico e nel Mar cinese meridionale, alle quali ha partecipato recentemente anche la HMS Queen Elizabeth, fiore all’occhiello della marina di sua Maestà.

La dichiarazione conclusiva del vertice lascia poi pochi spazi all’interpretazione:

Le ambizioni e le politiche coercitive di Pechino sfidano la nostra sicurezza, i nostri interessi ed i nostri valori: la Repubblica popolare impiega una vasta gamma di strumenti politici, economici e militari per aumentare la sua influenza globale e il suo progetto di potere, pur rimanendo opaca circa la sua strategia, le sue intenzioni e il suo rafforzamento militare.

Paesi asiatici al vertice NATO

Al vertice di Madrid hanno partecipato per la prima volta anche partner esterni che non fanno parte della cornice euroatlantica come Australia, Corea del Sud, Nuova Zelanda e Giappone. Non è un caso che questi paesi siano stati invitati nell’occasione del riassetto dell’alleanza atlantica: si tratta di quattro paesi sui quali si fonda buona parte della rete di influenza americana nel Pacifico, sin dalla fine del conflitto mondiale. Al 2020 risultavano dislocati al di fuori degli USA circa 180mila soldati americani, dei quali quasi la metà distribuiti proprio tra la penisola di Corea e nel paese del Sol Levante. Si tratta di un dispiegamento di uomini e mezzi imponente, che negli anni gli apparati ed i diversi presidenti americani hanno scelto di mantenere.

L’assenza dell’India, membro del QUAD ma non invitata al vertice europeo, è da leggere in due modi. Innanzitutto, segna una bocciatura da parte americana. Nonostante, infatti, il subcontinente indiano si trovi in prima linea nel contenimento cinese, a Washington molti non apprezzano le ambiguità con cui il primo ministro Narendra Modi si sta muovendo sulla crisi ucraina. Dall’altra parte, invece, l’India rimane un paese fieramente ostile in linea di massima all’occidente, memore della sua natura postcoloniale e della profondità delle sue radici storiche e culturali. La decisione di partecipare al contenimento cinese è dovuta soprattutto a ragioni di opportunismo, non di identificazione valoriale con l’occidente.

La posizione della Cina nei confronti della NATO

Il ministero degli esteri della Cina ha commentato, ironicamente ma non troppo, il riassetto della NATO affermando che si tratta dello stesso vino di sempre, ma presentato in una botte nuova. È probabile che in futuro dovremo abituarci a queste massime cinesi trasposte in senso geopolitico, anche se l’interpretazione non è sempre così scontata. Il 19 giugno la Repubblica Popolare ha varato la Fujian, la prima portaerei interamente progettata e costruita in Cina, nei cantieri navali di Shanghai. Si tratta di una nave che mira a competere con le super-portaerei nucleari americane di classe Nimitz e Ford, anche se verosimilmente si posizionerà un gradino sotto di queste. Non dispone infatti di una propulsione di tipo nucleare, ha un ponte di lancio in meno delle americane e soprattutto sconterà senza dubbio quelli che saranno i difetti di gioventù di un progetto mastodontico e che richiede grande esperienza e capacità. Si tratta comunque senza dubbio di un considerevole passo in avanti dal punto di vista tecnologico rispetto alle altre due portaerei a disposizione della flotta cinese, una di impostazione sovietica, poi riammodernata, ed una varata nel 2017.

Il nome scelto per l’ammiraglia della flotta cinese poi è evocativo, perché riprende quello della regione costiera esattamente di fronte a Formosa, anche se l’utilità di una portaerei in una potenziale crisi che coinvolga l’isola sembra essere molto limitata. La nave sarà utile soprattutto per proiettare la marina cinese al di là delle due catene di isole sulle quali è basato il contenimento americano, anche se quel giorno non è così vicino come sembra. Dal momento del varo alla piena operatività passeranno alcuni anni, necessari all’addestramento dell’equipaggio e ai diversi test che la nave dovrà superare sul campo.

Le difficoltà della Cina

L’opacità con cui si sta muovendo la Cina a livello internazionale non è però solo un’interpretazione occidentale viziata dal pregiudizio, e le difficoltà che la repubblica popolare sta incontrando per proiettare la sua influenza al di fuori del bacino del Mar cinese meridionale sono un dato di fatto con cui Pechino deve fare i conti. Negli ultimi mesi il ministro degli esteri Wang Yi ha intrapreso una serie di viaggi volti a stipulare accordi commerciali e militari in diversi arcipelaghi del Pacifico meridionale, senza riscuotere grande successo, con la parziale eccezione delle Isole Salomone, un piccolissimo arcipelago fino ad ora sempre strettamente legato all’Australia. In tutta l’area, poi, la Cina dispone di un unico vero alleato, che è la Corea del Nord. Un paese la cui affidabilità è del tutto relativa, oggetto degli umori di un uomo che tratta la nazione come un feudo personale. Non l’alleato che tutti vorrebbero insomma, per di più in possesso dell’atomica. La Belt and Road Initiative sta poi perdendo quello che era lo slancio iniziale, costringendo Pechino a rivedere al ribasso gli obiettivi.

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L’ambiguità dei rapporti tra Cina e Russia

L’opacità cinese però non si limita al campo occidentale, ma anche nel sostegno che il paese sta offrendo all’economia Russa in guerra. Se da una parte è vero che le importazioni di gas e petrolio siberiani sono aumentati, a causa anche dei prezzi di saldo che Mosca garantisce a Pechino, dall’altra parte è vero anche che USA ed Unione Europea restano di gran lunga il primo ed il secondo partner commerciale cinese, soprattutto se consideriamo beni ad alto contenuto tecnologico o che richiedono una particolare abilità industriale. La Russia non è in grado di sostituire l’occidente da questo punto di vista, e molte aziende cinesi stanno limitando il sostegno alla Russia proprio per paura di ritorsioni occidentali. Aziende cinesi come Lenovo, Xiaomi, Huawei, Dji hanno tagliato molte spedizioni o addirittura chiuso le loro sedi russe, ed in generale l’export cinese è calato considerevolmente. La Russia però avrà sempre più bisogno di acquistare prodotti tecnologici alternativi a quelli americani ed europei, se la porta cinese rimarrà chiusa ciò potrà costituire un importante limite all’amicizia tra le due nazioni.

La posizione cinese è quindi molto complessa. Insieme alla Russia ambisce a creare un ordine internazionale diverso da quello a guida americana, ma per ora manca dell’appeal e dello status che un’operazione di questa portata richiede. Il congresso del Partito Comunista che si terrà in ottobre molto probabilmente, a meno di improvvisi riassetti interni, riconfermerà Xi come presidente in carica, ma non è scontato che il nuovo corso, forte di un potere sempre più accentrato, sarà in grado di mantenere il patto sociale che lega il partito alla popolazione. Il “benessere moderato” promesso dal presidente ha finora funzionato da collante tra la leadership e la monolitica opinione pubblica cinese, ma si tratta di un patto fragile, soggetto a molte variabili che possono cambiare velocemente.

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Il Covid, e soprattutto la sua gestione autoritaria, in questo senso è stato certamente un buon test di quanto la cittadinanza accetti di buon grado ulteriori restrizioni alla libertà personale, ma ciò è vero certamente finché la leadership sarà in grado di mantenere livelli di benessere e crescita sostenuti e soprattutto diffusi. Una delle sfide future sarà proprio consentire alle regioni interne, da sempre fonte di instabilità, di raggiungere o almeno avvicinare in termini di sviluppo le megalopoli costiere. Questa, più che la capacità di divenire il perno di un nuovo sistema internazionale, sarà probabilmente la sfida più difficile per il paese nei prossimi anni.

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Michele Corti

Nato a Lecco nel 1996, studente di Scienze Politiche. Amo la montagna in ogni sua veste, il vento in faccia in bicicletta, la musica e provo a destreggiarmi nella politica internazionale, cosa fortunatamente più semplice rispetto a quella italiana."

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