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Coronavirus e Giorgio Agamben: chiarimenti sul fraintendimento di un’emergenza

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Il filosofo Giorgio Agamben, una delle menti più brillanti del nostro tempo, fin da fine febbraio sta facendo parlare (male) di sé. Sia i suoi colleghi filosofi, sia diversi cittadini allarmati denunciano le sue posizioni in merito alla difficile situazione che stiamo vivendo a seguito della diffusione del Coronavirus. «Sono sproloqui e farneticazioni» dicono, come è stato affermato sulla rivista MicroMega.

Senza avere la minima intenzione di rivedere le sue posizioni, Agamben ha scritto in totale tre brevi, ma densi, articoli per illustrare il suo punto di vista, tutti pubblicati dalla casa editrice Quodlibet, che ha editato il suo celebre e monumentale lavoro filosofico Homo Sacer (acquista).  Dopotutto il concetto di “ritrattazione” Agamben lo ha pensato in questi termini in uno dei suoi molti saggi minori Il fuoco e il racconto (Nottetempo, 2014):

Il termine ritrattazione ha oggi soltanto il senso peggiorativo di smentire o rinnegare ciò che si è detto o scritto. Agostino lo usa invece nel senso di “trattare di nuovo”. Egli torna sui libri che ha scritto non tanto per emendarli da difetti quanto per chiarirne il senso e gli scopi.

Ciò è quanto lo stesso Giorgio Agamben fa con questi tre articoli in successione, progressivamente più esplicativi delle sue idee in merito alla pandemia. Come Frammenti Rivista, abbiamo deciso di riportarne alcuni brevi estratti, commentandoli, al fine di dare una visione complessiva di quanto Agamben afferma e di evitare che le sue affermazioni vengano prese per argomenti efficaci e illuminanti nella situazione attuale.  

da Doppiozero

I tre articoli di Giorgio Agamben: il nostro botta e risposta

Il nostro prossimo é stato abolito.

Contagio, 11 marzo 2020

È vero che l’interazione e l’aggregazione sociale è temporaneamente sospesa, ma non per un capriccio politico o per cattiveria. Si tratta di una situazione transitoria. 

Ogni individuo è trasformato in un potenziale untore.

Contagio, 11 marzo 2020

È vero che ogni persona può contagiare o essere contagiata, questo è il significato del termine “pandemia”: un contagio che è in grado di aggredire l’intera popolazione. Il filosofo non è il primo a fare un riferimento al solo dell'”untore”, in diversi hanno collegato i recenti avvenimenti, ad esempio, con la peste raccontata anche dal Manzoni.

La peste del 600, da Agi.it

È evidente che gli italiani sono disposti a sacrificare praticamente tutto, le condizioni normali di vita, i rapporti sociali, il lavoro, perfino le amicizie, gli affetti e le convinzioni religiose e politiche al pericolo di ammalarsi.

Chiarimenti, 17 marzo 2020

È proprio l’ammalarsi che mette in pericolo le condizioni normali di vita e potenzialmente le distrugge. Una sospensione temporanea è una precisa scelta etica e non un sacrificio di rinuncia.

Che cosa è una società che non ha altro valore che la sopravvivenza?

Chiarimenti, 17 marzo 2020

Questa domanda solleva la questione etica della progressiva invivibilità del mondo, per cui la prima mossa etica da fare è tutelare la salute e la sopravvivenza. Ma la sopravvivenza e la salute sono la condizione di possibilità di qualsiasi realizzazione. Una società che ha come valore fondamentale la sopravvivenza è quindi una società che preserva i suoi componenti e consente la loro libera espressione.

Una società che vive in un perenne stato di emergenza non può essere una società libera. Noi di fatto viviamo in una società che ha sacrificato la libertà alle cosiddette “ragioni di sicurezza” e si è condannata per questo a vivere in un perenne stato di paura e di insicurezza.

Chiarimenti, 17 marzo 2020

Perché “perenne”? C’è una differenza tra ciò che è perenne e ciò che, invece, è permanente, ma temporaneo. Se la libertà è ciò che entra in collisione con la sicurezza, non si tratta di libertà, ma di comportamenti pericolosi. La paura e l’insicurezza nascono da questi comportamenti pericolosi che non sono mai del tutto eliminabili all’interno della società, e non dall’assenza di libertà.

Giorgio Agamben

Così, in un perverso circolo vizioso, la limitazione della libertà imposta dai governi viene accettata in nome di un desiderio di sicurezza che è stato indotto dagli stessi governi che ora intervengono per soddisfarlo.

L’invenzione di un’epidemia, 26 febbraio 2020

Il desiderio di sicurezza non è stato indotto dai governi, ma è una necessità di tutela autoconservativa che nasce dal desiderio di essere protetti dai pericoli. Nella situazione attuale il desiderio di sicurezza come protezione dal pericolo Coronavirus porta a un atteggiamento precauzionale ed etico che limita le nostre libertà, a prescindere dai decreti del governo.

Quello che preoccupa è non tanto o non solo il presente, ma il dopo. […] che si cercherà di continuare anche dopo l’emergenza sanitaria gli esperimenti che i governi non erano riusciti prima a realizzare: che si chiudano le università e le scuole e si facciano lezioni solo on line, che si smetta una buona volta di riunirsi e di parlare per ragioni politiche o culturali e ci si scambino soltanto messaggi digitali, che ovunque è possibile le macchine sostituiscano ogni contatto – ogni contagio – fra gli esseri umani.

Chiarimenti, 17 marzo 2020

Le misure straordinarie, sono straordinarie perché deviano da ciò che è ordinario. Che le misure straordinarie diventino la norma è una ipotesi possibile solo se la si colloca all’interno dell’idea – molto discutibile – di uno stato di eccezione divenuto normale, che è la tesi di Agamben, il quale mette in atto una petitio principii su cui costruisce tutta la sua argomentazione.

Siamo davvero in “stato di eccezione”?

Resta da chiedersi fino a che punto sia pertinente l’utilizzo della categoria politico-filosofica di “stato di eccezione” nella situazione attuale. Giorgio Agamben la prende in prestito da giuristi e politologi quali Carl Schmitt, Santi Romano e Clinton L. Rossiter, e dal filosofo Walter Benjamin, fino a trovare tracce della sua esistenza nel diritto romano.

Tale categoria è diventata leitmotiv della trentennale ricerca filosofica agambeniana. Va detto che, in generale, non viviamo in uno stato d’eccezione perenne se con ciò si intende il fatto che certe situazioni particolari richiedono misure particolari: le misure straordinarie sono sempre esistite e ciò che è perenne è l’esigenza di ricorrervi per ristabilire un equilibrio, la normalità. Attualmente non siamo in uno stato di eccezione inteso come forma di «dittatura costituzionale» in cui per risolvere l’emergenza lo Stato assume più poteri e i cittadini perdono alcuni diritti. Non c’è un esercizio dispotico sulla collettività da parte dello Stato volto all’accrescimento del potere, piuttosto una restrizione non dei diritti, ma dei comportamenti che costituiscono una minaccia per la salute di tutti.

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Siamo, invece, in uno stato d’eccezione se con ciò intendiamo una situazione che necessita il massimo sforzo per essere superata e per la quale alcune leggi vigenti decadono temporaneamente (basti pensare al fatto che a causa del virus i medici possono svolgere la professione senza essere abilitati), mentre altre vengono emanate tramite decreti creati ad hoc per intervenire sulla situazione di emergenza da risolvere.

Nel caso specifico che stiamo vivendo c’è da chiedersi: eccezione rispetto a quale norma? Qual è la normalità standard che viene sospesa se viviamo già di base in uno stato di eccezione perenne, come ritiene Agamben? Per constatare che non siamo già sempre in uno stato di eccezione perenne, basta guardare al fatto che la libertà (nel senso delle «nostre amate libertà» di cui ha parlato Conte nel discorso alla nazione) è stabilmente garantita per la maggior parte della popolazione.

Giorgio Agamben
Il premier italiano Giuseppe Conte (dal sito del Governo)

Non a caso siamo una democrazia liberale: alcuni ambiti della nostra vita sono in nostro potere e ne disponiamo a piacimento. È proprio questa la normalità che viene sospesa in questi giorni. Ma – almeno nell’ottica di chi scrive – non è nè una misura volta all’incremento del potere centrale, né una sospensione perenne che farà diventare l’eccezione norma. Altro non è che una misura sì permanente (nel senso che permane e deve permanere), ma temporanea. 


Immagine in copertina da ilsecoloxix

Lorenzo Pampanini

Classe 1994. Laureato in Scienze Filosofiche all'Università La Sapienza di Roma.