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«La donna dal kimono bianco» di Ana Johns, il filo rosso dell’essere donna

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7 minuti di lettura

Quando si legge un romanzo ambientato in Giappone, è bene prepararsi ad un’atmosfera onirica anche se a tratti fin troppo realistica. La donna dal kimono bianco, paragonato ad altri romanzi come Memorie di una Geisha, crea nel lettore la sospensione dell’incredulità necessaria per immergersi in quella che in effetti è una storia vera. Durante la lettura sembra di stare avvolti dall’odore di petali di fiore, che però appassisce nella malinconia di fondo che divora la vicenda. Sembra sempre di più di immergersi in una realtà differente dalla nostra, a tratti quasi inimmaginabile per quanto ferisce che tutto ciò possa essere accaduto.

Il dramma di innamorarsi di un gaijin

La protagonista di La donna dal kimono bianco (acquista) è una donna che si è innamorata di un gaijin, straniero in giapponese, un marinaio americano. La storia appare banale: l’amore ostacolato dalle differenze. Eppure, non è così semplice come sembra. La narrazione di Ana Johns si ispira infatti a eventi realmente accaduti, riguardanti anche proprio la sua famiglia e ciò si percepisce dalla profonda aderenza al reale con cui racconta tutto. Ci ritroviamo così in una realtà complessa, quella in cui una donna non è libera di amare chi vuole né di partorire il proprio figlio. In cui quelle differenze, che ci fanno pensare a un classico Romeo e Giulietta, sono anche più radicate e complesse grazie alla profondità con cui è raccontato tutto.

La donna dal kimono bianco

Lo stile narrativo è particolare: ci sono due vicende che vengono narrate parallelamente, un paradigma assai usato nella narrativa giapponese, ad esempio nei romanzi di Murakami Haruki.

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Così, una sponda del fiume ci conduce verso i giorni nostri, quando una giovane donna, Tori Kovač deve scoprire tutto sul passato del padre, proprio quello straniero, e sulla verità della donna che ha amato. E dall’altra parte, il fiume scorre nelle lacrime di quell’amore interrotto nel 1957. Chi sarà la donna dal kimono bianco?

Il filo rosso dell’amore

Due innamorati sembrano non avere diritto a inseguire i propri sogni a causa delle diversità, quelle diversità che per lo “straniero”, arruolato in Marina, sono fatali. Lo allontanano da quella donna che ama profondamente e che aspetta anche suo figlio. D’altra parte, mentre lui deve scegliere tra il suo futuro, la sua nazione e l’amore, la sua amata sembra doversi occupare dell’onore della famiglia. Per avere la giusta protezione per sé e per suo figlio dovrà compiere una scelta tremenda.

La donna dal kimono bianco

In questa tragica condizione e attraverso questa tempesta si immerge la figlia dell’americano, la giornalista Tori Kovač. Nelle piccole cose e nei momenti di assoluta delicatezza si disgrega una storia che commuove, cattura e tiene incollati alle pagine. Per quanto il destino abbia lottato contro quell’amore, tra i due rimane un filo rosso. Uno dei tanti pregi del romanzo è proprio quello di immergerti in credenze della cultura orientale come questa, creando un’atmosfera onirica e mitologica che comunque non distoglie dalla crudezza degli eventi, ma anzi ti rende più consapevole.

Il filo rosso del destino è un’antica credenza dell’Asia orientale secondo la quale il cielo lega un cordino rosso intorno al mignolo di coloro che sono destinati a stare insieme. È un filo invisibile che collega tutti quelli che si incontrano per volere del fato, a prescindere dal tempo, dal luogo o dalle circostanze

La donna dal kimono bianco

«La donna dal kimono bianco»: una storia struggente e attuale

Alla grande importanza data alla spiritualità nel romanzo, si unisce un forte desiderio di dare spazio a momenti fondamentali della storia. Si cita la morte di James Dean come simbolo di una generazione, ma anche il grande coraggio di Rosa Parks. Si squarcia il velo di Maya di una società fatta di contraddizioni, ferite, dolore, ma anche tanta speranza. Essa consiste in quella spiritualità e nella visione metafisica di certi aspetti della vita, una visione che accompagna e cattura il lettore fino alla fine. Sono due voci di due donne che ci raccontano ciò che può avvenire in un mondo spesso ingiusto, donne che appartengono a due epoche diverse, ma che hanno in comune quello straniero. Il punto di vista femminile tesse una tela fitta ma anche equilibrata, che non stanca la mente, ma la sfiora e poi la avvolge.

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Il romanzo risuona incredibilmente attuale in un’epoca in cui le differenze dividono non solo le storie d’amore, in cui impazzano le polemiche sull’aborto. La rabbia per i sogni e i diritti della donna dal kimono bianco svaniti e per la sofferenza di un uomo colpevole solo di non essere giapponese avvolge tutti noi. Eppure, Ana Johns lo dice chiaramente: «Il filo può tendersi o attorcigliarsi, ma non si romperà mai». E così non si rompe facilmente neppure il filo che ci lega a questa vicenda così toccante, da leggere e non dimenticare.

 


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Silvia Argento

Nata ad Agrigento nel 1997, ha conseguito una laurea triennale in Lettere Moderne, una magistrale in Filologia Moderna e Italianistica e una seconda magistrale in Editoria e scrittura con lode. È docente di letteratura italiana e latina, scrittrice e redattrice per vari siti di divulgazione culturale e critica musicale. Ha pubblicato un saggio su Oscar Wilde e la raccolta di racconti «Dipinti, brevi storie di fragilità».

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