Per anni considerati ai margini della società, soggetti per i quali provare una sorta di pietà e di dispiacere perché entro i trent’anni non erano riusciti a “sistemarsi” con un/a partner, oggi chi vive da solo non è più considerato una persona sfortunata. Al contrario, si potrebbe sostenere che la solitudine è una conquista e un privilegio, un modo complesso, ma affascinante di abitare il mondo.
In questo contesto, anche il rapporto con l’eros si trasforma, talvolta complicandosi, altre amplificandosi perché può essere vissuto in una totale libertà di espressione e di volontà.
Vediamo, quindi, cosa accade all’eros quando si resta da soli e il silenzio diventa la compagnia più frequente, cambiando profondamente, in ogni senso, la grammatica stessa dell’eros, di un’abitudine e di un bisogno umano da sempre considerato soggetto a una necessaria e, a volte anche forzata, condivisione.
L’intimità è in territorio auto-gestito
Innanzitutto, quando si pensa a una persona che vive da sola, si realizza subito che questa detiene il pieno controllo del proprio spazio-tempo. Non dovendo condividere con nessun altro queste dimensioni fondamentali della vita, non è sotto scacco di negoziazioni o compromessi.
Il desiderio nell’assenza
L’eros, gestito in forma totalmente libera, può diventare così anche malinconico, struggente, evocativo, affiorando in dettagli impensati che rievocano la presenza di qualcuno a cui si è voluto bene o anche semplicemente con cui si è stati bene.
La mancanza, però, non è sempre una sensazione negativa; talvolta può trasformarsi in uno spazio di attesa e un invito alla fantasia e alla creatività. Non è detto che il desiderio si spenga, anzi può svilupparsi ulteriormente nella pazienza, nell’imparare a non avere fretta, a vivere anche nell’immaginazione.
L’eros diventa così meno performativo, un’abitudine contemplativa che porta le persone a vivere forme inedite di sessualità e vita privata.
L’eros diffuso: tecnologia, presenza differita e nuovi codici
Bisogna comunque sottolineare che in questo presente digitale, anche chi vive da solo non è mai completamente e veramente solo. La presenza si differisce, come avrebbe detto Jacques Derrida,
in app di incontri, videocall, sexting, piattaforme erotiche: l’eros si esprime in vie eteree contaminando così una solitudine che diversamente sarebbe stata assoluta. Il corpo digitale si intreccia con quello fisico, donando forme di piacere spesso ugualmente percepite e sentite; perché in questo caso, il confine tra fisico e virtuale diventa davvero labile. La solitudine, così, si popola di esperienze, voci, immagini anche totalmente interattive. In questa tensione tra presenza virtuale e reale, si disegnano nuovi codici di desiderio: sguardi, voci, immagini vengono filtrati dal corpo traducendosi in un piacere tangibile, che mette in moto tutti i sensi.
Sebbene il mondo sia iper-stimolante, sia sul piano digitale che su quello reale, l’eros diventa merce di consumo; chi, però, vive da solo sperimenta l’opportunità di restituire al desiderio una profondità maggiore. Prendersi cura del proprio corpo, infatti, senza per forza farne un oggetto da offrire o un territorio da abitare, può riscoprire una sensualità diffusa non solo nella propria fisicità, ma anche nella scelta di come trascorrere il tempo e di abitare lo spazio.
Vivere da soli, quindi, può diventare in questo modo anche un atto politico, un modo per resistere all’idea che si ha sempre bisogno di qualcun altro per essere felici e che senza quel “qualcuno” la vita è incompleta. Vivere da soli offre l’opportunità di sganciarsi da qualsiasi dipendenza affettiva e iniziare ad amare davvero se stessi, prima di sviluppare forme di dipendenza dagli altri.
Un gesto anarchico
L’eros dei solitari per scelta, di chi vive da solo il proprio spazio e il proprio tempo è spesso stratificato su varie forme di esperienza, malinconico a volte anarchico, un desiderio che si muove tra assenza e presenza, tra reale e virtuale, tra corpo e immaginazione.
Sicuramente non è un eros “minore”, ma un eros che ha imparato ad accogliere il silenzio, a parlare altre lingue, a godersi lo spettacolo anche se non c’è nessun altro in sala. E forse è proprio questa la sua forza, ovvero imparare a prendersi cura di sé, toccarsi senza desiderare nient’altro che il proprio corpo, primo vero accesso al piacere.

Questo articolo fa parte della newsletter n. 50 – maggio 2025 di Frammenti Rivista, riservata agli abbonati al FR Club. Leggi gli altri articoli di questo numero:
- La fondamentale aporia del vivere soli
- Come insegnano i libri: si può vivere soli, ma non da soli
- La solitudine sensuale: l’erotismo del vivere da soli nel tempo dell’intimità diffusa
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