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I «gilet arancioni» sono la manifestazione ridicola di una crisi serissima

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10 minuti di lettura

Tutti ne parlano. A Milano hanno quasi riempito Piazza Duomo e hanno tenuto manifestazioni in molte altre città. A Roma hanno sfondato insieme a Casapound i cordoni della polizia. Sono nell’occhio del ciclone, ma chi sono i gilet arancioni?

Chi sono i gilet arancioni

I gilet arancioni, dopo un passaparola su Facebook, si sono riuniti il 30 maggio in moltissime città italiane, capitanati da Antonio Pappalardo, ex generale dei Carabinieri, con fischietti e megafoni. I cori scanditi erano quelli dell’inno di Mameli e di «libertà», oltre che «poliziotto levati il casco», «il virus non esiste» e tanti altri. Le loro proposte sono molte e confuse: dall’uscita dall’euro e dall’UE con il ritorno alla “lira italica”, fino una nuova assemblea costituente, passando dalla fine delle misure restrittive attuate per contenere il Coronavirus (qualcuno accusa l’inesistenza del virus, qualcun altro afferma che «le mascherine fanno male ai polmoni»).

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I gilet arancioni si sono riuniti senza mascherine nel cuore di Milano. Sognano di «marciare su Roma» e utilizzano termini e modi che per alcuni aspetti ricordavano molto il Movimento 5 Stelle della prima ora. Ma probabilmente sono gli stessi che avevano votato la Lega delle origini e che poi, di fronte alla loro “istituzionalizzazione”, sono rimasti delusi.

A Roma si sono registrate le maggiori tensioni. Dopo un fallito tentativo di dialogo, la polizia ha visto i suoi cordoni sfondati ed è intervenuta con camionette e spray al peperoncino per bloccare l’accesso a Montecitorio. Altri manifestanti, principalmente figure dell’estrema Destra romana, si sono stese in mezzo alla strada. I sostenitori dei gilet arancioni, che si definiscono antisistema e né di Destra né di Sinistra, ripudiando così non solo il governo ma anche le opposizioni, sono qualche decina di migliaia.

Chi è Pappalardo?

Antonio Pappalardo, palermitano di 73 anni, generale in congedo dell’arma dei carabinieri, è indubbiamente il volto del Movimento. Il generale Pappalardo, che porta avanti anche un percorso di compositore (e ci ha tenuto a dirlo alla stampa), è stato deputato nel 1992 con il PSDI per aderire poi a moltissimi altri Movimenti, dalla lista Biancofiore, fino al Movimento dei Forconi. Si è reso noto negli anni per aver provato ad arrestare Laura Boldrini, Beatrice Lorenzin e Sergio Mattarella.

Solo una macchietta?

Volendo, di comico in Pappalardo e nei suoi sostenitori c’è molto. La figura stessa di un Pappalardo generale-compositore che porta alla memoria qualche film di Totò è abbastanza comica. Alle sue prese di posizione bizzarre si sommano i tweet (ce n’è uno in cui chiede a Paul McCartney di contattarlo per mail) e i suoi post che presentano fotomontaggi con angeli. Eppure ci sono le piazze d’Italia che gridano il suo nome e che scandiscono a braccio teso il grido «libertà libertà» (com’è strana la natura).

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E quindi ci si chiede: siamo così sicuri di voler ancora una volta ridicolizzare, minimizzandolo, un fenomeno del genere? Chi non lo ridicolizza lo sminuisce a semplici rigurgiti fascistoidi o al presunto “analfabetismo funzionale” dei suoi sostenitori. Una donna sulla cinquantina nel corteo romano, quasi senza voce, urla ai poliziotti «ma non ve lo chiedete perché siamo così incazzati?». Chi scrive cercherà di chiederselo.

Una crisi sistemica

Il generale Pappalardo con i suoi seguaci sembra essere un sintomo, più o meno grande, di una crisi sistemica che va avanti da molti anni. È il fallimento dell’istruzione, di un’informazione non inclusiva ma sempre più esclusiva, il fallimento delle potenzialità del virtuale e il trionfo dei suoi rischi. In mezzo ai fan del generale Pappalardo c’è la gente più disperata, distrutta e abbandonata di questo Paese. C’è il popolo, piaccia o meno, quello che fatica a pagare le rate del mutuo (a questo proposito i dati al riguardo sono preoccupanti). E, purtroppo, di queste persone ce ne sono molte. E sono arrabbiati, pronti a tutto e pronti a credere a tutto e tutti, pur di gridare il proprio disagio. Tacciarli di “analfabetismo funzionale” altro non è che un modo radical-chic e forse un po’ pretenzioso di mettere il cerotto sulla bocca di chi urla dal dolore.

Gilet arancioni e analfabetismo funzionale

Lungi da noi creare il mito dei gilet arancioni. Chi scrive (e prova ad immedesimarsi in quelle piazza) immagina che una buona parte dei gilet arancioni è probabilmente analfabeta funzionale, di quelli che credono a una qualsiasi notizia vista su Facebook riguardo il 5G, le scie chimiche o Soros.

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Ma questo non dovrebbe metterci l’animo in pace, anzi. Perché analfabeta funzionale non si nasce, si diventa. Per questo ogni analfabeta funzionale è definibile come un piccolo fallimento della scuola, della società e di una qualsivoglia forma di politica o informazione seria. Perché scavando bene, ogni gilet arancione è figlio di una politica e un’informazione “acchiappa-like”: titoli semplici, magari anche falsi, pronti ad essere condivisi e ricondivisi. E poco importa quale sia la fonte.

I gilet arancioni sono fascisti?

Sui gilet arancioni alcuni parlano di rigurgiti neri, usando un espressione che il nostro Paese conosce bene: “marcia su Roma”. Chi scrive non crede che si possa trattare di una nuova marcia su Roma, ma, qualora lo fosse, questa sarebbe – così come le squadracce fasciste sono state la fine dello Stato liberale – il fallimento del nostro regime democratico.

Pappalardo ha certamente la sicumera dell’oratore missino e molti dei suoi sono fascisti, consapevolmente o no. Ma questo non dovrebbe limitarci a bollare tali manifestazioni come fascismo, bensì dovrebbe interrogarci. Se è vero che il fascismo prende piede come un virus (i lettori perdoneranno l’analogia) tra le fasce più disperate, allora dovremmo chiederci quanto grandi sono queste fasce e soprattutto come si è creato tutto questo terreno fertile ai nostalgici del pelato di Predappio.

E se è vero che il fascismo in Italia nacque sulle ceneri di una democrazia fragile e in crisi, allora potremmo pensare che il populismo oggi nasca sulle ceneri della globalizzazione. Sono sempre più i poveri e sempre più ricchi i ricchi, inframezzati da un’unica classe media, che anno dopo anno perde potere. Insomma, dietro Pappalardo e dei suoi forse c’è di più. Ed è grave.

Come reagire?

Scriveva Pier Paolo Pasolini negli Scritti corsari:

«In realtà ci siamo comportati coi fascisti razzisticamente: abbiamo cioè frettolosamente e spietatamente voluto credere che essi fossero predestinati razzisticamente a essere fascisti. E di fronte a questa decisione del loro destino non ci fosse niente da fare. Ma nessuno di noi ha mai parlato con loro o a loro. Li abbiamo subito accettati come rappresentanti inevitabili del Male.»

Non si possono certo giustificare atteggiamenti e tesi dei gilet arancioni, ma possiamo provare a capirli. Capire che dietro loro vi sono anni di scelte sbagliate, di snobismo politico e intellettuale e una modificazione profonda della nostra società. Una classe media, spesso mediocre e unica, che campa sulle spalle di un sottobosco tutto sommato non così piccolo eppure pieno di rabbia.

E non è la prima volta che li vediamo. Erano i leghisti degli anni ’90 e i grillini del 2010. Ci si è concentrati in questi anni sul Carroccio e sul Movimento, cercando di indebolirli, a volte anche in modo ironico o superficiale. Ma in realtà erano semplicemente i rappresentanti di una fascia sociale sempre più ampia, mai adeguatamente compresa e spesso bistrattata da coloro che dovrebbero essere i loro storici difensori.

 


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