Agli Oscar 2020 c’è stato un film candidato in ben sei categorie, vincitore della statuetta per la miglior sceneggiatura non originale. Stiamo parlando di Jojo Rabbit, diretto da Taika Waititi. Non tutti sanno, però, che il film è liberamente ispirato a un libro, Caging Skies, della scrittrice neozelandese Christine Leunens. In Italia il libro è uscito due volte (e con due titoli diversi): c’è infatti una versione del 2005, intitolata Come semi d’autunno, edita da Meridiano Zero, e ce n’è un’altra, Il cielo in gabbia, pubblicata nel 2019 da SEM (acquista). Abbiamo letto proprio quest’ultima e siamo felici di parlarvene.

«Il cielo in gabbia»: storia di un’ossessione
Il protagonista, Johannes Betzler, è poco più che un bambino quando nel 1938 l’Austria viene annessa al Terzo Reich. Complice la propaganda nelle scuole, Johannes si infiamma per gli ideali nazisti e giura fedeltà eterna al Führer. Allo scoppio della guerra, però, viene mutilato ed è costretto a tornare a casa, dai genitori. Qui scopre che questi tengono nascosta una ragazza ebrea, Elsa, di qualche anno più grande di lui. In un primo momento Johannes pensa di odiare Elsa, che considera di una razza inferiore, ma col tempo se ne innamora. O meglio, sviluppa un’insana ossessione nei suoi confronti, al punto che, quando nel 1945 finisce la guerra, le racconta che l’ha vinta la Germania per evitare che lei decida di lasciare casa sua.
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Il cielo in gabbia è in primis la storia di un’ossessione, che costringe il lettore a interrogarsi sul significato della libertà. Elsa per più di vent’anni rimane prigioniera delle bugie di Johannes, ma è comunque libera di immaginare un’altra realtà. Johannes, invece, è libero solo con il corpo, ma la sua ossessione per Elsa lo rende schiavo di una situazione che lui stesso ha creato, e da cui non sa uscire. Il concetto di libertà si rivela più relativo di quanto si possa pensare.
Dalla guerra alla ricostruzione
Il romanzo, che si inserisce alla perfezione nel panorama delle fiction storiche, accompagna il lettore attraverso la storia dell’Austria dai tempi dell’Anschluss fino alla fine degli anni Sessanta. Johannes cresce, da bambino diventa adolescente e poi uomo, e intorno a lui anche la realtà si modifica. Dalla distruzione del conflitto mondiale si passa all’occupazione da parte degli Alleati, fino ad arrivare al dopoguerra inoltrato, in cui tutti sembrano ormai essersi lasciati alle spalle l’orrore di dieci, quindici anni prima. Solo Johannes, vittima della sua ossessione per Elsa (e quindi vittima di se stesso), è incapace di voltare pagina.

Una monito sulla libertà
In qualche modo il romanzo ricorda Good Bye, Lenin!, film del 2003 del tedesco Wolfgang Becker, in cui un ragazzo cercava di non far scoprire alla madre che il Muro di Berlino era stato abbattuto e che la DDR non esisteva più. Dopo qualche mese, però, la verità veniva a galla. L’unico aspetto forse non particolarmente realistico de Il cielo in gabbia è l’ipotesi che Johannes abbia potuto davvero tenere nascosta la verità a Elsa per più di vent’anni. Nemmeno bugie ben più piccole reggerebbero così a lungo.
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C’è da dire che la storia è narrata solo dal punto di vista di Johannes: il lettore non sa niente di quello che in effetti Elsa pensa o immagina. È tutto filtrato dallo sguardo di un narratore che, schiavo di se stesso, manca di lucidità. Allora si fa largo l’ipotesi che in realtà Elsa avesse capito tutto già da tempo e fosse soltanto stata al gioco.
Ma forse non è questo il punto. Forse, su questo aspetto della storia, il puro realismo non era ciò a cui puntava l’autrice. Il cielo in gabbia va con tutta probabilità considerato una specie di monito sulla libertà e sul dolore che si può provocare agli altri e a se stessi quando non si capisce che un sentimento puro come l’amore si è trasformato in qualcosa di maniacale, e non si è in grado di fermarsi in tempo. È una storia così estrema che costringe a riflettere sui risvolti enormi che potenzialmente avrebbero anche situazioni in apparenza innocue. È, in sostanza, la storia di due vite rovinate per sempre da un sentimento malato.
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