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Il racconto in scena: «Il Gatto» al Teatro Franco Parenti

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Nonostante il teatro contemporaneo spesso si autoproclami postdrammatico, a volte suggerendo implicitamente – in ottica pseudo-illuministica – che il progresso temporale coincide a con quello intellettuale, è rassicurante constatare che le categorizzazioni proposte dalla critica teatrale non riescano a rendere conto di messe in scena particolarmente brillanti, frutto di un accurato lavorio drammaturgico e registico, tale da mostrare l’abisso inesauribile che ogni testo offre, come possibilità di esplorazione immaginativa per il gioco finzionale che è il teatro, dopo aver perduto da secoli qualsiasi velleità mistico-rituale, perlomeno in Occidente. Così l’attento e accurato adattamento di Fabio Bussotti si coniuga all’arguta regia di Roberto Valerio nell’ingegnoso spettacolo Il Gatto, dall’omonimo romanzo di Georges Simenon in scena al Teatro Franco Parenti dal 19 novembre al 1 dicembre.

Il Gatto
© Federica Di Benedetto
Fonte: TeatroFrancoParenti.it

Se la trama di per sé consente una riflessione lucida e tagliente sulle relazioni coniugali attraverso la vicenda di una coppia auto-condannatasi al silenzio reciproco, come espressione dell’incapacità stessa di condivisione con l’altro, la rappresentazione scenica potenzia e offre la possibilità concreta, grazie all’abilità indiscussa degli attori Alvia Reale, Elia Schilton e Silvia Maino, di dare forma alle svariate sfaccettature sentimentali della vita umana.

Il racconto del dramma

I personaggi de Il Gatto, infatti, si muovono con estrema destrezza tra il linguaggio letterario e quello scenico, raccontandosi e vivendo in prima persona la propria intimità, attraverso accadimenti visibili e pensieri reconditi nel modo più trasparente e immediato.

Il Gatto di Simenon rivela la capacità intrinseca al testo di offrirsi come vortice inesausto di indicazioni immaginative, tanto per chi lo legga, o lo ascolti, quanto per il fortunato partecipante del gioco finzionale in atto durante la drammatizzazione vera e propria del racconto stesso.

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Il racconto è la forma letteraria dell’assolutezza, come condizione di ciò che si propone in primis da un punto di vista cinetico – forse persino dinamico – come ciò che si allontana da altro e dunque si presenta come indipendente, sciolto da qualsiasi vincolo (dal participio latino ab-solutus, “sciolto da”). Ogni racconto è assoluto, in quanto è un mondo concluso, a sé stante, indipendente da riferimenti altri.

Il racconto assoluto

Ciò che accade in un racconto ha cause e conseguenze interne al racconto stesso: allo stesso modo il tempo e lo spazio del racconto non sono riferibili a circostanze altre. Nessuno può sapere cosa ci fu prima di ciò che “c’era una volta”.

Gli avvenimenti di un racconto sono così come vengono raccontati e sebbene sia possibile distinguere a posteriori la fabula dall’intreccio, lo studio filologico non intacca la compattezza dell’universo narrativo che si crea contemporaneamente alla nascita di un racconto.

Il Gatto
© Federica Di Benedetto
Fonte: TeatroFrancoParenti.it

Riprova ne è l’essenza intrinsecamente finalistica che caratterizza ogni racconto: il caso non esiste nel racconto, poiché subisce una necessaria metamorfosi: così l’inizio della rappresentazione dà avvio e segna allo stesso tempo il termine di una relazione straziante tra due poli umani inconciliabili, tra paura della solitudine e brama egoistica dell’altro, come acutamente suggerito dalla coincidenza della melodia di apertura e chiusura dello spettacolo.

La necessità del racconto, il racconto necessario

Ciò che viene raccontato ne Il Gatto è strutturato così da condurre inevitabilmente a una conclusione, tale da permettere la chiusura della circonferenza che si origina a partire dal punto fisso centrale costituito dal Destino che lega a sé i protagonisti del racconto stesso. Nonostante di primo acchito il racconto possa così apparire come una concatenazione serrata entro cui asfissiare le parole e le azioni, si rivela piuttosto come possibilità primaria di espressione.

Il vincolo della necessità con cui gli avvenimenti si susseguono, permette a tali eventi di essere raccontati: raccontare è fisiologico, risponde al bisogno di ricerca di sensatezza tipicamente umano e la sua esplorazione si concilia perfettamente con l’arte teatrale, intrinsecamente viva e vivificante, in quanto attraverso l’immaginazione permette alle parole di riconfermare la propria potenza inesauribile.

Anastasia Ciocca

Instancabile sognatrice dal 1995, dopo il soggiorno universitario triennale nella Capitale, termina gli studi filosofici a Milano, dove vive la passione per il teatro, sperimentandone le infinite possibilità: spettatrice per diletto, critica all’occasione, autrice come aspirazione presente e futura.