Che Fellini amasse le donne non è un mistero. La consorte Giulietta Masina è stata per lui musa ispiratrice oltre che superba attrice in molti suoi film, ma non era certo la sola nel cuore del regista. È interessante notare come fosse così diversa dalle amanti storiche di Fellini, la farmacista Anna Giovannini, conosciuta sull’orlo di una brutta depressione e Sandra Milo, sua attrice storica. Proprio in un’intervista Anna svela di essere presente dietro ogni giunonica apparizione dei film di Fellini, Anita Ekberg compresa e che, non per questo, Federico amasse meno Giulietta, solo facevano parte di due canali ispirativi diversi, lui stesso le amava diversamente.
Fellini portava la Giovannini a cena fuori, in ristoranti dov’era conosciuto, senza la benché minima paura di essere scoperto. Questa sua quasi infantile ingenuità ci aiuta a comprendere molto dell’erotismo disseminato qua e là nei suoi film; donne, spesso dall’aspetto giunonico, che rappresentano «la casa, la terra, la madre» come dice Mastroianni alla Ekberg ne La dolce vita e che il regista eleva ad eroine di una sensualità al contempo divina e terrena, onirica e godereccia. Si può pensare che Giulietta Masina fosse musa di un’ispirazione più spirituale mentre le amanti, le donne «tante» rappresentassero una dimensione più terrena, più carnale, ma al contempo di sogno coi loro grandi occhi enigmatici e le forme avvolgenti.
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Quello di Fellini è un’erotismo tutto particolare che ci ricorda la meraviglia dei bambini e i loro sogni sulle gonne di donne amorevoli ma decise. Per nulla esibizionista o pornografico, il regista riusciva sempre a mettersi nei panni di uno spettatore che al cinema voleva sognare, vivere quei mondi che di solito occupano l’inconscio e che, di solito, si mostrano col favore del sonno, permettendogli di evadere da una quotidianità fatta di dogmi e apparenze poco soddisfacenti. Questo modo di presentare la donna potrebbe essere tacciato di maschilismo, visto che la donna non deve essere solo «musa» dell’uomo, che lo attende, lo brama, lo soddisfa, ma anzi compagna che cammina al suo fianco.
Non è facile comprendere cosa veramente Fellini sentisse per l’altro sesso, ma non pare si tratti di misoginia o poca considerazione. Forse ne aveva ora paura, viste le corporature di certe protagoniste, ora tanta tenerezza verso creature che lui considerava infinitamente superiori per doti umane? Cosa può darci una sensualità felliniana oggi, nell’era della spoetizzazione più totale del sesso a favore di un’immagine quasi violenta di esso? Forse una riscoperta dell’erotismo, di quell’erotismo che si condensa nel piacere della trasgressione, di uno sguardo in più o anche solo di un pensiero svolazzante che viene percepito da entrambe le parti in gioco con un eloquente scambio di sguardi. Fellini però è romagnolo, chiassoso, non ama i silenzi, ma i bagordi le feste quasi ispirate ad un’epoca imperiale dove ci si inebriava di alcool e vita. La passione che nutre per le donne giunoniche simboleggia un attaccamento alla vita, verso tutto quello che è gioco e spensieratezza, proprio come un bambino. Ecco, se dovessi scegliere un aggettivo che ben descrive l’erotismo felliniano sarebbe vitale.
Nei suoi film c’è quasi una forza profetica che trascina attori e spettatori in una dimensione erotica, onirica, surreale, folle ma felice, prima del buio più profondo che accompagna la parola fine. Una voglia di bellezza e leggerezza che si oppone allo status quo così noioso, ingrigito dai codici comportamentali considerati decorosi, ma che in realtà ingabbiano creando mostri.
Sarà un caso che nel 1980 si senti di dire che «adesso c’è soltanto il sentimento di un buio in cui stiamo sprofondando»? Probabilmente no, anzi ci vide giusto.
Susanna Causarano
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