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Il Museo Ebraico di Venezia

Alla scoperta dei musei italiani: fra le sinagoghe del più antico ghetto d'Europa

2 minuti di lettura

Il ghetto di Venezia è stato il primo ghetto d’Europa, istituito nel 1516 per un gruppo di ebrei italiani e ashkenaziti, cioè originari dell’Europa centro-orientale, nel sestiere di Cannaregio sull’area già occupata dalla fonderia, in veneziano el geto da cui il termine ghetto, poi usato a indicare in senso lato il concetto di quartiere ebraico in tutta Europa. Ma, a differenza di molti di questi, il ghetto di Venezia si è conservato quasi intatto fino ad oggi.

Fu ampliato nel 1541 con la zona concessa ai sefarditi, cioè gli ebrei scacciati dalla Spagna, e ancora nel 1633 ed oggi se ne percepisce chiaramente il carattere di chiusura e isolamento dal mondo esterno con i suoi fronti compatti di case alte fino a dieci piani affacciate sui canali e le strette calli.

Gli accessi con i cancelli e le porte venivano chiusi ogni sera e furono fatti divellere solo nel 1797 da Napoleone come segno tangibile dei diritti civili riconosciuti a tutti i cittadini, ebrei compresi.

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ghetto venezia
Campo del Ghetto Nuovo. Fonte: Wikipedia

Nello spazio aperto detto Campo del Ghetto Nuovo, un tempo vivace centro dei commerci della comunità e dove oggi sorge un monumento commemorativo dell’Olocausto dello scultore lituano Blatas, ha sede il Museo Ebraico di Venezia (adesso in restauro).

Istituito nel 1953 e recentemente riallestito ed ampliato con una libreria specializzata e una caffetteria kosher, che cioè rispetta i dettami della tradizione sull’alimentazione, conserva un ricco patrimonio di oggetti legati al culto e alle tradizioni della comunità ebraica veneziana.

Da notare gli argenti cesellati e dorati, gli ornamenti per i Rotoli della Legge (Torah), le lampade barocche e i tradizionali candelabri festivi (Menorah) a 7 o 9 braccia. Da ammirare le stoffe in sete e broccati con ricami in oro e argento usate per avvolgere i Rotoli o come tende davanti all’Arca Santa (Aròn), curiose pergamene con contratti matrimoniali e due magnifici manoscritti miniati con testi biblici dell’inizio del XV secolo.

Museo ebraico venezia
Sala degli argenti. Fonte: museoebraico.it

Dal museo si accede direttamente a due delle cinque sinagoghe (dette scole alla veneziana) del ghetto: la Scola grande Tedesca, la più antica (1528) e la Scola Canton (1531-1532), la più bella.

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Sempre dal museo partono le visite guidate per le altre sinagoghe: la Scola Italiana (1575), la Scola Levantina (1538) e la più grande di tutte, la Scola Spagnola (1581-1584), una delle più antiche al mondo ad essere rimasta in uso ininterrottamente fino ai giorni nostri.

Scola levantina
Scola levantina, esterni. Fonte: Wikipedia
Scola levantina
Scola levantina, interni. Fonte: Wikipedia

Tutte le sinagoghe sono state abbellite tra Seicento e Settecento con l’intervento dei migliori artigiani veneti, come il maestro del legno Andrea Brustolon mentre il rilievo architettonico interno della Scola Levantina è da attribuirsi al grande architetto veneziano Baldassarre Longhena.

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In contrasto con gli interni molto ricchi nessun elemento segnala dall’esterno gli edifici poiché la Serenissima aveva prescritto che tali luoghi di culto non fossero visibili dalla strada in maniera palese.

Le visite guidate proseguono fino all’antico cimitero ebraico del Lido di Venezia, ideale luogo per concludere questo viaggio nella memoria.

cimitero ebraico
Cimitero ebraico del Lido di Venezia. Fonte: museoebraico.it

Museo Ebraico di Venezia

Info utili:
Calle del Forno 1107 (sede temporanea) – Venezia (VE)
tel. 041 715 359
e-mail: museoebraico@coopculture.it
sito web

Orari:
Domenica – Giovedì: 10:00 – 17:30

Venerdì: 10:00 – 16:30
Sabato chiuso

Tariffe:
10 € (intero)
8 € (ridotto) studenti fino a 26 anni

Gratuito: minori di 6 anni

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Gianpaolo Palumbo

Classe 1990, laureato in Scienze Politiche. Appassionato di storia, arte e cinema. "Per avere una narrazione è sufficiente che ci sia un narratore, una storia e qualcuno a cui raccontarla" (Andrea Bernardelli, "La narrazione", 1999).

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