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Valentino Zeichen

Perché i giovani poeti dovrebbero leggere Valentino Zeichen

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13 minuti di lettura

Valentino Zeichen è uno di quei poeti irrimediabilmente idiosincratici, in conflitto col proprio tempo, e cionondimeno assolutamente contemporanei. I suoi tratti stilistici tratteggiano un hapax nella letteratura italiana ed europea, tale da renderlo una perla dell’inaridito panorama letterario contemporaneo.

All’anagrafe Giuseppe Mario Zeichen, nasce a Fiume il 24 marzo del 1938. A seguito dell’esodo istriano si trasferisce a Parma, e successivamente a Roma, dove vivrà nella sua mitica casa-baracca in via Flaminia fino alla morte (5 luglio 2016).

Valentino Zeichen
Foto di Dino Ignani

Lo sterminato microcosmo generato dalla sua parola non è sintetizzabile in un breve articolo. Rimandiamo, dunque, alla fonte, particolarmente alla raccolta di poesie edita Mondadori (acquista), che conchiude le opere del poeta dal 1963 al 2014, dalla prima plaquette pubblicata, ossia Area di rigore (1974), all’ultima, Casa di rieducazione (2011), passando per componimenti inediti. Nel presente articolo ci concentreremo solo su pochi aspetti dello stile di Valentino, particolarmente su quelli che possono giovare ai giovani poeti.

Poeta d’occasione

In Vena poetica Valentino Zeichen si definisce un poeta «alquanto “occasionale”». È questa la prima radice per comprendere la poetica di Valentino. Che una poesia sia «occasionale» significa che nasce dal flusso degli eventi, da un’interazione che l’ingegno coglie e instaura nel susseguirsi delle cose. La poesia d’occasione, in quanto legata all’accidentalità, è di per sé impoetica, laddove la poesia scorge e manifesta il necessario. In Zeichen abbiamo l’estrema conseguenza dell’occasionalità come origine impoetica del poetico: egli emancipa la poesia dall’irrigidimento del necessario, dalla maniera della serietà, generando dall’accidente l’opera d’arte.

La necessità è traslata dall’ispirazione al movimento del componimento: è l’andamento argomentativo e dimostrativo a strutturare la poesia di Zeichen, donde la necessità riemerge come scheletro estetico, struttura comunicativa dell’opera.

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L’origine occasionale della poesia di Zeichen lo rintraccia sulle orme della poesia rinascimentale: Zeichen è un poeta d’altri tempi, che canta di splendide dame, di guerre e di gloria, argomenti disertati dall’arte contemporanea. La necessaria adesione al tempo storico lo porta a ricucire con l’ironia la scissione d’un poeta cavalleresco, di un hidalgo che vive nel XXI secolo.

Snob senza pedigree sfogliano
i tuoi album di istantanee
confrontando le eredità somatiche
fra le parentele.
Ammiccano osceni dinanzi agli incroci
biascicando complimenti,
chinano il capo in presenza
delle testamentarie e nobili morfologie
ma non suppongono che il tuo corredo ereditario
è inaspettatamente costituito da caratteri tipografici
XX      XY      XX
che potrebbero dare vita
a una dinastia della stampa.

(All’aristocratica Maria Bosio, in Pagine di gloria)

L’antilirismo di un hidalgo concettista

Il tema della guerra scorre attraverso l’intera opera di Valentino Zeichen e trova la sua massima realizzazione nella sezione Memorie di macerie storiche, in Gibilterra (1991), dove viene percorsa la Seconda guerra mondiale tramite l’arguto utilizzo di metafore, tropi, singolari accostamenti e giochi concettuali, disegnando la tragedia di una guerra non soltanto militare, ma anche spirituale.

Valentino Zeichen
Foto di Dino Ignani

La guerra in Zeichen è assente di connotati patemici, si presenta piuttosto come occasione storicamente rilevante di un terreno di prova per artifici letterari e araldici: la guerra è una guerra di concetti, strumenti e carte, una guerra di limiti e margini, che si concentra sulle «inutili contese» del neoidealismo italiano, sull’invenzione del RADAR, sul rapporto fra «l’Essere e la tecnica», sulle «rovine del Modernariato» di una Berlino bombardata, sul neopositivismo e il «Wiener Kreis».

La battaglia d’Inghilterra
fu anche uno scacco filosofico
poiché “l’Essere” si mostrò
oltremodo esibizionista e
invaghitosi della tecnica,
si rivelò in quegli astratti prodigi
alleandosi agli spiritosi
anglo-americani.
Il degrado dell’“Essere”
deluse il Nazismo e anche
Martin Heidegger che ne aveva
configurato il Divenire
nella labirintica svastica.

(Battaglia d’Inghilterra, I, in Gibilterra)

Ciò indica la poetica di Valentino come essenzialmente concettista. Il concetto ha il dominio sul verso, la ragione possiede la parola. In questo senso, la parola ha soltanto una funzione di supporto dell’idea: lontano dallo sperimentalismo delle neo-avanguardie, immemore delle diatribe su significato e significante, distante dall’orfismo e dalle effusioni sentimentali, Zeichen canta una parola scabra, ossea, illibata, che trasmette puramente il concetto. Questa concentrazione su un verso essenzialmente dimostrativo, anti-fonetico e argomentativo permette a Zeichen gli arguti tropi metafisici, gli inauditi giochi della ragione, e lo fanno un poeta antilirico.

Valentino Zeichen
Foto di Dino Ignani

Ingegno: centro della poesia

In Zeichen non vi è un io centrato che commercia col mondo tramite i sensi, le passioni, gli affetti, né si assiste all’empirizzazione dell’io lirico che permea la poesia contemporanea. Il centro immanente alla poesia è l’ingegno, che gioca con le idee e gli oggetti e fa giocare le facoltà a priori. Laddove l’io poetico è mosso all’espressione sentimentale, egli si frantuma e sparpaglia le colorazioni emotive negli oggetti mondani. I sentimenti sono oggettivati e distanziati dal gioco dell’intelletto: dai detersivi allo sputo di una ragazza, dall’Annunciazione di Leonardo da Vinci alle canzonette degli anni trenta, l’affetto è dilatato fino a innalzarsi all’ironia o scoppiare nell’umorismo.

Come la spia rossa che
si accende sul cruscotto
e segnala al conducente,
che la benzina è alla fine,
così, anche il sentimento
che nutrivo per te
è ormai in riserva.

(Semiotica, in Metafisica tascabile)

Meccanismi analogico-dimostrativi

Le poesie di Valentino Zeichen si possono definire dei meccanismi analogico-dimostrativi, simili a quelli di Valerio Magrelli, ma più strumentali, materici, puramente meccanici. La poesia di Valentino Zeichen è percorsa dall’esposizione degli strumenti con cui opera, da una metapoetica sempre manifesta: il circuito semiotico dice di sé, dice delle sue trame, dei suoi fili, dei suoi ingranaggi; si indica.

L’indicarsi, l’esposizione degli strumenti, è la cifra d’una poetica che rifiuta il farsi oggetto di consumo, la tensione midculturale e massmediatica insita nel mercato editoriale. In questo senso la poetica si fa metapoetica, si arrocca nelle sue elitarie metafore e tenta di disgustare i non addetti ai lavori, le anime belle, mostrando, come direbbe Sigmund Freud, «ciò che non doveva essere mostrato», ovvero le pratiche che praticano la letteratura. L’effetto che ne consegue è l’unheumlich, il sentimento in-familiare, perturbante, lo spaesamento.

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Poesia a nudo

Nella poesia di Valentino non c’è solo esposizione degli strumenti retorici coi quali opera la poesia, ma anche esposizione dei processi cognitivi che costituiscono l’ispirazione. Essi sono riportati alla loro matericità originaria, empirizzati, deprivati di ogni fascinazione orfica. La musa alla quale Zeichen si riferisce è «la musa podologa», che insegna a tenere i versi corti quanto le unghie:

Nel tagliarmi le unghie dei piedi
il pensiero corre per analogia
alla forma della poesia;
questa pratica mi evoca
la fine perizia tecnica
di scorciare i versi cadenti;
limare le punte acuminate,
arrotondare gli angoli sonori
agli aggettivi stridenti.
È bene tenere le unghie corte
lo stesso vale anche per i versi;
la poesia ne guadagna in igiene
e il poeta trova una nuova Calliope
a cui ispirarsi: la musa podologa.

(La poetica, in Neomarziale)

È tutto messo a nudo, crudo nella sua essenza reale. In Zeichen si avverte lo smarrimento di una trascendenza perduta. La poesia è demitizzata. Eppure si legge in contrasto la filigrana della grandezza che fu: «le donne, i cavalieri, l’arme e gli amori» di cui si canta sono sospesi sul limite fra spazio poetico e mondano, sostano la soglia fra letterario e reale, fra Elicona e via Flaminia. Per questo la poesia di Valentino Zeichen appare a un tempo iperletteraria e realissima. È una letteratura sulla letteratura che si fa reale, un’estetizzazione letterariamente riuscita della materia impoetica della realtà. In Zeichen si apre uno scontro, un’interlinea inedita costituita da interferenze fra parola poetica e parola quotidiana. Il significato che emerge è ambiguo, oscilla fra i due mondi. È quest’oscillazione il motore della poetica di Zeichen, ciò che ne costituisce lo stile ironico e critico, concettista, irrimediabilmente contemporaneo e antico.

Perché leggere Valentino Zeichen?

L’opinionista Camillo Langone ha già risposto a questa domanda in un articolo su Il Foglio. Il motivo è ben semplice: in un’epoca di instapoetry e decadenza poetico-alimentare, di, per dirla alla Zeichen, «dolcificazione» e diffusa «infantilizzazione», una poesia profondamente dura, secca, maschile, ben poco instagrammabile e dolcificabile, appare come aria pura per i nuovi poeti. La tendenza a risucchiare nel vortice midculturale e clientelare la poesia sta producendo un’infinità di poetiche senza poetologia, frantumate, apparentemente differenti ma esteticamente identiche, una pletora di scribacchini che discettano dei loro affetti personalissimi, delle loro piccole paure e delle loro piccole gioie, ammorbando i tre lettori di poesie rimasti con frusti sentimentalismi, orfismi immotivati, dilettantismo intellettuale.

Per chi volesse farsi un tour dell’orrore, consiglio di spulciare le poesie premiate dalle varie riviste, dai vari premi letterari, più famosi e meno. Un’altra aporia dell’alfabetizzazione.

 Uscire dalla palude linguistica, imparare l’asprezza dell’intelligenza, imparare l’ironia verso un’arte inariditasi e al contempo continuarla con dignità, senza infingimenti pseudo-letterari né sconvenienti effusioni sentimentali, sono solo alcune delle cose che la poesia di Zeichen ci insegna.

 


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Mattia Brambilla

Sono laureato in filosofia presso l'Università degli Studi di Milano; amo il pensiero e le lettere, scrivo e mi diletto con gli scacchi.