Il corpo può essere considerato una periferia e ce lo spiega bene Judith Butler, filosofa contemporanea e attivista del movimento LGBTQ+ che ha dato voce a molte questioni contemporanee legate al rapporto tra soggettività, corpi e relazioni.
Se consideriamo l’essere umano come tale solo se in relazione, è semplice anche traslare il concetto di corpo a quello di periferia. Infatti, esattamente come una città si articola tra centro e periferie e come ognuno di noi nel proprio organismo ha centri e periferie – come gli organi interni del torace e nei margini gli arti superiori e inferiori – anche il corpo nella sua totalità può essere considerato “periferia” di una società, specie se esso appartiene a un gruppo di persone emarginate per vari fattori che riguardano il vivere insieme.
I corpi delle periferie, come allo stesso modo le periferie del corpo, sono quelle a cui sono sottoposti tutti coloro che non hanno, come la chiama Judith Butler, facoltà di “agency”. Secondo la filosofa, infatti:
l corpo implica mortalità, vulnerabilità, azione: la pelle e la carne ci espongono allo sguardo degli altri, ma anche al contatto e alla violenza, e i corpi ci espongono al rischio di diventare agency e strumento di tutto ciò. Possiamo combattere per i diritti dei nostri corpi, ma gli stessi corpi per i quali combattiamo non sono mai solo nostri. Il corpo ha una sua imprescindibile dimensione pubblica. Il mio corpo, socialmente strutturato nella sfera pubblica, è e non è mio.
(Vite precarie, Meltemi Editore, Roma 2004, p.46)
Il nostro corpo quindi, come ci ricorda Judith Butler, è di sé “periferia” perché esposto. E alcuni corpi lo sono più di altri. I corpi, ad esempio, delle persone non socialmente riconosciute. I corpi differenti, difformi o appartenenti a minoranze. Corpi grassi, disabili, in transizione. Corpi non canonici. Si tratta di corpi periferici e dimenticati quando si parla di desiderio, perché considerati fuori da un canone erotico – tutto sociale, più che reale spinta del desiderio umano – che non li vede partecipi in quanto “diversi” dal modello culturale predominante. Diversi da ciò che dovremmo desiderare.