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«La persistenza della memoria»: il capolavoro di Salvador Dalì

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4 minuti di lettura

Da quando il mondo si è fermato, di colpo anche i nostri orologi hanno incominciato a far scorrere il tempo diversamente. Questo ci ha portato a vivere un presente statico. Questa sensazione che accumuna tutti noi oggi fu messa su tela nel 1931 da Salvador (Felipe Jacinto) Dalì in La persistenza della memoria, conosciuta anche come Gli orologi molli

«La persistenza della memoria» di Salvador Dalì

L’idea del dipinto «La persistenza della memoria»

All’interno della sua autobiografia, La mia vita segreta, Salvador Dalì ci ha fornito la storia su come è nata l’opera.

Ci troviamo in una serata nella quale Dalì ha un leggero mal di testa. Insieme a sua moglie Gala ed alcuni amici vuole andare al cinema, ma all’ultimo momento decide di rimanere a casa. Durante la cena ha mangiato un camembert, formaggio francese molto forte. Dopo che Gala se ne è andata, Dalì rimane a lungo a meditare sul problema filosofico posto da quel formaggio. Come d’abitudine, si reca nell’atelier per gettare un ultimo sguardo sul dipinto a cui sta lavorando: si tratta di Port Lligat. Prima di spegnere la luce vede l’intuizione:

Due orologi molli uno dei quali pendeva miserevolmente dal ramo dellulivo. Nonostante il mal di testa fosse ora tanto intenso da tormentarmi, preparai febbrilmente la tavolozza e mi misi al lavoro. Quando, due ore dopo, Gala tornò dal cinema, il quadro, che sarebbe diventato uno dei più famosi, era terminato. 

«La persistenza della memoria»: analisi dell’opera

L’opera mostra il paesaggio di Port Lligat durante l’alba, dominato da un cielo dalle sfumature gialli e celesti. Il paesaggio è deserto e privo di vegetazione, l’unica cosa che notiamo sono tre orologi dalla consistenza liquefatta. Da questo il nome di orologi molli.

Nella parte sinistra del dipinto notiamo un parallelepipedo con sopra appoggiato un orologio: su di esso si è posata una mosca, la quale crea una lunga ombra verso le dodici, la metà inferiore pende mollemente. 

«La persistenza della memoria» di Salvador Dalì

Accanto notiamo l’unico orologio solido color arancio, con sopra alcune formiche nere brulicanti, che sembrano divorarlo, quasi ad indicare l’annullamento di un tempo cronologico. Dal momento che il tempo è inafferrabile, non può essere scandito da un oggetto fisico come un orologio.

Nel bordo posteriore del parallelepipedo notiamo un esile tronco di olivo che si alza verso il cielo, sull’unico ramo esso sostiene un orologio che pende verso il basso. Il tronco di oliva, simbolo di pace e prosperità, qui si trova spoglio e senza frutti: questo contribuisce a dare pertanto un’aria di desolazione.

«La persistenza della memoria» di Salvador Dalì

Sul terreno troviamo una strana forma: alcuni pensano si tratti del profilo sinistro dello stesso Dalì con l’occhio chiuso, le lunghe ciglia e la lingua in fuori. Steso sopra la strana figura giace un orologio molle. 

La relatività del tempo

Dalì era molto sensibile all’influsso di Sigmund Freud: per questo motivo rifletterà sulla relatività del tempo. Gli orologi sono deformati rispetto la loro forma geometrica perché rappresentano l’aspetto psicologico del tempo. Il suo trascorrere viene scandito diversamente per ciascun individuo. Come in questo periodo storico possiamo trovarci a vivere una medesima situazione, ma ognuno di noi ha la propria sensazione temporale. Per questo ogni orologio nell’opera segna ore diverse ed infatti, come disse Dalì: «Il tempo è la dimensione delirante e surrealista per eccellenza». 

Elisa Onori

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Elisa Onori

Nata a Foligno nel 1998, studentessa di Storia dell’Arte con il desiderio di far avvicinare più persone possibili in questo mondo così unico. Nei momenti liberi, le piace rifugiarsi nel cinema d’autore e nei grandi classici della letteratura.

2 Comments

  1. Non è tanto Freud il filosofo ispiratore dell’opera, quanto Bergson, al contempo antesignano ed entusiasta della Prima Relatività di Einstein (il quale aveva detto che il tempo è una “quarta dimensione” perché non è fisica e viene percepita dalla sola mente: non può essere né veduta né toccata). Bergson invece aveva deprezzato il “tempo geometrico” utile per l’analisi dei fenomeni naturali ed anche per il coordinamento dei movimenti tra esseri umani… ma non per la conoscenza reale dell’essere umano, il quale ha un tempo inosservabile e non-misurabile (quindi non scientifico) interno alla propria coscienza: questo Tempo Bergson chiama “durata”, e questo concetto distrugge la possibilità positivista di ridurre l’essere umano ad una macchina prettamente fisio-chimica, poiché la “durata” è libera concrezione, inscindibile, mai separabile in settori equivalenti (come lo sono invece gli spazi percorsi dalla lancetta) e quindi non soggetta al principio di causa-effetto; ossia assolutamente libera e auto-creatrice.

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