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Il processo agli animali nel Medioevo, una storia che ancora si ripete

11 minuti di lettura

È passato più di un anno dal primo caso di Covid-19 in Cina. Nonostante questo e le innumerevoli ricerche, le cause della diffusione della pandemia a Wuhan sono ancora sconosciute. Secondo il più recente report dell’OMS, è da escludere l’ipotesi dell’incidente all’interno dell’Istituto di virologia di Wuhan, mentre resta come la più probabile l’ipotesi di una trasmissione mediante animale, attraverso una specie intermedia non ancora individuata.

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L’animale che fin da subito fu individuato come possibile fonte di trasmissione del virus è stato il pipistrello, contro il quale si è scagliata una campagna di demonizzazione che ha spinto lo zoologo dell’Università di Wuhan Huabin Zhao a definirsi preoccupato per la crescente ostilità contro i chirotteri.[1]

Nel marzo del 2020, a Culden nella regione peruviana di Cajamarca, furono bruciati centinaia di pipistrelli e così anche in Indonesia.

il processo agli animali

Un tale accanimento nei confronti di una specie animale non è affatto nuovo nella storia dell’uomo. Ma se, al giorno d’oggi, il processo contro i pipistrelli è solo mediatico, vi è stata un’epoca, il Medioevo, in cui sono stati svolti veri processi ufficiali contro alcuni animali.

Il processo agli animali di Beaune

Tra il 1501 ed il 1509 si svolse, a Beaune in Borgogna, uno dei più celebri processi condotti dalla Chiesa cattolica contro le locuste, volgarmente chiamate hurebers. Nel Medioevo avveniva spesso che i raccolti venissero divorati da un gran numero di insetti che invadevano quel territorio. Non erano i soli: gravi danni all’agricoltura venivano spesso arrecati anche da talpe, ratti e topi di campagna. La scienza agraria, all’epoca ancora in fase primordiale, non riusciva ad offrire i mezzi necessari per contrastare il problema e, così, i contadini chiedevano aiuto alle alte cariche della Chiesa. Questa, d’altronde, vedeva tali animali come manifestazione del demonio.

La vicenda fu portata davanti al tribunale ecclesiastico, e prese i caratteri di un vero processo, avendo da un lato i parrocchiani della località come querelanti, e dall’altro come imputati gli insetti che devastarono il paese. Il funzionario, cioè il giudice ecclesiastico, ebbe il compito di dirimere la questione. Tutte le forme di azione legale furono seguite con cura nella prosecuzione del processo. Per dare un’idea precisa di questo tipo di procedura e dell’importanza che si attribuisce all’osservazione delle sue forme, basti osservare una consultazione che fu fatta su questo argomento da un famoso giureconsulto del Cinquecento.

il processo agli animali
Miniatura medievale di un uomo aggredito dai cinghiali. Fonte: www.lasepolturadellaletteratura.it

L’autore di questa consultazione, o meglio di questo trattato ex professo, è Barthélemi de Chasseneuz, successivamente coinvolto come avvocato ad Autun, durante un altro processo contro degli animali, i topi, e consigliere del parlamento di Parigi e Aix. L’autore discute se sia consentito citare in giudizio gli animali in questione in tribunale e, dopo lunghe divagazioni, decide che gli insetti possono essere assicurati alla giustizia.

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Chasseneuz esamina quindi se gli animali devono essere nominati personalmente o se è sufficiente che compaiano da un delegato.

Qualsiasi autore di reato deve essere citato personalmente. In linea di principio, non può nemmeno essere rappresentato da un delegato; ma è corretto che il fatto abbia come imputati degli insetti? Sì, poiché la gente ne è scandalizzata, essendo privata del vino che, secondo Davide, fa esultare il cuore di Dio e quello dell’uomo, e la cui eccellenza è dimostrata dalle disposizioni del diritto canonico.

Tuttavia, Chasseneuz conclude che un difensore nominato d’ufficio dal giudice può comparire anche per gli animali assegnati, portare a loro nome scuse per la loro mancata comparsa e mezzi per accertare la loro innocenza; in breve, proporre tutti i tipi di mezzi nella forma e nella sostanza. [2]

Le locuste, al termine del processo, furono scomunicate e maledette attraverso un’anatema e costrette ad abbandonare la città entro tre giorni ma

poiché gli accusati, comportandosi da esseri senza rispetto per la religione e le istituzioni civili, ebbero la sfacciataggine di non prendere in considerazione alcuna l’ordine ricevuto, si procedette in pubblica piazza all’esecuzione capitale e si decretò, con solennità, la condanna a morte di tutti gli altri [3]

Lo stesso Chasseneuz sviluppò molti argomenti per mezzo dei quali giunse alla conclusione che gli animali possono essere scomunicati e maledetti. Tra questi argomenti, ricordiamo:

È lecito abbattere e bruciare l’albero che non porta frutto; a maggior ragione se può distruggere ciò che causa solo danni. Dio vuole che tutti godano del prodotto del suo lavoro […] Tutto ciò che esiste è stato creato per l’uomo; sarebbe ignorare lo spirito della creazione tollerare animali che gli sono dannosi. […] Possiamo fare per la conservazione dei raccolti anche ciò che è proibito dalle leggi: così gli incantesimi, gli incantesimi proibiti dalla legge, sono consentiti ogni volta che il loro oggetto è la conservazione dei frutti della terra; a maggior ragione si deve permettere di anatemizzare gli insetti che divorano il frutto, poiché, lungi dall’essere difeso come incantesimi, l’anatema è invece un’arma autorizzata e usata dalla Chiesa

Non un caso isolato

Il processo agli animali di Beaune è solo uno, celebre, esempio di una pratica estremamente diffusa lungo tutto il Medioevo. Si ritiene che tale consuetudine sia nata a seguito di un episodio analogo. Guillaume, abate di Saint-Théodoric, che scrisse la vita di San Bernardo, riferisce che questo santo, predicando un giorno nella chiesa di Foigny (una delle prime abbazie che aveva fondato nel 1121 nella diocesi di Laon), mosche in quantità prodigiose erano entrate in questa chiesa, e con il loro ronzio disturbavano e infastidivano costantemente i fedeli. Non vedendo altro rimedio per fermare questo scandalo, il santo le scomunicò e il giorno dopo tutte le mosche furono uccise. I loro corpi erano disseminati sulle pietre del selciato della basilica, che fu liberata per sempre da questi insetti irrispettosi. Questo fatto divenne così famoso e ispirò così tanta venerazione in tutti i paesi circostanti, che questa maledizione delle mosche passò in proverbio tra i popoli circostanti.[4]

Da allora, la pratica di scomunicare ed imbastire un intero processo contro degli animali si diffuse rapidamente: nel 1320, ad Avignone, si svolse un altro celebre processo contro i maggiolini, conclusosi con «l’assegnazione ai maggiolini di un’area verso la quale entro 3 giorni dovevano concentrarsi senza dare disturbo ai contadini».[5]

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Losanna durante l’esercizio vescovile di Giorgio di Salluzzo furono celebrati 3 processi contro le larve dei dannosi maggiolini. Lo stesso Chasseneuz partecipò ad un altro processo contro i topi di Autun.

Una tale demonizzazione degli animali, oggi come allora, fonda le proprie radici sull’irrazionale paura dell’ignoto che la scienza dell’epoca (e di oggi) non riusciva a spiegare. Se, infatti, la proliferazione di animali infestanti come insetti e topi era, nel Medioevo, favorita da una scarsa igiene personale, da un pessimo stato delle città e da una scienza agraria ancora acerba, oggi le cause non sembrano essere così diverse: il modello capitalistico ha ampliato le differenze sociali, costringendo una larga parte della popolazione, complice un’urbanizzazione scellerata, a vivere in quelle aree paludose dove certi animali proliferano ed in cui la scarsa igiene personale facilita la trasmissione di malattie dall’animale all’uomo. A ben vedere, quindi, sarebbe più utile intentare un processo al nostro modello di sviluppo, ponendo l’accento sulla sostenibilità dello stesso.


Note:

[1] Huabin Zhao, COVID-19 drives new threat to bats in China, in Science, vol.367, 27 Marzo 2020
[2] Émile Agnel. JB Dumoulin, Curiosità giudiziarie e storiche del Medioevo. Causa contro gli animali, Parigi, 1858.
[3] Ibidem
[4] Opera Theophili Regnaudi , vol. XIV, p. 482, n . 6 in Monitoris ecclesiasticis e timore excommunicationis
[5] Santi Longo, L’evoluzione delle strategie di controllo degli organismi animali nocivi, Catania University Press, 2011

 


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Davide Accardi

Classe '92, ha conseguito la laurea specialistica in Studi storici, antropologici e geografici presso l’Università di Palermo discutendo una tesi dal titolo L’identità nazionale nei territori di confine. I suoi campi di ricerca comprendono, inoltre, temi di biopolitica come lo Stato d'eccezione. Scrive e si interessa di cinema, in particolare sulla relazione tra spazi e vuoti in Antonioni e sull’influenza della psicanalisi in Kaufman.

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