La celebre frase sul discusso binomio follia/genialità dello scrittore Edgar Allan Poe, che meglio di tutti ha saputo scandagliare le paure e le nevrosi della mente umana, potrebbe essere applicata a moltissimi artisti famosi, dal paranoico Edvard Munch al tormentato Vincent Van Gogh, fino all’irascibile Jackson Pollock. Ma un artista, molto meno noto, che più di tutti sembra incarnare l’archetipo di “pittore pazzo” è Richard Dadd, illustratore e pittore inglese di epoca vittoriana.
Mi hanno chiamato folle; ma non è ancora chiaro se la follia sia o meno il grado più elevato dell’intelletto, se la maggior parte di ciò che è glorioso, se tutto ciò che è profondo non nasca da una malattia della mente, da stati di esaltazione della mente a spese dell’intelletto in generale.
Edgar Allan Poe
Nato nel 1817 nella regione del Kent, Richard Dadd mostra sin da piccolo una spiccata predisposizione per le arti figurative che lo porterà ad essere ammesso all’età di venti anni alla Royal Academy of Arts, prestigiosa istituzione artistica londinese.
Alla fine degli anni ‘30 Dadd fonda un movimento di artisti, The Clique (“La cricca”), che riuniva al suo interno Augustus Egg, Alfred Elmore, William Powell Frith, Henry Nelson O’Neil, John Phillip e Edward Matthew Ward, un gruppo di amici frequentanti la Royal Academy, accumunati dal desiderio di scardinare i rigidi dogmi dell’accademismo inglese e di fare un’arte che si rivolgesse primariamente al pubblico e non alla critica.
Gli artisti di The Clique, strenuamente supportati dalla rinomata rivista artistica inglese The Art Journal, entrarono ben presto in conflitto con i più noti Preraffaelliti, altro movimento dominante nella cultura artistica inglese di metà Ottocento, di cui stigmatizzavano il primitivismo e l’ostentata eccentricità.
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Richard Dadd era specializzato nella cosiddetta fairy painting (pittura di fate), una pittura di genere molto in voga in epoca vittoriana, dominata, nonostante il moralismo imperante, da un interesse sotterraneo per tutto ciò che era legato al mondo del soprannaturale e del fantastico. Amava ispirarsi in particolare alle opere shakespeariane, attingendo a piene mani dall’immaginario fatato della commedia Sogno di una notte di mezza estate, popolato da creature magiche con a capo Oberon e Titania, re e regina delle fate, ai quali Dadd ha dedicato il dipinto Contradiction Oberon and Titania, realizzato tra il 1854 e il 1858.
Nel 1842, su invito dell’avvocato Sir Thomas Phillips, si unisce in qualità di disegnatore a una spedizione attraverso la Grecia, la Turchia e la Palestina che cambierà per sempre la sua vita. La spedizione, avente come meta ultima l’Egitto, sovreccitò la fantasia dell’artista che, durante la risalita del Nilo, cadde in uno stato di alterazione mentale tale da fargli credere di essere posseduto dal dio degli inferi Osiride.
I suoi deliri non si attenuarono con il rientro in patria nel 1843. Al contrario, la situazione precipitò al punto che Richard Dadd istituì nella sua casa londinese un altare al culto della divinità. Dichiarato mentalmente infermo, dopo un iniziale quanto illusorio miglioramento durante il trasferimento in una località di campagna voluto dalla famiglia, in un placido pomeriggio di agosto Dadd assassinò il padre, convinto che fosse un nemico di Osiride sotto mentite spoglie, e in seguitò raccontò che era stata la Sfinge a sussurrargli di compiere il tragico gesto. Dopo l’omicidio fuggì in Francia dove tentò di assassinare un altro uomo, ma fu fermato e arrestato sulla via di Parigi dalla polizia che lo trovò in possesso di una lista di personaggi di spicco da eliminare, tra cui l’imperatore d’Austria Ferdinando I.
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Una volta rimpatriato, Dadd fu processato per parricidio, ma riuscì a scampare all’impiccagione a causa della sua comprovata infermità mentale. L’artista fu infatti uno dei primi a beneficiare delle “McNaghten rules”, primo tentativo del sistema legale inglese di considerare la malattia mentale come incapacità di intendere e di volere. Dadd era probabilmente affetto da schizofrenia con monomania dell’omicidio, una sorta di tara genetica di cui soffrirono anche altri membri della sua famiglia.
Fu quindi rinchiuso nel manicomio criminale di Bethlem, comunemente noto come Bedlam, termine traducibile in “confusione, baraonda” ma anche come “manicomio”, dove gli fu concesso di continuare a dipingere. L’unico ritratto fotografico conosciuto di Dadd, risalente al periodo dell’internamento, lo vede seduto a dipingere mentre con sguardo vitreo sembra fissare un vuoto che per lui doveva essere gravido di significati.
A Bethlem Richard Dadd realizzò le sue opere più conosciute, tra cui una serie di trentatrè acquerelli, Sketches to Illustrate the Passions (Schizzi per l’illustrazione delle passioni), con i quali, attraverso l’illustrazione delle passioni umane, fornisce la sua personale interpretazione degli stati d’animo, dall’amore all’angoscia, fino alla furia omicida. Tra questi, particolarmente significativo è Agony-Raving Madness (Agonia – Follia delirante), dove il folle è rappresentato incatenato e con lo sguardo perso nel vuoto.
Nel corso di nove lunghi anni, dal 1855 al 1864, vede la luce quella che è considerata la sua opera capolavoro, The Fairy Feller’s Master-Stroke (Il colpo da maestro del taglialegna fatato), dipinto ad olio commissionato dal Direttore di Bethlem, George Henry Haydon, che era rimasto impressionato dalle capacità artistiche di Dadd.
Il quadro, che può essere considerato la summa della concezione estetica di Dadd, è popolato da una moltitudine di personaggi fatati rappresentati su piccolissima scala, resi con una dovizia di particolari tale da ricordare le scene caotiche dipinte quattrocento anni prima da Hieronymus Bosch, pittore fiammingo divenuto celebre per i suoi dipinti animati da immagini surreali. È Dadd stesso a descrivere la sua opera in un lungo poema composto nel 1865 intitolato Elimination of a Picture & its Subject – called The Feller’s Master Stroke, in cui a ciascuno dei personaggi rappresentati nella tela viene dato un nome e assegnata una funzione.
Il dipinto, oggi esposto alla Tate Gallery di Londra, ha esercitato un certo fascino su numerosi artisti, scrittori e musicisti, tra cui i Queen, che nel 1974 hanno omaggiato il quadro nella canzone omonima contenuta nel loro secondo album.
Nell’estate del 1864 Richard Dadd fu trasferito, a causa del sovraffollamento di Bethlem, in un altro istituto psichiatrico avanguardistico fuori Londra, dove rimase fino alla morte avvenuta nel 1886 per un’insufficienza respiratoria, probabilmente dovuta alla tubercolosi.
Sebbene la malattia mentale e gli oltre quaranta anni trascorsi in manicomio non abbiano inciso sulla capacità e la voglia di Dadd di creare arte, l’artista non mostrò mai segni di miglioramento, probabilmente a causa della difficoltà tipica dell’epoca nel trattare patologie come la schizofrenia e il disturbo maniaco depressivo. Dopo la sua morte, l’arte di Richard Dadd finì nel dimenticatoio per essere poi riscoperta solo negli anni ‘60 del ‘900 grazie al nascente movimento anti-psichiatrico, che ha contribuito alla rivalutazione di figure artistiche rimaste ai margini a causa della loro condizione psichica borderline.
L’arte di Dadd oggi continua ad affascinare per la capacità di plasmare mondi sconosciuti e segreti che sembrano rivelarsi solamente davanti agli occhi spiritati e allucinati dell’artista, che sa guardare oltre.
Arianna Trombaccia
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