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Strix: la figura della strega nel mondo latino

Cappello a punta, sangue figure orrende e terrificanti ma la cui idea è presente ancora nella nostra contemporaneità: le streghe. Creature le cui radici affondano nella storia.

11 minuti di lettura

La figura della strega ha una ricorrenza alquanto frequente all’interno dell’immaginario europeo: streghe, maghe, fattucchiere … Il folklore è stracolmo di personaggi che possono essere ricondotti a questo genere, tanto che non è raro ritrovarle all’interno dei contesti più disparati, dai libri alle serie tv.

Nonostante le lievi differenze che possono essere riscontrate a livello locale, con la strega si è assistito alla creazione di uno modello riproposto ancora e ancora, giocando su quelle caratteristiche che fanno tanta presa sul pubblico e che ormai le si associano in maniera automatica: un cappello a punta, una scopa e, perché no, un calderone in cui rimestare le sue pozioni, ancora meglio se accompagnata da qualche fedele e sinistro animale. Da non dimenticare poi di collocare il suo operato nottetempo.

Insomma, che la si chiami strega, striga, estria, strigla, stryga (e qui ci si ferma, ma l’elenco potrebbe continuare), si tratta di un’immagine ben radicata, molto spesso associata al contesto della moderna caccia alle streghe e dall’eredità che questo fenomeno ha lasciato. Eppure, le origini dell’essere “strega” si possono ricondurre a un mondo ancora più lontano, in cui si intersecano magia e terrore.

Strega

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Fin dal II secolo a.C. non è raro trovare all’interno della letteratura latina il termine strix/striges in riferimento a figure poco gradevoli, assetate di sangue e legate al mondo della notte; un nome che è stato poi ereditato dalle lingue romanze e che si è diffuso anche oltre gli originari confini linguistici del latino (si veda il russo stryga).

Ovidio ci dice che il nome di queste creature è tale «quod horrenda stridere nocte solent» (Fasti, VI, 145): strix è prima di tutto un essere che stride durante la notte, uno stridore che solitamente è associato agli uccelli rapaci. Non è nemmeno insolito che queste streghe ante litteram possano all’occorrenza trasformarsi nei suddetti animali per poter meglio compiere le loro malefatte, coperte dall’oscurità della notte e rivestendosi di un aspetto ripugnante (Apuleio, Metamorfosi, 2.21-2.22).

Ecco che si delinea un primo ritratto delle striges latine: esseri metamorfici, notturni, che condividono con i rapaci il suono stridente della loro voce. Forse non è nemmeno il caso di parlare di voce, in quanto il termine indicherebbe la produzione di suoni articolati, definiti e ben riconoscibili, mentre nulla di tutto ciò sembrerebbe essere associato alle striges. Lo stridore che producono si sostituisce alla vox, caratteristica “civile” per eccellenza nella visione latina, per catapultarle in una dimensione che con l’umano non ha niente a che fare: chi non è dotato di parola si trova su un piano altro ed è solitamente morto (Lucano, Bellum Civile, 6, 622-623) o privo di raziocinio (Plinio, Naturalis Historia, 5.45/7.24). La dimensione sonora diventa quindi essenziale nella definizione dello statuto delle striges, delineate con tratti animaleschi (rapaci, per l’appunto) per ribadire la loro non appartenenza alla sfera umana.

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Animali notturni per eccellenza, sono predatori che amano particolarmente il sapore delle interiora umane, ancora di più se appartenenti a dei bambini (Petronio, Satyricon, 63): in una società all’interno della quale la mortalità infantile è molto elevata, le morti in culla vengono non di rado associate a maledizioni o all’operato di queste creature malvagie, come a voler utilizzare le striges in qualità di capro espiatorio. Esseri ripugnanti, tanto per il loro aspetto rapace quanto per la sete di sangue che viene loro attribuita.

Il sangue, sanguis, l’elemento strettamente associato alla vita dell’uomo e alla sua forza, umore essenziale al vigore e alla salute. Quale miglior nutrimento per chi la vita, invece, la toglie? Nutrimento del corpo e allo stesso tempo sostanza fondamentale per la sopravvivenza della strix, la sua assunzione (con la derivante morte dell’individuo) porta alla sopravvivenza del monstrum, forma di vita terribile e assurda che si rigenera dalla distruzione altrui, in un momento che sembra in un qualche modo sopprimere la vita stessa, la notte.

Strega

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Tutto ciò non può non richiamare alla mente un’altra figura del folklore europeo: il vampiro, il mostro che si nutre di sangue per eccellenza. In effetti, controllando la definizione di strix riportata nell’Oxford Latin Dictionary, si può leggere quanto segue «kind of owl, regarded as a bird of ill omen, sometimes as a vampire or evil spirit». Un gufo (rapace) presagio di sventura, spirito malvagio e vampiro, che nella notte trova il suo regno e territorio di caccia prediletto. Non stupisce, allora, constatare come i romani si preoccupassero di tenere lontane queste creature sinistre, alle volte adottando stratagemmi anche molto “casalinghi” e accessibili a tutti: nel Liber Medicinalis di Quinto Sereno si consiglia, per esempio, di utilizzare dell’aglio per evitare che le striges si avvicinino di soppiatto nottetempo. Risulta forse familiare?

Fino ad ora si è opportunamente omesso un dato in realtà fondamentale, ovvero il fatto che queste figure sono sempre designate tramite appellativi e aggettivi femminili. Uccelli donna dunque, sulla falsa riga di sirene e arpie, ma connotate in maniera ancora più macabra, proprio perché amano nutrirsi della dolce carne degli infanti. Nell’ottica antica, più rivoltante ancora della loro natura di esseri misti era proprio questo: simil-femmine che, invece di accudire i nuovi nati, in realtà li uccidevano per la propria sopravvivenza. Uccelli rapaci che porgevano le proprie mammelle al bambino, in un gesto solitamente legato alla vita e qui, invece, innaturale e foriero di morte (Isidoro di Siviglia, Etymologiae). Un ribaltamento rispetto all’ordine naturale delle cose, percepito (ovviamente) come incredibilmente disturbante.

Cosa è rimasto e cosa no? Si possono rintracciare una serie di elementi della strix antica ancora presenti nell’immaginario contemporaneo, primo tra tutti il legame con la sfera notturna e gli animali ad essa associati. Il mondo della strega è la notte, durante la quale può compiere indisturbata i propri misfatti, non di rado accompagnata da uccelli del malaugurio (basti pensare agli avvoltoi presenti al fianco della matrigna/strega in Biancaneve). Anche l’interesse per i bambini è un elemento rilevante, in quanto molto spesso nei processi di stregoneria si accusavano le imputate di aver causato la morte di infanti nel vicinato. Bisogna però fare attenzione: pur condividendo delle caratteristiche, è bene anche capire quanto il processo di trasformazione del fenomeno strega sia passato attraverso anni e culture differenti, portando alla creazione di uno stereotipo che affonda le sue radici nel mondo latino, ma da esso ha preso vita propria.

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Bibliografia

Bettini – Short, Con i Romani: un’antropologia della cultura antica, Il Mulino (2015)                               Cherubini, Strix, UTET (2010)                                                                                                                             Oxford Latin Dictionary (trovato nella biblioteca universitaria)                                                                   Delle opere in lingua latina citate, ho fatto riferimento alla versione BUR (Fasti, Metamorfosi, Satyricon, Bellum Civile), UTET (Etymologiae e Liber Medicinalis), ed Einaudi (Naturalis Historia).

Eleonora Bonacina

Sognatrice disillusa, classe 2000. Proveniente dalla leggendaria Domodossola e milanese acquisita, sono attualmente una studentessa magistrale in Filologia, Letterature e Storia dell’Antichità. Appassionata da tutto ciò che ha una storia da raccontare - con un fetish per il curioso e l’assurdo - e nerd occasionale, vivo per i piccoli istanti rubati, facendo finta di giocare a pallavolo tra un libro e l’altro.

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