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«L’umiliazione» di Philip Roth: l’illusione dell’eros

Raggiunti i sessant'anni, l'attore Simon Axler crede di aver perso il proprio talento e, per ritrovare se stesso, si abbandona all'erotismo più sfrenato. Ma cos'è che rende «L’umiliazione» uno dei romanzi più controversi di Philip Roth?

9 minuti di lettura

L’umiliazione di Philip Roth è uno dei lavori più controversi del corpus dell’autore americano. Stroncato da gran parte della critica, è stato etichettato sovente come solo un elenco di esperienze sessuali senza alcuna trama brillante. Sicuramente non vanta l’elaborazione stilistica ed emotiva di altri lavori di Roth, tuttavia lo riconferma come grande maestro dell’erotismo e dell’introspezione.

L’eros in Philip Roth

L’eros in Philip Roth trova grande spazio in alcuni tra i lavori più noti dell’autore, come la Trilogia di David Kepesh, formata quindi da tre opere: Il seno, Il professore di desiderio e L’animale morente. Con brillante capacità Roth va dal surreale all’introspettivo, pensiamo che ne Il seno, come in un più erotico La metamorfosi, David Kepesh, il professore protagonista della trilogia, si trasforma in un seno femminile (non in un insetto come accade in Franz Kafka). L’ossessione per il seno pregna tutta la trilogia fino al lavoro più delicato di tutto, L’animale morente, che già nel titolo cita una poesia di Yeats che si presta benissimo anche a L’umiliazione:

Consumami il cuore; malato di desiderio
E avvinto a un animale morente
Che non sa cos’è.

Ne Il professore di desiderio sembra che l’infelicità e la conoscenza di sé dipendano parecchio dall’elemento fisico ed erotico. È questa la grande concezione alla base, anche, de L’umiliazione dove come nell’altro romanzo è presente il tema della sanità mentale. Per quanto sia solo illusorio il pensiero di salvezza nell’erotismo, il culmine dell’esperienza umana, come nel più vero e sincero insegnamento epicureo, consiste nel piacere. In un piacere che però appartiene strettamente alla connessione con l’altro, alla scoperta reciproca. Ci si scopre nel senso di spogliarsi, ma ci si sfoglia anche.

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«L’umiliazione» di Philip Roth, il metateatro dell’eros

Per quanto sia effettivamente vero che la trama di L’umiliazione di Philip Roth non brilla per originalità e vivacità, il primo elemento caratterizzante è sicuramente quello dell’ambito artistico e teatrale. Questo si connette alla malattia mentale, in una vicenda che all’inizio ha molto di pirandelliano. Pensiamo che il protagonista è un attore, Simon Axler, che giunto a sessant’anni entra in depressione poiché ritiene di aver perso il proprio talento.

Aveva perso la sua magia. L’impeto era venuto meno. In teatro non aveva mai fallito, tutto ciò che aveva fatto era stato valido e convincente, poi gli successe una cosa terribile: non era più capace di recitare. Andare in scena divenne un tormento. Invece di avere la certezza che sarebbe stato magnifico, sapeva che avrebbe fatto fiasco. Accadde tre volte di seguito, e l’ultima volta Axler smise di interessare alla gente, e in teatro non venne più nessuno. Non era più capace di conquistare il pubblico. Il suo talento era morto.

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Allora si ricovera per 26 giorni in un ospedale psichiatrico, dove conosce una paziente di nome Sybil Van Buren, conoscenza che gli darà grande sollievo. La trama procede lenta e a tratti confusa, per poi esplodere in momenti di erotismo incredibile. Sembra che il talento e la teatralità dell’attore, diviso fra ciò che era e ciò che lentamente sta diventando, siano metafora della stessa esperienza erotica. Come se il protagonista cercasse nel contatto con l’altro di ritrovare se stesso, e quel talento recitativo che lo connotava come attore acclamato e conosciuto si disgreghi improvvisamente in un palcoscenico diverso.

Axler ce la metteva tutta per essere sincero e arrivare così alle origini della propria condizione – e con questo recuperare i suoi poteri -, ma aveva l’impressione che dalle cose che diceva rivolto alla figura attenta e comprensiva dello psichiatra non affiorasse alcuna causa dell’”incubo universale”. Il che rendeva l’incubo ancor più angoscioso. Nondimeno, continuava a parlare col dottore, ogni volta che si faceva vivo. Perché no? A un certo grado di infelicità, le provi tutte per spiegare cosa ti sta capitando, anche se sai che non spiegano nulla e che sono solo una sfilza di spiegazioni mancate.

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Tale palcoscenico corrisponde alla sperimentazione di atti sessuali quasi morbosi. È veritiera la critica che addita L’umiliazione di Philip Roth come un romanzo morboso e disturbante, ma sta in questa introspezione inquietante la grandezza di una vicenda viva e vera come i dettagli di ogni amplesso a volte meticolosamente descritto, talvolta appena accennato.

Un viaggio attraverso la scoperta sessuale

Senza voler rovinare nulla di una trama che seppur povera ha, specie nel finale, interessanti colpi di scena, bisogna comprendere come il viaggio dell’attore debba, per la propria utilità, passare attraverso l’edonismo più puro per approdare poi al dolore più lacerante. Tra le donne con cui si rapporta in ogni senso, una ha un ruolo fondamentale. È stata per anni lesbica, e scopre con lui cosa significa amare un uomo. Impara a cavalcarlo, fisicamente ma anche emotivamente, e lo trascina nell’oblio di nuove, turbolente, ma intense sensazioni che comprendono anche giocattoli erotici e rapporti a tre.

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Sembra che nella brevitas e nella semplicità della vicenda la chiave di tutto sia proprio la scoperta di una nuova immagine di sé nell’illusione di avere il controllo. Non sull’altro e nemmeno su se stessi, ma su una situazione. Sull’esperienza di contatto fisico e coinvolgimento che mette a nudo da ogni punto di vista.

L’illusione di un momento

In un istante in cui tutto ciò che conta sembra essere unicamente quell’attimo di estasi, la forza dell’erotismo come forza dell’essenza stessa.

Il segreto è stare in quel momento, senza badare al resto e senza avere idea di dove andrai dopo. Perché se riesci a far funzionare un momento, puoi arrivare dappertutto.

Tuttavia il controllo sfugge. Come l’apice del piacere è fugace, alla pari del più grande godimento l’illusione di questo momento perfetto in cui tutto funziona, svanisce. L’attore allora si riconduce al suo dramma, ne è protagonista e quasi autore, quando cede all’affetto, quando vede oltre alla mera carnale sperimentazione qualcosa di più.

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Un cedimento che gli costa caro, ma lo salva da quella dimensione di apatia. Nella sensazione pura e nell’eros annega il suo corpo e il suo pensiero per tutta la vicenda, malgrado sia solo illusione di un qualcosa, è ciò che rende il suo dramma degno di lettura e infonde alla vita la scintilla di luce di un appagamento vizioso.

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Silvia Argento

Nata ad Agrigento nel 1997, ha conseguito una laurea triennale in Lettere Moderne, una magistrale in Filologia Moderna e Italianistica e una seconda magistrale in Editoria e scrittura con lode. È docente di letteratura italiana e latina, scrittrice e redattrice per vari siti di divulgazione culturale e critica musicale. Ha pubblicato un saggio su Oscar Wilde e la raccolta di racconti «Dipinti, brevi storie di fragilità».

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