Roma, 7/12/1970 – Il favore del buio arriva presto. Nell’ombra, le Moire dispongono il fato d’una nazione inconsapevole. È un lunedì quasi del tutto identico al precedente, la vigilia dell’Immacolata Concezione del 1970. A dicembre, le strade si svuotano presto, il gelo e la rassegnazione per l’ennesima settimana di lavoro spingono le persone a testa bassa dentro casa. Il Paese prepara i polmoni per l’apnea produttiva settimanale. Centottantasette uomini del Corpo forestale dello Stato, guidati dal maggiore Luciano Berti, attendono ordini a poca distanza dalla sede Rai di via Asiago e dagli studi di via Teulada. È il primo passo di ogni putsch: impedire la dispersione delle informazioni, eclissare i mezzi di trasmissione per il tempo necessario a confezionare una nuova verità. È possibile redigere una cronaca dettagliata del cosiddetto “Golpe Borghese”, di una storia mai davvero realizzatasi, il cui epilogo è subito sprofondato nella stessa nebbia che avvolge gli eventi preistorici? È possibile, rinunciando alla pretesa di tratteggiare una verità integra.
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I fatti che hanno portato al tentato Golpe Borghese, si può dire, cominciano il 12 dicembre dell’anno precedente. Una valigetta contenente genegnite e tritolo di provenienza militare esplode sotto un tavolo della Banca Nazionale dell’Agricoltura di Piazza Fontana, a Milano, alle quattro e trentasette di un pomeriggio senza luce. L’idea, supposta e infine ammessa con reticenza in trent’anni di processi, è che il boato dell’esplosione e l’isteria sociale avrebbero spinto l’allora Primo ministro Mariano Rumor ad affidare all’esercito la tutela dell’ordine pubblico.
Ispiratori degli eventi furono i colonnelli greci – la Giunta, come ella stessa tenne a definirsi –, che, nell’aprile del sessantasette, presero il potere col beneplacito del sovrano Costantino II e del patriziato di Atene. La seconda guerra mondiale, in Grecia, era durata più che altrove. Invasa nel 40′ con esiti disastrosi sia per i civili di Domenikon che per le reclute del Regio Esercito congelate nell’Epiro. Nel quarantasei, i comunisti greci appoggiati dal Maresciallo Tito, presero le armi contro i lealisti monarchici della regina Federica di Hannover e i loro protettori britannici.
Mentre i forestali attendono l’evolversi degli eventi, un numero imprecisato di militari, Carabinieri e militanti di Avanguardia Nazionale s’appresta a organizzare la distribuzione delle armi intorno al Ministero dell’Interno. Hanno già preso posizione al Ministero della Difesa due cospirati, il generale dell’Aeronautica Casero e il colonnello Lo Vecchio. Ai militanti di Stefano Delle Chiaie è affidata la delicata e simbolica irruzione al Ministero che nessuno, sul momento, poté prendere sul serio a causa dello sfaldamento di Avanguardia Nazionale dopo Valle Giulia.
Negli studi RAI-TV di via Teulada, il principe Junio Valerio Borghese, nella notte, avrebbe letto il seguente proclama:
Italiani, l’auspicata svolta politica, il lungamente atteso colpo di stato ha avuto luogo. La formula politica che per un venticinquennio ci ha governato, e ha portato l’Italia sull’orlo dello sfacelo economico e morale ha cessato di esistere. Nelle prossime ore, con successivi bollettini, vi saranno indicati i provvedimenti più importanti ed idonei a fronteggiare gli attuali squilibri della Nazione. Le forze armate, le forze dell’ordine, gli uomini più competenti e rappresentativi della nazione sono con noi; mentre, d’altro canto, possiamo assicurarvi che gli avversari più pericolosi, quelli che per intendersi, volevano asservire la patria allo straniero, sono stati resi inoffensivi. Italiani, lo stato che creeremo sarà un’Italia senza aggettivi né colori politici. Essa avrà una sola bandiera. Il nostro glorioso tricolore! Soldati di terra, di mare e dell’aria, Forze dell’Ordine, a voi affidiamo la difesa della Patria e il ristabilimento dell’ordine interno. Non saranno promulgate leggi speciali né verranno istituiti tribunali speciali, vi chiediamo solo di far rispettare le leggi vigenti. Da questo momento nessuno potrà impunemente deridervi, offendervi, ferirvi nello spirito e nel corpo, uccidervi. Nel riconsegnare nelle vostre mani il glorioso TRICOLORE, vi invitiamo a gridare il nostro prorompente inno all’amore: ITALIA, ITALIA, VIVA L’ITALIA!
Verona, 20:45 – Alla caserma “G. Duca” di Montorio Veronese giunge un fonogramma; gli ufficiali sbuffano e imprecano per il fastidio di un’esercitazione notturna con quel freddo. Amos Spiazzi, ufficiale di carriera, comandante del 11º Reggimento artiglieria da campagna, simpatizzante monarchico e attivista del Fronte Nazionale, è il reggente della caserma.
Il fonogramma recita: «attuare Esigenza Triangolo». Riporta la parola d’ordine per l’apertura delle buste sigillate contenenti il piano contingenziale Esigenza Triangolo, l’insieme delle procedure d’emergenza d’attuare in caso di sollevazione armata. Quel tipo di golpe che Malaparte avrebbe definito guardiano, mosso dall’ambizione di sconfiggere corruzione e ingiustizia.
Con uno stupore che sconfina presto in timore, notano che non è indicata alcuna esercitazione. La comunicazione non ha disceso la catena di comando, è giunto direttamente dal SID. Spiazzi muove la colonna verso Sesto San Giovanni, incrociando, riferisce anni dopo, numerose altre tradotte che procedono in direzione opposta. Reclute dell’Accademia di Modena e dell’Arsenale di Venezia raccontano di allerte armi in mano e frettolose disposizioni di nidi di mitragliatrice lungo i perimetri.
Ciò che succede da qui in poi è narrabile solo col grado d’ipotesi più o meno ragionevole. Qualunque sia la verità sul Golpe Borghese, giace schiacciata dal peso di decenni d’istruttorie e revisioni. Negli anni, molti illustri personaggi si sono investiti della paternità della telefonata che ha salvato il paese dalla dittatura di un nuovo Eliogabalo. Il più celebre è Licio Gelli, Gran Maestro della Loggia P2, indicato dalla Procura generale di Bologna nel febbraio di quest’anno come mandante della Strage di Bologna e del depistaggio sull’Espresso 514 Taranto-Milano.
Il più accreditato autore delle comunicazioni che innescarono e abortirono il piano è proprio il principe nero, Junio Valerio Borghese, sommo architetto degli eventi. A seguito di un abboccamento con un giudice del tribunale militare, forse per timore di una frattura tra le forze armate, viene diramato il contrordine. Se molti alti ufficiali hanno espresso la loro solidarietà, Borghese sa che nessuno lo appoggerebbe prima dello scioglimento ufficiale delle Camere. Il rischio di trovarsi da solo, nella veste di un catilinario traditore, è troppo alto. È proprio la reticenza delle forze armate a spostare il serbatoio di reclutamento all’interno del Corpo forestale.
Il principe nero è il rampollo del più nobile casato papale romano, l’artefice di pressoché tutti i successi militari del Regno durante la guerra. Accusato di un atto di pirateria nella Guerra di Spagna, designato al reparto incursori della 1a Flottiglia MAS, diviene capitano di corvetta al comando dello Sciré. Nella notte tra il 18 e il 19 dicembre del ’41, dieci giorni dopo l’attacco nipponico alle Hawaii – quella notte di Tora Tora che trasferì il suo nome alla gemella del 1970 -, conduce il vascello all’imbocco del porto di Alessandria d’Egitto. Superate le barriere e individuati i campi minati, dai tubi di lancio partono siluri a lenta corsa guidati dagli Operatori Gamma che affondano le navi da battaglia HMS Queen Elizabeth ed HMS Valiant.
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Tra gli Operatori Gamma, oltre allo sviluppatore dei maiali Teseo Tesei, figura anche il tenente di vascello Luigi Ferraro; inviato ad Alessandretta per una missione organizzata da Borghese e dal SIM. Ferraro, in veste di sabotatore, è l’unico militare al mondo ad aver affondato in solitaria tra navi da battaglia nemiche in una missione all’estero.
Decima, flottiglia nostra, che beffasti l’Inghilterra. Vittoriosa ad Alessandria, Malta, Suda e Gibilterra! Vittoriosa già sul mare, ora pure sulla Terra, Vincerai!
Ma l’epica del sacrificio dei kamikaze del Mediterraneo s’esaurisce in fretta.«Quando l’ignobil otto di settembre, abbandonò la Patria il traditore, sorse dal mar la Decima Flottiglia, e prese l’armi al grido “per l’onore!»
Aviazione e Marina della RSI non riusciranno mai ad elevarsi dai fogli sui quali vennero istituite. Borghese è al comando della caserma di La Spezia quando la Decima viene inquadrata nella fanteria della Marina nazionale repubblicana. La Decima diviene la punta di lancia della repressione antipartigiana. Sebbene furto e saccheggio siano sanzionati con la morte dal nuovo statuto della Flottiglia, taglieggio e sequestri sono gli strumenti privilegiati della raccolta informazioni. Già nel quarantaquattro il prefetto di Milano inoltra un preoccupato memorandum al Duce, accusando la Decima di:
aperte violazioni del codice militare, con accuse di rapina, furto, esproprio, estorsione e fucilazioni arbitrarie prive di alcuna documentazione militare, e lo stupro di alcune donne.
Nell’aprile del 45′ il principe è acquartierato nella caserma di Piazzale Fiume, a Milano; il ventisei si tiene l’ammainabandiera della cerimonia di smobilitazione, con la consegna a tutti i marò di cinque mesi di stipendio. Il vessillo col teschio con una rosa rossa tra i denti, in cima alla grande X al centro dello scudo, viene consegnato al Corpo volontari per la libertà. Preso in custodia dalle Brigate Garibaldi, Borghese viene tradotto a Roma; ha da tempo contatti con l’OSS, forse sin dagli sbarchi di Anzio e Nettuno, dato che già ai primi di maggio l’interessamento alleato permette l’inserimento di alcuni funzionari repubblichini nella Corte d’Assise, trai quali Giangiacomo Borghese, parente gerarca e capitano militare di Roma.
Prosciolto dall’accusa di crimini di guerra, è condannato per collaborazionismo e concorso nella strage di otto partigiani rastrellati a Valmozzola. Gli ergastoli vengono ridotti a dodici anni, nove subito abbuonati per il valore bellico delle sue imprese. Tre già scontati: scarcerazione immediata. Nel 51′ viene eletto presidente onorario del Movimento Sociale e del Banco di Credito Commerciale e Industriale, poi acquisito da Michele Sindona.
Nel sessantotto fonda il Fronte Nazionale, partito d’ispirazione repubblichina destinato a dissolversi in fretta. Borghese diventa il faro d’Alessandria della destra eversiva salita alla ribalta dopo la Battaglia di Valle Giulia, primo fra tutti Avanguardia Nazionale. Proprio con Delle Chiaie è accolto da Pinochet poco dopo il golpe dell’undici settembre 73′.
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Roma, Procura della Repubblica, marzo 1971 – Paese sera annuncia in prima pagina uno sventato complotto ai danni della Repubblica. Tra gli altri, un mandato di cattura viene spiccato verso il principe, immediatamente accolto dal caudillo Francisco Franco. L’inchiesta viene presto archiviata e lui spirerà a Cadice senza più far ritorno in Italia, poco prima che ne venga istituita una seconda, altrettanto inconcludente, nel 1974. Assoluzione in formula piena degli inquisiti e la chiamata in causa di decine di altri personaggi, dalla politica alla ‘Ndrangheta. La stampa liquida la parentesi come lo scanzonato disegno d’un manipolo di nostalgici e vegliardi.
Non è la prima volta che il Paese vortica coma una biglia lungo il bordo di una roulette. Nel 1964, il generale Giovanni de Lorenzo, capo del SIFAR e Comandante generale dell’Arma dei Carabinieri, predispose un piano di difesa emergenziale chiamato “Piano Solo”. L’Espresso, tre anni dopo, pubblicò un dossier intitolato: «1964, Segni e De Lorenzo tentarono un colpo di stato»; firmato da Jannuzzi e Scalfari, ipotizzarono originasse dalla volontà di inibire la spinta riformista del Partito Socialista e farne un ostacolo all’ascesa del PCI. Come il Golpe Borghese è passato alla storia come “golpe dei forestali”, il Piano Solo acquisisce l’informale denominazione di “golpe dei Carabinieri”.
Per la parata del 2 giugno, venne dislocata a Roma una quantità di uomini e mezzi senza precedenti, ufficialmente per la concomitanza del centocinquantesimo anniversario dell’Arma. In accordo col Capo di Stato Maggiore della Difesa, il compito di protezione delle istituzioni sarebbe ricaduto nelle mani di un ristretto numero di generali dell’Arma, che avrebbero così trovato stabile collocazione nel nuovo assetto politico. Adducendo ragioni logistiche e di prevenzione, il Comando generale diramò l’ordine ai militari presenti alle celebrazioni di trattenersi fino alla fine del mese successivo. Il Piano Solo, ovviamente, non uscì dall’embrione, e dell’attività del SIFAR non si parlò quasi più finché i suoi celebri fascicoli non giunsero sul tavolo della Commissione stragi. Ovunque risieda la verità di quei fatti nebulosi, il 25 giugno del 64′, il Governo Moro I, il primo di centro-sinistra nella storia della Repubblica, rimasto senza maggioranza a causa della votazione sui bilanci della pubblica istruzione, fu costretto alle dimissioni. E nessun compromesso storico, tra comunisti e democristiani, venne mai portato a compimento.
Giacomo Cavaliere
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