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Onlife! Oltre il frainteso dualismo tra vita reale e virtuale

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13 minuti di lettura

Davide Sisto, assegnista di ricerca in Filosofia Teoretica all’Università di Torino e filosofo tanatologo, nel suo ultimo libro edito per Bollati Boringhieri, La morte si fa social, racconta non più una vicenda storico-culturale di interpretazione della morte, ma affonda sul tema, gli restituisce dignità ontologica, di modo che la concretezza del fine vita ci risulti evidente in tutta la sua consistenza.

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Uno dei termini chiave di partenza delle sue analisi sulla cultura digitale è sicuramente il neologismo coniato da Luciano Floridionlife. Il termine indica il vivere un’unica vita in due spazi differenti – la vita online e la vita offline. Onlife è la nostra vita connessa e vissuta nello spazio digitale del web. Così scrive Sisto: 

… Ora, come sostiene Luciano Floridi, è sbagliato credere che l’abitazione virtuale sia una via di mezzo tra l’attitudine degli agenti umani ad adattarsi agli ambienti digitali’ e una forma di neocolonizzazione postmoderna degli ambienti digitali da cui seguino probabili vantaggi anche per l’abitazione tradizionale. Le due abitazioni, online e offline, non sono infatti semplicemente sovrapposte. Il loro confine è sempre più sfocato, per cui il mondo digitale trabocca nel mondo analogico offline con il quale si sta mescolando. Questo fenomeno viene definiti da Floridi come esperienza onlife per mostrare quanto non abbia senso tenere distinte le abitazioni e pensare che offline e online costituiscano semplicemente due mondi paralleli …

Nel saggio pubblicato postumo da Carl Hanser Verlag, a Monaco nel 1993, con il titolo Das Unding I, e poi riedito in italia nel volumetto apparso nel 2003, Filosofia del design (Mondadori) Vilèm Flusser espone così la trasformazione del nostro mondo-ambiente quotidiano :

le non-cose ora penetrano nel nostro mondo-ambiente da tutte le direzioni, soppiantando le cose. Queste non cose si chiamano ‘informazioni’. […] le informazioni che ora invadono il nostro mondo-ambiente e sostituiscono le cose in esso contenute sono di un tipo mai esistito prima: si tratta di informazioni immateriali. […] il mondo-ambiente diventa sempre più molle, nebuloso, spettrale e per orientarsi al suo interno occorre prendere questa sua natura spettrale come punto di partenza

Vilèm Flusser, Filosofia del design, pp. 93-94

Questo fenomeno di esperienza onlife sarà esteso a tutti i sapiens del più prossimo futuro (nativi digitali), continua Sisto:

… La Generazione X – quella di coloro che sono nati tra il 1965 e il 1980 – sarà l’ultima generazione ad aver vissuto un periodo storico senza la presenza di computer, e in particolare senza connessione al web. Il futuro prossimo comprenderà esclusivamente nativi digitali, abituati a dover gestire fin dai primi anni di vita entrambe le abitazioni le quali, sempre più integrate tra loro, ci obbligheranno a comprendere e interpretare il mondo come qualcosa di artificialmente vivo

Davide Sisto, La morte si fa social, pp. 14-15

Interattività e vita 

Con la vita onlife, la vita nello spazio digitale, il nostro Io digitale non è semplicemente interattivo, è vivo. La nostra vita è presente anche sullo spazio virtuale delle connessioni web, di modo che essa sarà deformata sui social tanto quanto lo è nella vita nello spazio fuori dal web, se una persona è abituata a deformare se stessa. Sarà, invece, coerente e autentica tanto quanto lo è nello spazio fuori, se una persona è abituata ad essere vera e autentica.

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In tutti i modi, dal momento che siamo noi a determinare la vita onlife, non può che essere la nostra stessa vita. Nemmeno che la vita virtuale sia un riflesso della vita reale, si tratta della medesima vita. Infatti la vita di una persona è una e la stessa. Di modo che, come si vede fare, un individuo può fare gli auguri a un amico sul web, scrivendo «auguri web» e con ciò presupponendo gli «auguri mondo» fatti all’amico al bar la sera prima.

Statu potentiae

La vita come potenza virtuale. Questa è l’idea di fondo: nella vita virtuale ci si scambia informazioni emozionate e pensate, ma sulle quali si può spesso intervenire. E non nel senso che semplicemente le si pensa e poi le si corregge eventualmente nella stesura pre-pubblicazione.

Niente affatto: se uno cambia idea di una virgola, può intervenire sul contenuto dell’informazione già resa pubblica e modificarla (come se l’avesse pubblicata in quel modo – su Facebook non modifica l’orario di pubblicazione la modificazione del contenuto informativo di un post).

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Così esercitiamo un controllo soggettivo e cosciente della nostra vita-del-fare in senso proprio, autocosciente (attiva). Abbiamo fatto un’azione, vogliamo rappresentarla al meglio, qualcosa va storto secondo noi nel processo di prima rappresentazione, la vediamo rappresentata, decidiamo di cambiarla per rappresentarla come secondo noi che l’abbiamo vissuta è perfetta.

Di conseguenza ogni realizzazione è ritrattabile e quindi le cose permangono in uno stato potenziale per un certo lasso di tempo, che eccede la pubblicazione stessa.

Autobiografia artistica: un testamento pubblico

Ma questo è un processo artistico-autobiografico. L’individuo può lasciare ai posteri il momento e il periodo della sua vita in cui ha preso certe decisioni su di sè, un diario come quello di Facebook è una autobiografia critica nel senso più forte del termine.

Siamo dotati di dispositivi con internet che ci consentono di accedere a degli spazi solo nostri ma condivisi, il pubblico che resta privato, come dice Zizek, è il social network. In questi spazi virtuali noi siamo gli artisti e i biografi della nostra esistenza sulla Terra.

Il sapiens attuale ha in dotazione un diario di memorie interfacciato e interattivo in cui la vita non viene tanto descritta, ma vissuta e redatta a frammenti di esistenza.

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Informazioni emozionate

Onlife è possibile, quindi, ottenere il massimo grado di veridicità dalla Lettera Morta, dal momento che li non è per niente morta.

Quindi, riepilogando, è possibile per i sapiens avere in dotazione uno strumento con cui poter essere autonomo, è possibile percepire il calore degli altri attraverso un cuoricino di Facebook a un post o a una foto.

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Le informazioni sono sempre emozionate e intenzionate, non perché le esprima un soggetto che è tutta testa, ma perché la vita stessa è questa intenzionalità e questa emozione. 

Smartphone e concretezza

Questi dispositivi smartphone ci risultano oggetti estremamente utili. Vengono venduti con un ritmo assai più elevato dei giornali cartacei. Sono però di più dei giornali, sono degli strumenti con cui accedere a tutti i giornali, a tutti i telegiornali, a tutte le stazioni radio. Questi dispositivi sono il mezzo del futuro e del presente.

Bambini piccolissimi si rendono autonomi imparando ad usare oggetti complessi come un i-Phone piuttosto che la bambola di pezza con cui giocavano le nostre nonne. Un oggetto transizionale del tutto peculiare.

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Strumenti: il virtuale e l’autonomia

Inoltre si rendono autonomi perché questi smartphone soddisfano tutte le nostre esigenze, proprio tutte… tranne quelle materiali, tra le quali, c’è l’amore. Già. L’amore è qualcosa di assolutamente concreto e materiale.

Diffidate da chi ama Dio a meno che non dica che dio è tutte le cose.  L’incontro carnale con l’altro non esiste nel virtuale perché non esiste il virtuale come potenza del tutto autonoma, per ora, ma solo come strumento utile a soddisfare bisogni ed esigenze contingenti di altri (noi uomini e donne).

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Nondimeno il virtuale è un ambiente con le sue regole, quindi in quel senso autosufficiente come luogo ontologico in cui ci siamo sia noi che le cose di quell’ambiente. Se le macchine riuscissero a manipolare i nostri dati caricati in esse e le nostre scoperte tecnologiche in modo autonomo saremmo fritti. Ma il dispositivo, non riesce a farlo, perché per quanto è smart non ha una cosa.

«Lo smartphone come il mondo»

Ciò che manca allo smartphone è proprio ciò che compie sempre attraverso di noi. Lo smartphone non sa fare propriamente nulla da solo. Se ne sta li a contenere le nostre rubriche, la cronologia, le nostre foto e i nostri video, la nostre informazioni scritte private etc., ma lo fa in modo inerte e passivo.

«Lo smartphone è come il mondo»: accoglie tutto, ha posto per tutto, senza distinzioni. Infatti è attraverso di esso che noi abbiamo un microcosmo in tasca e una connessione col mondo: la vita onlife.

Ecco che allora diventa chiaro tutto. Il mondo accoglie la vita nello spazio fuori – quella carnale – e l’amore è carnale. Allo stesso modo lo smartphone accoglie la vita nello spazio virtuale della connessione web. Le applicazioni sono quindi a pieno titolo delle cose, anche se sono fatte di bit, anzi proprio perché fatte di bit (che sono cose – virtuali).

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Vita e non-vita: di nuovo i due mondi

Quindi il rapporto tra vita e non-vita che tanto vuole ripensare Felice Cimatti nel suo ultimo libro (Cose. per una filosofia del reale, edito per Bollati Boringhieri), lo si può far vedere bene qui.

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La vita non è limitata all’organico o alla respirazione, o al flusso di fluidi. C’è vita anche altrove e in un altro modo, quindi con altre possibilità: un altro mondo da indagare. Perché una cosa è certa: una vita ha bisogno di un mondo.

Lorenzo Pampanini

Classe 1994. Laureato in Scienze Filosofiche all'Università La Sapienza di Roma.

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