De La struttura del comportamento sappiamo che, nonostante la prima stesura fosse già pronta nel 1938, Maurice Merleau-Ponty diede alle stampe il testo solo quattro anni dopo; oltre a ciò, sappiamo anche che il titolo originale Coscienza e comportamento lasciava intendere una stretta correlazione teoretica tra quest’opera e la successiva Fenomenologia della percezione, il cui primo titolo nelle intenzioni del filosofo francese doveva suonare come Coscienza percettiva[1]. Quest’indicazione è importante, perché permette di intravedere l’unitarietà del progetto teorico del filosofo francese, il quale, secondo Luca Vanzago, sarebbe dovuto consistere nel delucidare e studiare «il senso quale si dà concretamente nell’esperienza»[2]. Ciò è ancora più evidente e per noi rilevante, se si sospende il giudizio intorno alla divisione delle due opere e le si legge come un unico cammino che, prendendo le mosse dai gradini inferiori della vita naturale, risale sino al fenomeno propriamente umano della libertà – e, con esso, del senso della storia – tema quest’ultimo che si può dire attraversi l’intera opera del ’45.
Genesi del senso
Quello della genesi del senso, in effetti, è il problema centrale de La struttura del comportamento. Comprendendo «i rapporti di coscienza e natura – organica, psicologica o anche sociale»[3], Merleau-Ponty tenta di mostrare come avvenga che la coscienza umana “emerga” dall’interno della natura e si situi in discontinuità con essa pur continuando a farne parte. Il nodo teorico che Merleau-Ponty cerca di sciogliere in questa prima sua opera è come nella natura possa darsi un essere vivente che non solo vive, ma che sa di star vivendo, ponendo egli stesso il problema della verità. La nozione di comportamento è lo strumento concettuale che Merleau-Ponty adotta in quest’operazione di ridiscussione dei rapporti tra natura e coscienza. Il comportamento è infatti un concetto che risulta essere neutro «rispetto alle distinzioni classiche di “psichico” e “fisiologico”»[4] e offre pertanto l’occasione di ripensare ex novo questi ultimi due ambiti. Cos’è, difatti, il comportamento? Né una cosa né un oggetto, sostiene Merleau-Ponty, ma piuttosto una gestalt, una forma, ossia un:
processo totale le cui proprietà non sono la somma delle proprietà possedute dalle parti isolate. Più precisamente [le forme vanno considerate] come processi totali indivisibili l’uno dall’altro sebbene le loro “parti”, paragonate singolarmente, differiscano in gradiente assoluto […]. Si dirà che c’è forma là dove le proprietà di un sistema si modificano per ogni cambiamento apportato a una sola delle sue parti, e si conservano, al contrario, quando tutte le sue parti cambiano conservando lo stesso rapporto tra loro[5].
Fisiologia de «La struttura del comportamento»
Questa ridefinizione del comportamento in termini gestaltici passa per una dettagliata analisi delle (allora) recenti teorie fisiologiche e psicologiche del riflesso, le quali, postulando una causalità lineare tra stimolo e risposta, concepiscono l’evento sensoriale come una “causa” che sollecita una risposta da parte dell’organismo seguendo un modello di tipo input–output. In questa maniera lo stimolo esterno è concepito come «una causa che agisce sul mio organo»[6], una vis a tergo, e l’organismo assimilato idealmente alla tastiera di un pianoforte: premendo un tasto il martelletto sbatte sulla corda e produce un suono che vi corrisponde. Ciò, tuttavia, come mostrano i numerosi casi di disturbi patologici che Merleau-Ponty studia in un serrato confronto con Kurt Goldstein, non rende ragione della problematica presenza di riflessi che non si lasciano scomporre in reazioni elementari e, allo stesso tempo, trascura la complessità strutturale dello stimolo, che non è isolabile come un atomo di sensazione, ma va piuttosto inquadrato sotto forma di una costellazione[7]: «la descrizione dei fatti noti mostra che il tipo di eccitazione è determinato dal suo rapporto con l’insieme dello stato organico e con le eccitazioni simultanee e precedenti, e che tra l’organismo e il suo ambiente i rapporti non sono di causalità lineare, ma di causalità circolare»[8].
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Quest’ultima, come nota Toadvine[9], è la prima caratteristica da ascrivere al comportamento se lo si vuole intendere in termini gestaltici: esso aderisce ad un funzionamento di tipo circolare, o meglio, segue il ritmo di una causalità circolare e non lineare. Ciò significa, più in profondità, che vi è un rapporto dialettico tra l’organismo e l’ambiente, che l’organismo si dispone a ricevere gli stimoli che provengono dall’ambiente e che «concorre a costituire questa forma»[10], ossia l’unità del comportamento. Continua Merleau-Ponty: «certamente l’organismo per poter sussistere deve incontrare intorno a sé un certo numero di agenti fisici e chimici; ma è proprio l’organismo, secondo la natura peculiare dei suoi ricettori, secondo le soglie dei suoi centri nervosi, secondo i movimenti degli organi, che sceglie nel mondo fisico gli stimoli ai quali sarà sensibile»[11]. Così come il retore sceglie le parole iniziali del suo discorso in vista della conclusione, allo stesso modo lo scarabeo che perde una delle sue zampe può riorganizzarsi nell’ambiente in cui opera e continuare la sua interazione con esso.
Riorganizzazione
Il comportamento, e veniamo così alla sua seconda caratteristica, ammette quindi al suo interno una dinamica di «riorganizzazione»[12], o anche di «auto-regolazione» che, seguendo la complessa interazione circolare con l’ambiente, tende verso il «ritorno all’equilibrio per l’insieme del sistema»[13]. Si tratta di un «interesse vitale» che trascina il comportamento verso l’equilibrio funzionale, e che funge da norma per esso. Esiste una finalità intrinseca all’organismo stesso, che la considerazione in termini gestaltici del comportamento rende intelligibile. Vi è dunque già del senso, un’unità direzionale, una norma che si produce a livello precosciente nella dialettica tra organismo ambiente e che caratterizza significativamente il comportamento, la quale si fa più complessa man mano che si ascende dai livelli inferiori a quelli superiori di strutturazione.
Sincretico, simbolico, amovibivile
La terza caratteristica del comportamento chiama in causa l’ipotesi che di esso esista una «stratification into distinct levels of complexity»[16], potenzialmente composta di passaggi infiniti, ma che Merleau-Ponty articola in tre livelli fondamentali: le forme sincretiche, quelle amovibili e le forme “simboliche”. Il comportamento, in altri termini, si struttura rendendosi, a ciascun gradino di questa scala ascensionale, più elastico rispetto alla dialettica di determinazione reciproca fra organismo e ambiente: esso, in altri termini, varia «a seconda che la […sua] struttura sia immersa nel contenuto o al contrario ne emerga per diventare, al limite, il tema specifico dell’attività»[17]. Nella zecca, tipico esempio di forma sincretica, non esiste un ambiente modificabile, ma un insieme di condizioni costantemente variabili e molto semplificate che determinano secondo alternative rigide la dinamica comportamentale. Nelle forme superiori di comportamento, invece, un’azione può essere per così dire “traslata” da un contesto all’altro, svincolandosi dalla situazione ambientale in cui essa si genera. Ciò che a noi preme sottolineare, al di là delle specificazioni di ciascuna forma comportamentale, è che «queste tre categorie non corrispondono a tre gruppi di animali: non esiste alcuna specie animale il cui comportamento non superi mai il livello sincretico o non scenda mai al di sotto delle forme simboliche. Tutti gli animali si lasciano ripartire su questa scala secondo il comportamento che riesce loro più familiare»[18].
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Non vi è dunque una distinzione d’essenza, basata su considerazioni di tipo metafisico, che separi le forme simboliche da quelle sincretiche, o viceversa, ma una distinzione fenomenologica che poggia cioè sulla descrizione di come a ciascun livello ci si comporta[19]. Quest’ultima tesi è confermata nella seconda parte del testo, all’interno della quale l’approccio gestaltico al comportamento si trasforma nell’occasione di reinterpretare la realtà alla luce delle ricadute ontologiche che conseguono dall’analisi appena condotta. «The gestalt therefore becomes the basis for [a] new ontology»[20] che tenta di rendere conto di tre ordini distinti del reale, l’ordine fisico, quello organico e quello umano. Non vi è dunque nessun “salto” dall’ordine fisico a quello umano, dall’animalità all’umanità, ma piuttosto una «preparazione»[21] del primo nel secondo. I tre ordini in altri termini non sono sostanze separate l’una dall’altra, ma livelli dinamici di complessità e integrazione crescenti. Per questo motivo l’uomo è sempre anche oggetto fisico e insieme organismo vivente, e più in generale ciascuno dei tre ordini può presentare regressioni e al contempo tendere in direzione di un ordine superiore. Ciascuno dei tre ordini, difatti, dev’essere concepito come una ripresa e una «nuova strutturazione» del precedente.
«La struttura del comportamento»: emersione
Il problema a questo punto cambia di registro, e apre direttamente alla continuazione che verrà sviluppata nella successiva Fenomenologia della percezione. Se è vero che ciascuna struttura è tale per una coscienza che la percepisce – e cioè per quel comportamento che realizza il grado più alto in integrazione e auto-regolazione all’interno della scala del reale –, ciò non significa che l’intera analisi debba ricadere entro una prospettiva di stampo criticista, né abbracciare una forma dogmatica di realismo che farebbe delle strutture degli in sé presenti nelle cose, nel mondo. È proprio questo il punto: il fatto che «la natura è già coscienza della natura, [… la] vita già coscienza della vita»[24] induce all’atteggiamento trascendentale, ma, precisa Merleau-Ponty, la nozione stessa di forma, di gestalt, preserva la sua prospettiva da una simile ricaduta nel criticismo. Così scrive il filosofo francese: «ciò che c’è di profondo nella Gestalt dalla quale abbiamo preso le mosse, non è l’idea di significato, ma quella di struttura, la congiunzione di un’idea e di un’esistenza indiscernibili, l’assetto contingente attraverso il quale i materiali, davanti a noi, cominciano ad assumere un senso, l’intelligibilità allo stato nascente»[25] ed è per questa ragione che, come aggiunge in nota, «la Critica del Giudizio […] contiene indicazioni essenziali sui problemi qui trattati»[26]. Questa conclusione, lungi dal costituire un’aporia dell’itinerario teorico sin qui seguito, rappresenta l’occasione concreta per riarticolare il rapporto fra soggetto ed oggetto, fra coscienza e mondo, delineando una nuova concezione della verità e della realtà, e sarà proprio quest’ultimo l’obiettivo che orienterà la Fenomenologia.
Ne La struttura del comportamento, Merleau-Ponty delinea una prospettiva che non sarà mai abbandonata dal filosofo francese, che significativamente si riallaccia al Kant della terza Critica[28]. Vi è un «a priori dell’organismo» ossia una «una norma iscritta nei fatti stessi», un senso autonomo che è trovato, e non costituito, nella natura, che già da ora non può più considerarsi un inerte in sé, ma come un campo dotato di senso all’interno del quale emerge[29] l’uomo, e non vi si stacca con violenza.
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[1] L. Vanzago, Merleau-Ponty, Roma: Carocci, 2013, p. 32
[2] Ibidem.
[3] M. Merleau-Ponty, La struttura del comportamento, Milano-Udine: Mimesis, 2013, p. 31.
[4] Ivi, p. 33.
[5] Ivi, p. 89.
[6] Ivi, p. 35.
[7] Ivi, p. 44.
[8] Ivi, p. 45.
[9] T. Toadvine, Merleau-Ponty’s philosophy of nature, Evanston: Northwestern University Press, 2009, p. 26.
[10] M. Merleau-Ponty, La struttura del comportamento, cit., p. 42.
[11] Ivi, p. 43. Corsivo mio.
[12] Ivi, p. 77.
[13] Ivi, p. 78.
[14] T. Toadvine, Merleau-Ponty’s philosophy of nature, cit., p. 27
[15] M. Merleau-Ponty, La struttura del comportamento, cit., p. 83.
[16] T. Toadvine, Merleau-Ponty’s philosophy of nature, cit., p. 29.
[17] M. Merleau-Ponty, La struttura del comportamento, cit., p. 168.
[18] Ivi, p. 169.
[19] L. Vanzago, Merleau-Ponty, cit., p. 29.
[20] T. Toadvine, Merleau-Ponty’s philosophy of nature, cit., p. 31.
[21] Ibidem.
[22] M. Merleau-Ponty, La struttura del comportamento, p. 277.
[23] Cfr. G. Tenti, Estetica e morfologia in Gilbert Simondon, Milano-Udine: Mimesis, 2020, p. 29.
[24] Ivi, p. 276.
[25] Ivi, p. 307. Corsivi miei.
[26] Ivi, p. 307, nota n. 40.
[27] T. Toadvine, Merleau-Ponty’s philosophy of nature, p. 31.
[28] Cfr. a questo proposito M. Iofrida, Per un paradigma del corpo, cit., p. 115. Cfr. I. Kant, Critica del Giudizio, trad. it. A. Gargiulo, Roma-Bari: Laterza, 2013, §61-§67.
[29] Su questo tema cfr. anche C. Halberg, Emergent life, in «Discipline filosofiche», 24(2014), n.2, pp. 197-203.