Resistenza in Abissinia

Liberarsi di noi: la Resistenza in Abissinia

Articolo della newsletter n. 49 - Aprile 2025

3 minuti di lettura

Già non si parla abbastanza della nostra Resistenza, figurarsi di quella contro di noi. La Resistenza in Abissinia contro l’occupazione italiana è uno degli episodi più significativi e meno discussi della storia coloniale italiana – che a sua volta solo negli ultimi anni è diventata oggetto di riflessioni sistematiche. Sebbene l’occupazione italiana del paese abbia portato alla conquista militare e alla trionfale proclamazione dell’Impero da parte di Mussolini (maggio 1936), la resistenza etiope ha segnato una delle lotte più dure e longeve contro il colonialismo fascista, segnando la memoria collettiva etiope e africana.

Nell’autunno 1935 il regime fascista italiano avviò una campagna di invasione contro l’Impero d’Etiopia, l’ultimo paese africano a mantenere la propria indipendenza dagli europei insieme alla Liberia. L’Italia, smaniosa di espandersi in Africa, la considerava un obiettivo strategico per rafforzare la propria influenza e non sentirsi da meno tra gli altri Stati d’Europa. Il regime ne aveva bisogno anche per gli evidenti risvolti propagandistici. La guerra culminò nella conquista di Addis Abeba da parte delle forze italiane nel maggio 1936, seguita dalla proclamazione dell’Africa Orientale Italiana e nella nascita dell’Impero fascista. L’occupazione, ufficialmente rapida e inarrestabile, non riuscì a sopprimere del tutto la resistenza delle forze etiopi, al punto che più di uno storico oggi considera l’Etiopia una nazione mai effettivamente colonizzata, preferendo la definizione meno incisiva di una occupazione militare.

Le forze italiane, pur essendo superiori dal punto di vista militare e tecnologico, si trovarono a fronteggiare una resistenza organizzata, determinata a mantenere l’indipendenza. La guerriglia etiope fu combattuta in gran parte nelle zone montagnose e rurali del paese, che offrivano alle forze di resistenza la conoscenza del territorio e il sostegno dei locali. I combattenti si raggrupparono sotto la guida di vari leader, tra cui uomini legati alla tradizione del menelikismo, il fiero indipendentismo che si ispirava alla figura dell’imperatore che alla fine dell’Ottocento aveva già sconfitto gli italiani ad Adua, Menelik II.

Una figura simbolica della Resistenza etiope fu senza dubbio l’imperatore Hailé Selassié che, sebbene si fosse autoesiliato in Gran Bretagna dopo l’occupazione italiana e non potesse formalmente organizzare la resistenza armata, ne divenne un emblema. La sua figura acquisì sempre più valore a livello internazionale, ottenendo il sostegno della Società delle Nazioni e di altre potenze, che gli consentirono di denunciare l’invasione italiana e sollevare la causa etiope a livello globale.

La resistenza si sviluppò in diverse forme, tra cui attacchi di guerriglia, sabotaggi e imboscate. Le forze etiopi riuscirono a evitare scontri contro l’esercito italiano su vasta scala, e riuscirono a infliggergli danni specialmente nel Tigrè e nel Gojjam, dove la topografia favoriva l’azione delle bande. Un ruolo fondamentale venne svolto anche dalle donne, che non solo supportarono logisticamente la guerriglia, ma si adoperarono anche per nascondere combattenti e organizzare i rifornimenti.

Mentre la guerriglia etiope continuava a minacciare le forze occupanti, il regime fascista italiano rispose con una brutale politica di terrore, sperando di schiacciare la resistenza sul nascere. Tra le misure più cruente adottate dalle forze italiane, l’uso di armi chimiche segnò forse il capitolo più tragico e vergognoso di questa storia. Il bombardamento aereo delle città e dei villaggi, insieme alla deportazione di numerosi civili e alle esecuzioni sommarie, fu parte di una politica di terra bruciata volta a sterminare, spaventare e sottomettere la popolazione etiope.

Durante un evento, il 19 febbraio 1937 due giovani studenti eritrei cercarono di uccidere con delle bombe Rodolfo Graziani, viceré d’Etiopia, e altre autorità italiane. L’attentato, sebbene non letale per Graziani, scatenò una feroce rappresaglia, condotta dal federale fascista della capitale, Guido Cortese, che sguinzagliò feroci squadre d’azione per vendicare l’attacco. La caccia agli etiopici durò per tre giorni e provocò un numero imprecisato di vittime, ma in tutte le stime pari ad alcune migliaia di persone.

Le autorità italiane deportarono circa 400 notabili in Italia e attivarono campi di concentramento improvvisati in Eritrea e Somalia. Nel monastero di Debrà Libanòs, 297 monaci e molti laici furono uccisi per presunti legami con la resistenza. Il massacro si concluse con l’ordine di Graziani di giustiziare anche i diaconi e numerosi insegnanti e studenti di teologia.

Nonostante gli sforzi italiani per eliminare la resistenza, la determinazione etiope non venne mai meno. L’occupazione continuò fino al 1941, quando, a causa della crescente pressione militare da parte degli alleati nel corso della Seconda guerra mondiale, le forze italiane iniziarono a subire gravi sconfitte. Nel maggio di quell’anno, le forze alleate, unite ai partigiani etiopi, riuscirono a liberare Addis Abeba, segnando la fine dell’occupazione italiana e permettendo il ritorno di Hailé Selassié come imperatore d’Etiopia.

La lotta etiope contro il colonialismo fascista aveva rappresentato molto per i popoli africani, che non dimenticarono le tremende repressioni fasciste. Ricordare la liberazione dei popoli colonizzati e il passato coloniale italiano è fondamentale non solo per rendere giustizia a chi ha subito le atrocità del colonialismo, ma anche per promuovere una riflessione collettiva sulla nostra storia e sulle sue conseguenze. Perché è giusto che anche la nostra identità ne sia segnata.


Illustrazione di Annachiara Mezzanini

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Daniele Rizzi

Nato nel '96, bisognoso di sole e di pace. Sono specializzato in storia medievale, insegno lettere alle medie. Mi fermo sempre ad accarezzare i gatti per strada.

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